La libera opinione non può diventare reato
Latitanti, anni di piombo e dottrina Mitterrand
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Latitanti, anni di piombo e dottrina Mitterrand
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Latitanti, anni di piombo e dottrina Mitterrand
Sono già tornati tutti a casa, in attesa della decisione dei tribunali francesi a proposito della loro estradizione; quindi, almeno altri due anni di buen retiro gallico assicurati, in attesa di qualche prescrizione. Parlo dei latitanti italiani arrestati, auspice Macron che ha così messo l’ultimo chiodo sulla bara della cosiddetta “dottrina Mitterrand”; che era poi una sorta di indulto imperiale pronunciato in favore di “esuli” esteri accusati di terrorismo, o condannati per quel titolo, a margine della stagione dei processi italiani per i crimini commessi durante gli “anni di piombo”.
L’anagrafe mi permette di ben ricordare il periodo, segnato da ammazzamenti e azzoppamenti in nome dell’Idea, da grandi e alatamente incomprensibili discussioni teorico-teoretiche, da sottilissimi distinguo, da barricate ideologiche; e, alla fine dei giochi, dal successo pieno che inquirenti e magistrati colsero in una campagna difficile, e assai dolorosa per il tessuto e per la coesione nazionali. Un successo che mise fine a una stagione tremenda, a suon di inchieste e di sentenze, contro rossi e neri; e anche a prezzo di qualche forzatura. In effetti, il periodo emergenziale permise che si sdoganassero autentici mostri giuridici quali quello del “concorso morale”, concetti che (complice la plumbea temperie) furono bellamente trasformati in reato, uscendo così dalla loro dimensione ideologico-morale per cadere nel gorgo del crimine, da punire in modo esemplare. Non escludo che alla base della dottrina Mitterrand ci fossero, quindi, anche considerazioni legate al cosiddetto ordre public (cioè la difesa di principi democratici fondamentali) e alla doppia punibilità, per reati che l’Italia riteneva commessi sulle basi assai indirette e vagamente arbitrarie di cui sopra, che però erano ignote e inapplicate altrove.
“Chi non è con lo Stato è con i terroristi”, si diceva con buona coscienza, senza preoccuparsi di qualche opportuna relativizzazione o sfumatura, o dell’effetto autoassolutorio che il potere dello Stato si procurava in questo modo, o dallo strattonamento eccessivo di certi principi fondamentali del diritto, e soprattutto del non insignificante vulnus per la libertà di pensiero e per la democrazia procurato dall’applicazione bellica di questa apodittica enunciazione.
Fu così che quelli che Montanelli chiamava i “cattivi maestri” furono condannati a pene detentive senza poter essere in realtà accusati di avere fatto altro che manifestare opinioni, più o meno peregrine. Lo dico: fu sbagliato condannarli per questo titolo, anche se forse i terroristi “veri” presero le loro opinioni come puntello teorico-retorico della propria sanguinosa lotta contro lo “Stato imperialista delle multinazionali” [Così lo chiamavano a muso duro e senza un filo di (auto)ironia i brigatisti e i loro nipotini (e alcuni, allora, a dire quanto fosse assurdamente patologica tale visione, ignari di quanto di non troppo alieno la globalizzazione avrebbe poi recato con sé)].
Ora i tempi sono diversi. E non devono temere nulla coloro che, dagli scranni del Parlamento o sui social, o in piazza, chiedono ludibrio e lapidazione pubblica per neri, migranti, omosessuali, anche per le donne che “non stanno al loro posto” (gentaglia che può addirittura permettersi di insultare il cantante che li mette di fronte all’enormità del loro dire); non devono neppure temere che qualcuno – come è successo troppe volte – usi le loro “argomentazioni” per costruirsi un viatico di legittimità per atti di pura criminale sopraffazione.
La libertà di espressione mi è molto cara, e penso che l’unico limite da porvi siano i delitti contro l’onore previsti dal Codice penale. Questo vale per ogni opinione, anche la più infondata, la più ripugnante, la più assurda; vale anche per la gentaglia, non solo per le anime belle. La società democratica deve essere in grado di produrre anticorpi idonei, cioè ai deliri opporre opinioni serie e ben motivate, tanto più facili da trovare quanto più è assurda la tesi che si contrasta. Non è certo agendo taglionescamente come coloro che si criticano che si manifesta il fatto che si è migliori di loro; al massimo si dichiara che si è loro diametralmente uguali.
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