Di Domenico Quirico, La Stampa
Due anni: tanto abbiamo dovuto attendere perché i Manovratori del mondo rendessero chiari i limiti della guerra nel cuore dell’Europa. Intendo: svelare il punto in cui le due parti fissano lo spazio finale oltre cui nulla sarebbe più negoziabile o possibile. Perché oltre quel limite c’è soltanto la possibilità del reciproco annientamento. La parola guerra atomica è stata evocata, in questi mesi, soprattutto dai cortigiani di Putin, come vanteria propagandistica o avvertimento minatorio. Ma in realtà in due anni mai sembrava far parte della matematica strategica dei due giganti che davvero si fronteggiano decidendo le mosse con sempre meno ipocrisie, Stati uniti e Russia. Si confidava nel “miracolo’’: la caduta di Putin per motivi interni, la vittoria sul campo degli eroici ucraini, la stanchezza economica e morale del floscio Occidente, l’accrescersi dei putiniani con poltrona ministeriale, la bancarotta del capitalismo oligarchico, l’intervento moderatore dell’alleato padrone cinese. Si tirava avanti con formule vuote ma dilatorie: accanto a Zelensky fino alla pace giusta, resistere all’assedio dell’Occidente che ci vuole morti eccetera…
In un crescendo incalzante di bellicismi il segretario alla difesa americano Austin ha ammonito che la caduta di Kiev potrebbe avere come conseguenza il ricorso all’arma nucleare. E Putin, parlando alla nazione prima di essere ovviamente rieletto, ha ribadito che un attacco della Nato al territorio russo, che per lui è evidentemente anche la Crimea e il Donbass occupato, comporterebbe il sostegno dell’arsenale nucleare. Più chiari di così!
Ormai si è convinti, rassegnati o entusiasti (nei due campi esistono gli uni e gli altri), che la guerra per procura stia per finire. Per il cedimento aritmetico lento ma progressivo degli ucraini; in Russia per la legge dei numeri gli uomini costano meno. Poiché l’intervento diretto sul campo di battaglia degli americani, degli inglesi e dei “volenterosi” come polacchi, baltici, francesi, canadesi, finora camuffato, è inevitabile per correggere l’esito, i due contendenti stabiliscono fino a dove la nuova fase potrà arrivare. Limite tragicamente largo, larghissimo. Perché entrambi sono pronti a passare alla fase dell’Apocalisse. È un futuro che può risultare auspicabile solo a speculatori e cinici. I veri riformatori e i veri conservatori non possono che esserne atterriti. Perché in un cadavere non c’è nulla da riformare né materia da conservare.
Si avverte a Mosca a Bruxelles al Pentagono il vecchio puzzo dell’entusiasmo degli strateghi da tavolino. Finalmente non più la astratta guerra di materiali, le piccole guerre di scienza e non di arte, di industria, di commercio con loro ferraglia perversa! Nella pianura di Ucraina di nuovo la guerra del corpo a corpo, la guerra del balzare in piedi, del nemico allo scoperto. Che sia anche questa, soprattutto questa, una guerra politica dove imperialismi e resistenza si mescolano ambiguamente, che importa! Non privateci del fuoco purificatore nella fradicia terra della vecchia Europa.
Dopo due anni di reciproci proclami di vittoria inevitabile siamo incapaci di applicare i metodi elementari del pensiero ragionevole. Sembrano evaporate in classi politiche mediocri da una parte, criminali dall’altra, le nozioni essenziali di intelligenza, misura, grado, proporzione, rapporto condizione; di legame necessario tra mezzi e risultati. L’universo della politica internazionale a cui forniscono munizioni sedicenti e contrapposti chierici sciagurati, è popolato solo di miti e di mostri, non si riconoscono che entità assolute: la vittoria il nostro diritto la punizione la sradicazione. Tutte astratte dalla considerazione dello strazio che la guerra impone a chi ne è vittima diretta. Un autocrate arrogante e omicida e democratici da tweet usano le parole vittoria e lotta come realtà assolute con uno scopo assoluto, indipendenti da ogni condizione umana, da ogni modo di agire e con le stesse parole indicano, di volta in volta o addirittura simultaneamente, qualunque cosa.
Con una raggelante automatismo, dopo aver consumato senza esito una generazione ucraina (e russa) si è deciso che la carneficina si allarghi e la morte diventi una amica intima, diventi figlia, madre, te stesso, oggetto invisibile che cancella pezzo dopo pezzo il mondo.
Dopo due anni, nell’area dell’Ucraina più tetra, fradicia e mortifera della linea di trincee, dove la cronaca quotidiana ha una intensità che varia dai bombardamenti e raid alle più aspre offensive totali di artiglieria, nessuno di coloro che sostengono di avere in pugno i fili della guerra, la corte del Cremlino, il complesso militar industriale e finanziario occidentale che suggerisce le mosse ai governi atlantici, è stato capace di spezzare il velo di atroce mistero che avvolge il conflitto: come fanno a resistere? E ancor meno rispondere all’altra domanda: perché è fatto? Perché due eserciti continuano a tentare l’impossibile, spezzare il filo spinato con i corpi umani, perché politici e generali li costringono a insistere con la stessa inflessibilità suicida dei fantaccini della Prima guerra mondiale?
Adesso che la guerra diventerà più grossa chi sa come risolvere questo problema: al momento di sferzare l’attacco anche una forza che si presume irresistibile di cannoni missili carri si scontra con un muro e la stabilità del fronte viene ricomposta al massimo con una differenza di poche migliaia di metri?
Forse bisogna domandarsi se non siamo giunti a uno di quei momenti, il 1914, il 1939, in cui la definizione umana che abbiamo prestato alle cose scompare e esse ci guardano con tutta la orribile primitiva estraneità che di solito è velata dagli incubi. Tutto crolla. Nessun nome è adatto. Forse ci siamo già rassegnati: non esiste il modo di risolvere questa tragedia innescata da Putin perché non faccia più male, di trasformarla senza altre perdite, senza tradimenti, senza diserzioni. Un mondo minaccioso senza nome, e per questo colmo di angoscia indefinita, è in agguato. Non si avventa ancora, è in agguato in silenzio. Ci osserva mentre ci occupiamo di dettagli per non pensarci.
All’inizio gli ordini sono sempre incruenti, chi sta alle scrivanie dei comandi non ha bisogno di minacciare o di impugnare il bastone. Gente che esegue, per stupidità o calcolo, se ne trova sempre. La soluzione l’avranno solo coloro che il fucile lo impugnano già e quelli che dovranno farlo, lo sciopero rivoluzionario contro l’insensatezza della guerra.
Nell’immagine: Russia, giochi di guerra