Perché l’economia di Putin non è crollata
Sostituzioni con merci russe, “ritorno a casa” degli imprenditori, il volano degli armamenti, il ritrovato spirito del dopoguerra: le contromosse alle sanzioni occidentali
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Sostituzioni con merci russe, “ritorno a casa” degli imprenditori, il volano degli armamenti, il ritrovato spirito del dopoguerra: le contromosse alle sanzioni occidentali
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Sostituzioni con merci russe, “ritorno a casa” degli imprenditori, il volano degli armamenti, il ritrovato spirito del dopoguerra: le contromosse alle sanzioni occidentali
Durante i primi mesi del conflitto in Ucraina, l’Occidente inondò la Russia – in maniera disordinata – con ogni tipo di sanzione. Istituti importanti come la Banca Mondiale fecero previsioni catastrofiche sulla contrazione dell’economia russa (si parlò di 10-12%) che avrebbe prodotto effetti dirompenti in concomitanza con l’alta inflazione (la celebre “stagflazione” conosciuta alla fine degli anni ’70 in Occidente). Le cose sono andate diversamente. Il Pil russo nel 2022 si è ridotto solo del 2% e nel 2023 dovrebbe persino tornare a crescere, mentre l’inflazione dovrebbe restare sotto controllo (paradossalmente la mobilitazione militare ha prodotto una riduzione quantitativa della forza-lavoro disponibile, che ha spinto i salari verso l’alto). Alcuni osservatori hanno spiegato questo exploit con fattori di carattere tecnico-finanziario: per esempio le capacità di manovra della presidente della Banca Centrale Elvira Nabuillina (che ha preparato per tempo misure atte a ridurre l’effetto dell’uscita dal circuito bancario Swift), oppure il sostegno al comparto immobiliare. Si tratta di elementi che non vanno sottovalutati, ma che non bastano a spiegare quanto sta avvenendo.
Le sanzioni e la fuoriuscita più o meno volontaria dal mercato russo di molte aziende e brand occidentali è stato spesso riassorbito dalla sostituzione con prodotti russi, meno stimolanti per il consumatore ma anche meno cari, producendo un’espansione e un rilancio dell’industria leggera interna in alcuni settori chiave (prodotti alimentari, abbigliamento, turismo, ecc.) a cui si è associato il mercato parallelo di provenienza cinese.
Quanto questo schema potrà funzionare nel lungo periodo è tutto da vedere, ma per ora ha permesso un soft-landing dell’economia russa. Come l’Italia nel dopoguerra sfruttò a lungo la carta delle “esportazioni competitive” manovrando con i tassi d’interesse, ora la Russia si rinchiude a riccio e l’orizzonte psicologico torna ad essere quello sovietico: si parla ormai di “prodotti di importazione” come qualcosa di mitico e spesso introvabile se non a prezzi esorbitanti. Tuttavia questa condizione, in una fase segnata dalle incertezze e dalle paure che produce sempre una fase bellica nella popolazione, viene in fin dei conti accettata dai russi. Lo stesso congelamento degli asset finanziari dei grandi gruppi all’estero ha provocato una rinazionalizzazione del flusso dei capitali russi.
“Le sanzioni occidentali hanno sostanzialmente chiuso la porta ai miliardari russi, e li hanno spinti ancora più verso il Cremlino. Questo aumenta il controllo della Russia sui loro fondi, e sostiene gli appelli di Putin a investire nelle imprese nazionali”, sostiene Liana Semchuk, analista della società di consulenza britannica Sibylline. Tra i miliardari interessati a tornare massicciamente sul mercato interno, c’è per esempio Vagit Alekperov, il fondatore di Lukoil. La stessa Sibylline ha riferito a fine maggio che Alekperov avrebbe acquistato una quota del 51% di Yandex (che fornisce vari servizi via telematica) per 7-7,5 miliardi di dollari. Vladimir Potanin, presidente Norilsk Nickel ha da parte sua acquistato il 35% di Tinkoff Bank e Tinkoff Insurance. E sono soltanto due esempi di “ritorni a casa”, anche se davvero importanti. Un discorso a parte meriterebbe la crescita della produzione degli armamenti che ha rappresentato un ulteriore volano (seppur in chiave di deficit-spending) per l’economia russa.
Tutto a posto quindi per il Cremlino? Non proprio. Le capacità di manovra tattica del regime putiniano non sono nuove ma si scontrano con un quadro complessivo in cui la maggior parte delle imprese occidentali stanno abbandonando il più velocemente possibile le importazioni di materie russe, sostituite solo in parte dai grandi acquisti indiani e cinesi ma a prezzo da discount. Inoltre, nei settori delle tecnologie high tech e dell’IT la Russia resta ampiamente scoperta e la Cina, da questo punto di vista, potrà aiutare solo in parte il regime putiniano.
Sarà su questo terreno, in prospettiva, che si giocherà la partita decisiva.
Yurii Colombo è corrispondente da Mosca
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