Sono dichiarazioni imprecise, pericolose e giuridicamente infondate quelle espresse dal Consigliere federale Beat Jans a margine della visita in Ticino del 20 febbraio 2024. Dichiarazioni frutto, probabilmente, di una comunicazione che doveva porre l’accento sul tema della sicurezza e accontentare opinione pubblica e politica locale. Il Consigliere federale socialista ha mancato l’occasione di riconoscere che esiste una realtà diversa e di mettere in evidenza i reali problemi legati alla procedura d’asilo: le modalità di accoglienza, l’applicazione delle leggi internazionali e la severità delle leggi nazionali in materia.
Beat Jans ha fatto proprio e ha amplificato il punto di vista dei sindaci dei comuni interessati dalla presenza dei centri federali d’asilo (CFA), delle forze dell’ordine e della destra ticinese, sempre in prima fila ad alimentare discriminazioni, intolleranze e paure nei confronti dei cosiddetti “diversi”. A questo proposito, rileviamo innanzitutto che i 170 interventi di polizia sono avvenuti all’interno dei CFA, e dunque, a rigor di logica, non sono episodi che hanno toccato la popolazione residente. Inoltre, per mettere in proporzione la cifra, ricordiamo che in Ticino ogni giorno vengono effettuate 3 chiamate alla polizia a causa di atti di violenza domestica. La narrazione sostenuta da Beat Jans è smentita poi da un sondaggio svolto tra la popolazione da parte di Mendrisiotto regione aperta (MRA), e dalle regolari interazioni e attività che si svolgono tra persone alloggiate nei centri e la società civile (oltre a MRA, l’associazione Fabbrica della solidarietà, nata dagli studenti dell’accademia di architettura di Mendrisio, che ha svolto proprio un lavoro sull’idoneità o meglio inidoneità abitativa dei centri). Non una parola è stata spesa da parte del Consigliere federale sull’idoneità delle strutture d’alloggio di Balerna e di Chiasso, malgrado le recenti raccomandazioni espresse dell’UNHCR secondo cui centri più piccoli, più personale qualificato, possibilità di alloggi esterni, meno presenza di guardie di sicurezza, più contatto con la società civile, renderebbero più vivibile e meno stressante il periodo di attesa della procedura. Nulla in merito al costante sovraffollamento, alle violenze denunciate dai richiedenti asilo nei confronti del personale di sicurezza, e sulla mancanza di misure di accoglienza per persone vulnerabili, che non sono solo donne, minori e anziani, ma tutti coloro che a causa del percorso migratorio hanno subito indicibili traumi. Infine, non una parola si è sentita da parte delle persone direttamente interessate, gli attori principali: i rifugiati, coloro cioè che scappano dalle loro terre per poter avere una prospettiva di vita, che nei propri paesi d’origine non possono avere.
Beat Jans ha poi rivolto l’attenzione a quella che ha definito una “piccola fetta” di richiedenti asilo che “commettono atti violenti, vandalizzano macchine e dove nessuna misura funge da deterrente”. Nei confronti di queste persone si dovrebbero attuare misure atte a contrastare la recidiva, quali la procedura accelerata dalla durata di 24 ore e la carcerazione preventiva unitamente alla carcerazione amministrativa.
Il Consigliere federale parla di carcerazione preventiva e amministrativa come se fossero lo stesso istituto giuridico. La recidiva è un concetto applicato nel diritto penale. Una persona è detta recidiva se, in seguito a una condanna o a una liberazione da un’esecuzione di pena, commette un crimine o un delitto che comporta una nuova condanna. Al momento del giudizio in merito al reato commesso, il giudice terrà conto dei precedenti penali della persona nella commisurazione della pena. La carcerazione amministrativa, prevista dalla legge sugli stranieri e la loro integrazione (articoli 75-79), è applicabile alle persone nei confronti delle quali è stata emanata una decisione di allontanamento o espulsione, se vi sono indizi concreti che fanno temere che lo stesso intenda sottrarsi al rinvio coatto e non vi è collaborazione dello straniero per preparare la partenza. Essa non è dunque applicabile a persone che commettono, o sono sospettate di aver commesso, dei reati di natura penale. Affermare che per la gravità dei reati non è possibile una privazione della libertà e che è necessario, per questo, applicare in maniera più “efficace” la carcerazione amministrativa è dunque un’aberrazione giuridica.
Non solo consideriamo questa forma di carcerazione troppo invasiva della libertà personale e contraria all’articolo 8 della Costituzione cantonale, in base al quale i provvedimenti coercitivi che incidono su diritti fondamentali di chi non è imputato vanno adottati con particolare cautela, ma contestiamo anche in modo fermo che tale istituto si possa applicare come deterrente nei confronti solo di alcune categorie di persone presunti autori di reati, di cui alcuni perseguibili unicamente su querela di parte.
In merito alla proposta di applicare la procedura accelerata solamente a cittadini di determinati paesi, si ricorda che secondo l’art. 3 della Convenzione sui rifugiati, gli stati contraenti devono applicare le norme in essa contenute a chiunque faccia richiesta di protezione senza distinzione di sesso, razza e nazione. Stabilire per paesi come l’Algeria, la Tunisia e il Marocco procedure accelerate di 24 ore è contrario a questa norma e implementare misure per specifiche nazioni, non fa che alimentare la diffidenza nei confronti delle persone provenienti da questi paesi, in spregio, in particolare, degli articoli 7 e 8 della Costituzione svizzera (rispetto della dignità umana e uguaglianza di fronte alla legge). Inoltre, come sottolinea la SEM nelle sue decisioni, i motivi d’asilo sono personali e non generali e discendono dalle discriminazioni e persecuzioni che una persona può subire nel proprio paese, anche se per noi è considerato sicuro. Basti pensare ai dissidenti politici, alle persone che scappano per questioni di genere o motivi religiosi. La procedura accelerata vìola la Convenzione sui rifugiati poiché diventa di fatto impossibile poter indicare i motivi d’asilo e comprovarli in così breve tempo. Allestire la documentazione necessaria è un lavoro lungo e faticoso, sia oggettivamente (talvolta i documenti non ci sono, o non vengono rilasciati dalle autorità) sia soggettivamente, in quanto si tratta di dimostrare violazioni di diritti inerenti alla sfera personale, che non è evidente raccontare in brevissimo tempo a persone sconosciute che sarebbero lì, di fatto, per allestire la procedura di rinvio e non per ascoltare. È una deriva molto grave quella dove ci vuole portare il Consigliere federale, che per tranquillizzare una minima parte della popolazione, afferma di poter applicare istituti giuridici disciplinati nelle nostre leggi, in modi diversi da quanto espressamente previsto, non solo senza passare dall’Assemblea federale, unico organo legislativo, ma addirittura chiedendo riforme che ledono in modo manifesto principi fondamentali della nostra costituzione e delle norme internazionali sui diritti dell’uomo che la Svizzera si è impegnata a rispettare.
Immacolata Iglio Rezzonico e Martino Colombo sono avvocati
Nell’immagine: il Consigliere federale Beat Jans