Il neo-zar e Piazza Pushkin
Ipotesi di scenari a confronto sull’esito della guerra in Ucraina
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Ipotesi di scenari a confronto sull’esito della guerra in Ucraina
• – Sergio Roic
• – Franco Cavani
La decisione di Berna di aderire alle sanzioni euro-americane contro la Russia dovrebbe essere un punto di non ritorno per una nuova politica di neutralità, che comunque non viola affatto la definizione che ne diede già un ventennio fa il Consiglio federale
• – Aldo Sofia
In un’Università milanese si è già deciso cosa significa “sanzionare” la Russia
• – Enrico Lombardi
Cosa segnalano, e cosa dovrebbero insegnarci, due grandi crisi che si intrecciano
• – Riccardo Bagnato
Parte l’attacco a guida UDC contro il servizio pubblico, con l’insidiosa proposta di un canone SSR ridotto a 200 franchi: sarebbero a rischio molti programmi e la loro qualità
• – Maurizio Corti
• – Franco Cavani
La guerra non è un gioco, anche se in gioco c’è il nostro destino. Comune
• – Redazione
Quando si può tornare a pensare di tenere aperta la porta di casa
• – Redazione
Dopo le incertezze iniziali il Consiglio federale prende una decisione storica seguendo l’Europa nelle sanzioni anti-Cremlino
• – Daniele Piazza
Ipotesi di scenari a confronto sull’esito della guerra in Ucraina
Sì, è proprio così, la democrazia ha vinto. Quel ragionamento e sentimento già noto agli ateniesi di 2500 anni fa, un’idea appena nata di libertà e potere delegato al popolo, un potere che nei secoli e nei millenni, dopo tante prove e imperfezioni, dubbi, passi indietro, oltre che quelli in avanti, quel ragionamento e sentimento, dicevamo, si è imposto e incarnato proprio qui e oggi, anno 2022, tardo mese di febbraio, a Mosca, in Piazza Pushkin.
I dimostranti hanno avuto la meglio su Vladimir Putin, che credeva di poter piegare a una logica militare dittatoriale i rapporti interni ed esterni del suo paese, la Russia. Putin, da 22 anni al comando ormai, aveva creduto di poter rafforzare il suo potere al crepuscolo invadendo militarmente un paese vicino e fratello della Russia, l’Ucraina. È stato contestato, sbugiardato e in buona sostanza disarmato dalla sua stessa piazza: i giovani hanno rifiutato di servire in un esercito invasore, i più anziani gli hanno ricordato gli errori passati di molti invasori.
Piazza Pushkin, a Mosca, come molte altre piazze russe, ha dimostrato che un popolo che ha avuto un assaggio anche solo parziale della democrazia, come è accaduto al popolo russo negli ultimi trent’anni, difficilmente torna indietro. La libertà di parola e d’espressione, la possibilità di comunicare, la valenza del proprio voto in occasione delle elezioni, la possibilità concreta di esprimere la propria posizione in piazza nei momenti di crisi, insomma, tutto ciò di cui consta la forma politica imperfetta per eccellenza ma chiaramente migliore di ogni altra, la democrazia, ha trionfato proprio in Russia: Putin, su insistenza del proprio popolo, ha deciso di rinunciare alla guerra contro l’Ucraina, la sua ultima avventura politica decisa per sviare l’attenzione da una grave crisi di consenso ed economica.
Si è parlato in questi giorni di una popolazione russa, innanzitutto quella giovane, post-eroica, ma forse bisognerebbe coniare per questi coraggiosi oppositori delle logiche di guerra e sopraffazione un altro nome: si tratta infatti di “eroi senza armi”. Nonostante il forte controllo iniziale della piazza, i numerosi arresti, le incarcerazioni e i dossier aperti a danno dei contestatori, i russi hanno resistito, si sono opposti e, una volta per tutte, hanno imposto il sistema democratico nel proprio paese il cui destino d’ora in poi sarà sempre e comunque nelle mani del popolo e non di un sol uomo, anche se quest’uomo dovesse chiamarsi Vladimir Putin.
Qualcosa, sì, qualcosa si avvertiva nell’aria già da un po’ di tempo. Ecco, quel vago senso di noia sul viso dell’interlocutore mentre gli parli di giustizia e libertà, per i popoli e per il singolo essere umano, quando gli spieghi la tua idea di umanità e quando vai oltre, quando affermi che la solidarietà e il comune senso di rispetto stanno alla base del nostro stesso successo evolutivo. Non saremmo mai sopravvissuti, se non ci fossimo aiutati vicendevolmente nelle terribili caverne preistoriche, dinanzi a invasioni di guerrieri feroci, nei momenti di carestia e di crisi. L’uomo che hai di fronte, dopo questo tuo arguto pistolotto, ti dice che sì, è bello ciò che dici, ma che la guerra e la legge del più forte sono da sempre la vera natura dell’uomo.
E poi, certo, la storia, secondo il vostro amico, dimostra sempre che a prevalere sono i popoli più organizzati, organizzati militarmente, in grado di seguire il volere dei loro determinati capi. Guarda, ti dice l’amico, guarda quell’uomo tutto d’un pezzo del presidente cinese Xi che ha tolto dalla miseria il suo popolo, gli ha fatto riconquistare l’isola di Taiwan con un blitz aeronavale e ha controllato così efficacemente la sua società imbastendo un inedito sistema a punti: i più obbedienti ricevono buone ricompense e una volta ogni dieci anni, se lo vogliono, possono persino recarsi per una settimana all’estero; ai disobbedienti sarà impedito di prendere l’autobus per recarsi alla festa del topo nel villaggio vicino. Pensa, dice l’amico, pensa a quel genio militare di Volodja Putin che ha sconfitto il corrotto Occidente in mano a gente drogata e dissoluta come quel presidentucolo ucraino Zelensky, catturato a Kiev e trovato in possesso di una rivista americana e di un cappello di paglia francese. L’entrata trionfale di Volodja a Kiev è stata l’inizio della fine di tutte quelle amenità democratiche, delle patetiche divisioni fra poteri, delle inutili votazioni popolari. Pensa, ripete l’amico, con un solo scossone, in Europa in Ucraina, in Asia a Taiwan, il vero potere egemone ha interrotto la stupida millenaria avventura di una torma di azzeccagarbugli democratici decisi a resistere a oltranza all’autocrate per eccellenza, il re persiano Serse: una volta si indispettì e fece frustare le indocili onde del mare. Oggi, a Volodja e Xi, nemmeno le onde sanno resistere.
Bergoglio accende le speranze, le gerarchie ecclesiastiche le spengono
Dopo l’increscioso spettacolo offerto dai partiti nella surreale gara al Quirinale; crisi, paralisi e auto-commissariamento della politica italiana