La Peppa Tencia delle scorie radioattive (con un po’ di poesia)
La vena “civile” nei versi di Remo Fasani, di cui sarà prossimamente celebrato, con un convegno, il centenario della nascita
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La vena “civile” nei versi di Remo Fasani, di cui sarà prossimamente celebrato, con un convegno, il centenario della nascita
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La vena “civile” nei versi di Remo Fasani, di cui sarà prossimamente celebrato, con un convegno, il centenario della nascita
L’iter politico sarà ancora lungo ma l’attualità del tema riporta alla mente, per contrasto, vicende oramai consegnate ai libri di storia, che videro pure la Svizzera italiana implicata in prima linea con la questione. Erano i primi anni Ottanta e con decisione salomonica, figlia del migliore federalismo elvetico, si misero sul tavolo tre potenziali soluzioni per la gestione delle scorie, a Bauen (Uri), Ollon (Vaud) e Mesocco (Grigioni), una per ogni regione linguistica, con una par condicio culturale e politica che avrà fatto sorridere qualche geologo o qualche fisico nucleare. Il fatto che ognuno di questi tre siti sia sparito dai radar da molti anni – all’epoca se ne occupava la CISRA, la Cooperativa per l’immagazzinamento delle scorie radioattive – è significativo di quanto la prudenza sia assolutamente necessaria in decisioni di tale portata.
L’opzione grigionese aveva suscitato scalpore a sud della Alpi e aveva visto in prima linea l’intellettuale e poeta Remo Fasani (1922-2011), cresciuto sotto le pendici del Piz Pian Grand e già reso sensibile dagli stravolgimenti che avevano toccato la regione di Pian San Giacomo dopo la costruzione dell’impianto idroelettrico di San Bernardino (1960). Un simile paradiso in terra – parlo per cognizione di causa, ci ho passato tutte le estati della mia infanzia – non doveva essere toccato neanche dall’ipotesi di uno stoccaggio radioattivo, e Fasani fu tra i più attivi oppositori sui media. Memorabile un suo contributo in due puntate apparso su «Libera Stampa» il 22-23 settembre 1983, intitolato Mesocco, pattumiera radioattiva?
Ma pure la sua vena poetica, già precocemente segnata dalla sensibilità ecologica negli anni Sessanta, era stata risollecitata dall’attualità, come dimostra il poema Pian San Giacomo di cui si riprendono alcuni stralci qui sotto. Nato come canto della natura incontaminata intaccata dal nuovo bacino idroelettrico, un quindicennio più tardi il poema fu modificato per accogliervi la polemica sul nucleare. In questo modo Fasani metteva in relazione – da poeta – ogni tipo di trasformazione radicale del territorio, portando in superficie il «gomitolo di concause» che aveva suggerito l’ipotesi di uno stoccaggio sul Piz Pian Grand: dapprima la creazione dell’impianto idroelettrico, poi il completamento dell’A13 e infine, favorito dai due elementi sopra citati, l’immagazzinamento delle scorie.
Curiosamente l’opzione grigionese decadde non già per le obiezioni cantonali (il Gran Consiglio di Coira votò infatti a favore) ma per una piccola ingerenza del Canton Ticino, che in parlamento si disse invece contrario e vicino agli oppositori mesolcinesi. Fu un momento non secondario di tensione regionale a cavallo della frontiera linguistica, la cui memoria si conserva oggi anche grazie ai versi di Remo Fasani che, profondamente ferito dalle decisioni del proprio Gran Consiglio, rifiutò di candidarsi per il Premio culturale del Canton Grigioni. A cento anni dalla nascita, mentre si approssima il convegno che l’Università di Zurigo gli dedicherà il prossimo 11 novembre (peccato non averlo fatto all’USI), è giusto ricordare la sensibilità ecologica e l’impronta civile di un autore un po’ dimenticato della nostra cultura italofona.
(Poi tra me e me mi chiedo – ma dovrei forse girare la domanda a un Bruno Storni – perché non sia possibile sparare le scorie nello spazio: se è vero che l’universo è in espansione, non le vedremmo più. Ma sarà ragione di costi più che di morale)
In una valle all’orlo dei Grigioni,
in Mesolcina,
in fondo al Pian San Giacomo,
esiste… esisteva, non sono molti anni,
un podere, nel podere una cascina
per abitarci. Poi venne il progresso
e, dove ieri si stendeva un pezzo di mondo,
vaneggia, oggi, un serbatoio idrico,
un catino difeso da una rete metallica,
nerastro, che non rispecchia il cielo.
[…]
Ma gli Dei, che bramano
da soli essere felici,
e più gli Dei del nostro tempo,
già sono pronti a volgere,
i Plutocrati, i Tecnocrati,
in maledizione
la benedizione nativa.
Vogliono rimutarla, essi,
l’antica valle all’orlo dei Grigioni,
nella nuova terra di nessuno
e lì vuotare la faretra
delle frecce avvelenate…
le frecce della peste…
non quella di Apollo…
la peste atomica…
l’infinita…
Ma qui finisce lei, la poesia.
Qui comincia la prosa. E forse il nulla.
(Remo Fasani, Pian San Giacomo, 1969-83)
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