Tutta colpa di Dostoevskij
In un’Università milanese si è già deciso cosa significa “sanzionare” la Russia
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In un’Università milanese si è già deciso cosa significa “sanzionare” la Russia
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In un’Università milanese si è già deciso cosa significa “sanzionare” la Russia
Stiamo perdendo la testa, ma davvero. Ci sta colpendo una pandemia non meno terribile di quella che ha invaso il pianeta da due anni a questa parte, un virus che colpisce la capacità di “distinguere”, di “approfondire”, di “riflettere” di fronte a quanto ci accade quotidianamente, a maggior ragione in questi giorni in cui soffiano impetuosi ed impietosi i venti di guerra.
Assistiamo a quanto avviene ad alcune centinaia di chilometri da noi, con sgomento, sconcerto, con paura, e ci viene come d’impulso la necessità di “tirare le conclusioni”, decretare colpevoli ed innocenti, affermare che si è capito tutto e che le cose stanno così e così per colpa di quello lì, per colpa di quelli lì. Certo, come spesso avviene, c’è anche, fra la gente, uno spirito solidale spontaneo che si mostra in azioni concrete di aiuto caloroso alle vittime del conflitto.
La guerra resta però sempre anzitutto terreno di scontro non solo nelle dilaniate terre d’Ucraina, ma dovunque, dai consessi cosiddetti diplomatici, nelle sedi politiche, fra le organizzazioni economiche, le borse, i media, e, infine, i social, dove ognuno dice la sua, cita, condivide, sentenzia.
Tutto comprensibile, per carità, tutto frutto di uno stato ansiogeno permanente che ci sta attanagliando e ci colpisce in una fase storica che ci trova impreparati, indifesi, confusi e, appunto, soprattutto, impauriti.
Perché da anni il mondo che ci circonda si mostra, ci viene mostrato e viene da noi vissuto come pieno d’insidie mortali, che si tratti di una pandemia, di una globale minaccia climatica, una guerra nucleare.
L’inquietudine, il panico dilagano; e così si devono alzare barriere e ripari, chiudere frontiere, ergere muri, rintanarsi in casa, nelle proprie idee, convinzioni radicate e rafforzate da presunte colpe altrui, sempre là fuori, oltre il confine, oltre il cancello.
Là dove una popolazione intera, sotto la minaccia degli attacchi che vengono da cielo e da terra, si ritrova costretta a cercare riparo nelle cantine, o nella fuga disperata.
Noi, qui, al riparo (per ora) nella nostra convinzione di non aver né parte né responsabilità, ci aggrappiamo alle nostre presunte certezze, quelle che ci vengono ribadite, al di là delle belle parole solidali di circostanza, da un mondo politico ed economico che continua a pensare solo e soltanto a come uscirne non solo “indenni”, ma pure ancora e sempre più ricchi.
L’idea di “sanzionare” non solo con categorici giudizi ma anche con misure concrete pare accettabile soltanto se non implica alcun sacrificio, alcuna rinuncia, perché noi, NOI, non abbiamo fatto nulla di male, non abbiamo alcuna colpa. NOI, che stiamo dalla parte del giusto, sulla riva bianca di ogni dissidio, di ogni conflitto, NOI che siamo i migliori.
Poi capita che qualcuna di queste “sanzioni” abbia effetti secondari spiacevoli, porti alla chiusura di qualche commercio fino a ieri floridissimo e trascini nella disoccupazione qualche decina di persone, chessò, nel Canton Zugo, o metta in pericolo società attive in Ticino nel commercio con la terra del folle zar. E allora è tutto un preoccuparsi e ribadire quanto tutto ciò sia pericoloso, tutto ciò che capita laggiù, per colpa di quello lì.
Tutto chiaro, tutto elementare: il mondo e le idee ritagliate su misura, tendenzialmente con l’accetta, con ampio uso di approssimazione per eccesso. Così, ora tutto quel che viene da lì, dalla terra dello zar, è temibile, minaccioso, potenzialmente mortale, dunque da contrastare con ogni mezzo, anzi, perché no?, proprio da eliminare, cancellare dalla faccia della terra e dalla memoria, così tutto è risolto.
Siamo in emergenza, santo cielo, perché sottilizzare, perché stare a distinguere, perché perder tempo a pensare? Nemmeno in una sede deputata come un’Università è più concesso pensare, per questioni di “opportunità”, per non accendere polemiche. E che si fa? Niente, a Milano-Bicocca, semplicemente, si fa saltare un corso su Dostoevskij per “evitare ogni polemica in un momento di forte tensione”.
Il video dello scrittore Paolo Nori, incaricato di tenere il corso, sta già facendo il giro dei media e dei social ed è già finito fagocitato nel rigurgito gorgogliante e balbuziente, dei pro e dei contro, dei commenti a caldo, a freddo, distribuiti in vario modo fra intellettuali, politici, cittadini, fino al punto in cui, come è avvenuto, l’Università smentisce, è tutto un malinteso, non è vero niente, ma sì che è vero però non proprio… Non un bello spettacolo, diciamocelo.
La nota forse un minimo incoraggiante potrebbe essere quella che infine l’esternazione di Nori abbia sortito l’effetto che fa: con un discreto, commosso e accorato appello invita a resistere nel continuare a “pensare”, come gli scrittori, i grandi scrittori di ogni parte del mondo, patrimonio dell’umanità (senza se e senza ma) da sempre ci insegnano a fare.
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