Tre Nobel contro Vladimir
Quest’anno il riconoscimento per la pace va a chi si batte contro le derive autoritarie e imperiali del putinismo
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Quest’anno il riconoscimento per la pace va a chi si batte contro le derive autoritarie e imperiali del putinismo
• – Aldo Sofia
A sorpresa (ma neanche troppo, per gli addetti) Monsignor Lazzeri ha annunciato di voler lasciare la sua carica. Non pochi gli interrogativi, sulla decisione stessa e sul prossimo vescovo
• – Pietro Montorfani
Se i media, per definizione, devono esprimersi in termini “critici” sulla realtà vengono subito considerati come orientati politicamente, a tutto vantaggio di chi li qualifica, li paga, li condiziona
• – Silvano Toppi
Fra ipotesi di default, accorpamenti, ristrutturazione e nazionalizzazione è urgente trovare una via d’uscita sostenibile
• – Enrico Lombardi
Stampa / Pdf
• – Franco Cavani
All’opera fortemente autobiografica di Annie Ernaux il Premio Nobel per la letteratura 2022
• – Enrico Lombardi
Minacce e pressioni sempre più frequenti sui giornalisti svizzeri: lo rivela uno studio pubblicato dall’Università di Zurigo
• – Rocco Bianchi
Le fonti storiche e filosofiche della politica putiniana – fra razzismo e fascismo – ed i suoi più diversi esegeti e sostenitori
• – Roberto Antonini
Le elezioni politiche, in Ticino come in Svizzera, alla prova dei prossimi mesi, economicamente e socialmente pieni di incognite
• – Orazio Martinetti
Forse dall’Inghilterra potrebbe venire qualche lezione per il Ticino
• – Silvano Toppi
Quest’anno il riconoscimento per la pace va a chi si batte contro le derive autoritarie e imperiali del putinismo
Farà spallucce il neo-zar di Mosca. Per Vladimir Putin l’ “Occidente è demoniaco”, lo ha ripetuto nel discorso sull’annessione alla Russia delle quattro regioni del Donbass, teatro di osceni referendum, inverosimili nell’esito per le condizioni in cui si sono tenuti, senza garanzie di libera scelta, in territori controllati militarmente, in Oblast’ (governatorati) parzialmente svuotati dalla fuga di milioni di persone (verso Occidente, o rifugiatesi nel paese dell’autocrate moscovita), dove l’esercito ucraino sta vistosamente riguadagnando terreno, tanto che un portavoce del Cremlino ha dovuto ammettere che oggi nemmeno è possibile indicare i confini delle regioni inglobate con la forza e l’arbitrio nella Madre Russia.
“Demoniaco l’Occidente”, e ora verosimilmente anche il suo celebre (a volte anche contestato e incongruo) premio, il Nobel per la pace. Non fu così – quantomeno formalmente – lo scorso anno, quando il riconoscimento andò fra gli altri a Dimitry Muratov, direttore di “Novaja Gazeta”, coraggioso giornale moscovita d’opposizione, che si vide recapitare addirittura i complimenti del Cremlino. Congratulazioni e fair play che sapevano anche di beffa e provocazione, essendo quella la testata che aveva ospitato cronache (soprattutto sulla spietata repressione in Cecenia) e commenti (tutti di marca anti-putiniana) di Anna Politkovskaja, uccisa con una pallottola alla nuca nell’ascensore del suo palazzo, nel giorno del compleanno di Putin, quasi dovesse simboleggiare un prezioso e personalissimo omaggio all’autocrate, crimine sui cui mandanti e autori non si è mai indagato sul serio. Ma oggi è diverso. Oggi Putin ha la sua guerra in Ucraina, è militarmente all’angolo, scarsi e tiepidi gli appoggi internazionali su cui contava, difficile quindi che ci saranno nuove congratulazioni.
Anche perché tutti e tre i premi distribuiti dal Comitato di Oslo sono quest’anno, direttamente o meno, un atto di accusa nei confronti del putinismo. Compreso quello assegnato al bielorusso Ales Bialiatski, da anni attivista per la difesa dei diritti umani, oggi di nuovo in carcere senza processo per la sua denuncia del regime di Lukascenko, che ancora un paio di anni fa la stampa internazionale chiamava ‘l’ultimo dittatore comunista’ d’Europa, come se il burattinaio da cui si lascia facilmente convincere e soprattutto armare, cioè Putin, fosse uno stinco di democratico.
Premio per nulla casuale: le ondate di contestazione (anche operaia) nella “Russia Bianca” sono state bloccate da numerosi arresti fra i leader della rivolta e non solo, dall’esilio di molti portavoce dell’opposizione costretti alla fuga, da sequestri e rapimenti (anche fra i passeggeri di aerei civili di linea) che hanno falcidiato la protesta nata dall’accusa di colossali brogli elettorali nell’ultima consultazione per la presidenza. Cremlino consenziente. La tragedia ucraina, col timore che anche l’alleato di Minsk inviasse il suo esercito sui campi di battaglia, ha certo contribuito a questa ‘tregua interna’. La Bielorussia si è data una postura da combattente, ma non si è mossa: per furbizia di Lukaschenko o per volere di Putin (che evita così un’ulteriore mortificazione), ancora non s’è capito.
Gli altri due Nobel sono ancora più espliciti nella condanna del presidente russo e dei cekisti che lo circondano e assecondano. Il Centro per le Libertà civili a Kiev, nato per consolidare lo Stato di diritto in Ucraina (e ce n’era sicuramente bisogno in una nazione arata da vendette e contro-vendette comunitarie), si occupa oggi soprattutto di scoprire e documentare le stragi commesse dalle truppe russe (per lo più giovani coscritti poveri, e reclutati, in particolare, nelle periferie asiatiche del paese). E poi il “Memorial” di Mosca, che il Cremlino ha chiuso pochi giorni dopo l’avvio della cosiddetta ‘operazione militare speciale’. Fondato nel 1989 da Andrej Sacharov, fisico e fra i ‘padri’ dell’atomica sovietica, poi noto per il suo impegno a favore dei diritti civili, e riportato a Mosca dal confino da Gorbaciov durante la ‘perestrojka’, il “Memorial” era diventato la ‘banca dati’ per la denuncia dei crimini staliniani.
Missione fastidiosa e urticante per il neo-zar: un Putin lontanissimo dai tentativi democratici e anche naif di ‘Gorby’ (accusato di essere il responsabile del crollo dell’Urss), e uno zar che invece ha contribuito a una vistosa riabilitazione di Stalin, il vincitore della guerra patriottica contro Hitler (i cui eredi sarebbero dirigenti milizie e popolazione ucraine, da ‘denazificare’) e soprattutto ‘il piccolo padre’ che aveva saputo, a prezzi umani altissimi, mantenere e allargare l’impero sovietico. Sogno ancora inseguito dal settantenne Vladimir Vladimirovic. Che guida la storia del suo paese con gli occhi puntati sullo specchietto retrovisore.
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