In nome del bene collettivo?
La stravagante teoria neoliberista degli sgravi fiscali come prassi che dovrebbe favorire la collettività; ma dove? Ma quando? E fino a quando si continuerà a sostenere simili teorie?
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La stravagante teoria neoliberista degli sgravi fiscali come prassi che dovrebbe favorire la collettività; ma dove? Ma quando? E fino a quando si continuerà a sostenere simili teorie?
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La stravagante teoria neoliberista degli sgravi fiscali come prassi che dovrebbe favorire la collettività; ma dove? Ma quando? E fino a quando si continuerà a sostenere simili teorie?
Ovviamente c’è un accenno doveroso a Platone, secondo cui alla testa delle istituzioni sarebbe utile che ci fossero i saggi per eccellenza, i filosofi (è il grande sogno degli epistocratici [coloro che sostengono un una forma di democrazia che implica il voto solo a chi capisce chi o cosa vota, ndr] che oggi, di fronte al desolante spettacolo della politica, hanno ripreso vigore). Poi ho aggiunto un piccolo appunto su Aristotele: ci spiega che fare politica significa agire e amministrare la polis per il bene collettivo.
Quindi la politica come ricerca della convivenza e della comunanza degli interessi. Questo stavo scrivendo, ma poi ho avuto modo di seguire gli accesi dibattiti in Gran Consiglio sulla riforma fiscale. E ho dovuto dare ragione a Raffaele De Mucci (I molti e i pochi, Ed. Rubettino, 2015) che, come altri studiosi, ritiene che, ahimè, ti basta seguire qualche dibattito politico per accorgerti che la qualità non brilla e si deve ammettere che “l’eccellenza è la mediocrità” (con, ovviamente, le lodevoli eccezioni).
A impressionare il diligente cittadino accucciato in tribuna, oltre alle sgrammaticature e la scarsa padronanza della sintassi di alcuni rappresentanti vocianti fra gli scranni, è l’inconsistenza degli argomenti esibiti: imperversano le considerazioni di carattere contabile e c’è scarsa attenzione alle questioni di equità e di giustizia sociale. Alcuni coraggiosi deputati si arrischiano a richiamare il problema ma “vox clamantis in deserto”.
Impressiona la perseveranza con cui alcuni ultraliberisti più o meno camuffati difendono l’indifendibile teoria dello sgocciolamento della ricchezza, da annoverare fra le cause dello sconquasso della democrazia liberale. Intanto i favorevoli alla riforma – i liberali e tutta la destra – ci dicono che conviene avere fiducia: più che fiducia direi un atto di fede.
Qualcuno ha provveduto a ripetere, in tono consolatorio, che lo sgravio è per i ricchi ma una minestra di ceci è pure assicurata alla classe media e a quelli che se la passano male. Quindi il concetto di bene collettivo è salvaguardato, ma forse bisognerebbe aggiungere un particolare non secondario: a favore di chi?
È noto che l’ignoranza delle persone comuni è un motivo d’ansia per le democrazie, ma io propongo di riflettere pure sull’ansia di noi cittadini comuni quando l’ignoranza appartiene ai governanti o a una parte ragguardevole di essi. Di fronte alla mediocrità di certe esibizioni inutilmente contrastate da una minoranza impotente, forse vale la pena di chiedere ai cittadini cosa pensano della faccenda. Forse i cittadini possono chiarire che i valori di giustizia sociale e di equità non sono passati di moda. E che lo sgocciolamento della ricchezza non funziona a dovere e bisognerebbe evitare le prese in giro. E che magari l’idea di bene comune, di interesse collettivo, di comunanza di interessi sia da rivedere.
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