La rabbia dei cristiani libanesi, la colpa è di Hezbollah
L’emergenza è sempre più grave. La croce rossa lancia un appello perché chi è in condizioni di farlo vada a donare il sangue. Centinaia di persone sono ancora accampate per strada
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L’emergenza è sempre più grave. La croce rossa lancia un appello perché chi è in condizioni di farlo vada a donare il sangue. Centinaia di persone sono ancora accampate per strada
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L’emergenza è sempre più grave. La croce rossa lancia un appello perché chi è in condizioni di farlo vada a donare il sangue. Centinaia di persone sono ancora accampate per strada
BEIRUT — Il piccolo Libano in mezzo alla Grande guerra. Arriva da ogni lato, da terra, nei cieli, da sud, dove le truppe israeliane continuano a lanciare incursioni per preparare una invasione più ampia. Da Est, con i bombardamenti mai interrotti sulla Beqaa. E a Beirut, con le bombe che per tutta la notte danno fuoco a Dahiyeh, il sobborgo meridionale dove Hezbollah teneva il suo quartier generale, ora periferia fantasma.
Al mattino l’esercito israeliano emette un ordine di evacuazione per 28 villaggi del sud del Libano, fino al fiume Awali, e vuole dire più a Nord del Litani, la linea geografica e politica indicata dalle risoluzioni per la “zona cuscinetto” con Israele, che avrebbe dovuto essere ripulita dalle armi di Hezbollah e affidata al controllo dell’Esercito libanese. Altre migliaia di persone si mettono in fuga, una marea umana che risale verso Nord.
«Non riusciamo più ad accoglierli tutti, la situazione è molto difficile», dice Khalil Harfouche, il presidente della municipalità di Jezzine, paese cristiano a Est di Sidone. Riusciamo a raggiungere al telefono Milad Al Alam, il sindaco di Rmeich, un altro villaggio cristiano che è proprio sulla linea del fronte, dista un paio di miglia dal confine con Israele. È lì, a ridosso della Linea Blu, che le squadre speciali israeliane hanno iniziato le incursioni di terra. «Qui non sono entrati soldati dell’Idf e da quanto ne so non ci sono truppe israeliane in territorio libanese, ma ci sono pesanti bombardamenti nei villaggi intorno come Aita al-Shaab (che dista 4,5 km da Rmeich, ndr) e continui scambi di fuoco, artiglieria, sulla Linea Blu», racconta concitato. La linea cade di continuo. «La gente del mio paese è terrorizzata. Siamo isolati adesso, sia dai villaggi circostanti che dalle altre città come Sidone, Beirut, Tiro. Non possiamo arrivarci. Abbiamo scorte di acqua, cibo e benzina per una settimana».
Anche a Beirut l’emergenza è sempre più grave. La croce rossa lancia un appello perché chi è in condizioni di farlo vada a donare il sangue. Centinaia di persone sono ancora accampate per strada, a piazza dei Martiri e intorno. Ad Hamra, il vecchio quartiere cosmopolita del centro, molti negozi sono chiuse, interi appartamenti si sono trasformati in piccoli campi profughi, con anche 15 persone all’interno. Una situazione esplosiva, che potrebbe accendere scontri tra le comunità. Nel primo pomeriggio uno strike israeliano colpisce un appartamento all’interno di un edificio vicino all’ospedale Al-Zahraa, sulla strada che porta all’aeroporto, un quartiere finora non toccato dai raid. La paura adesso è che altre aree di Beirut possano diventare obiettivi.
«Con la sua guerra per conto dell’Iran Hezbollah ci ha trascinato in un guaio enorme», si accalora Charles, che ha appena finito di litigare con un fornitore. Vive nel quartiere cristiano, ha 60 anni, era bambino durante la guerra civile e le altre le ha viste tutte. «Volevamo uno stato libanese, ma senza armi è impossibile tenere testa a Hezbollah, l’unica milizia armata. Ci hanno conquistati. Ora Israele sta facendo il lavoro sporco per disarmali. Spero che da questo possa nascere un Libano diverso, uno stato sovrano difeso dal suo esercito, ma ho paura che questa guerra sarà lunga e non finirà bene». Charles vota per le Forze Libanesi, il partito della destra cristiana di Geagea principale forza dell’opposizione a Hezbollah in Parlamento. L’ordine non scritto che ha dato i militanti è quello di non criticare Hezbollah apertamente sui media per non alimentare tensioni. Ma la sensazione è che anche gli alleati storici del partito di Dio siano stanchi di combattimenti. Nabih Berri, il grande vecchio della politica libanese, capo di Amal, «sta cercando di assorbire lo choc per la morte di Nasrallah, ha paura che ci siano attacchi tra rifugiati sciiti e altre confessioni e ha deciso di sostenere la linea del cessate il fuoco e della risoluzione 1701 insieme al premier pro-tempore Miqati», dice una fonte vicina al partito.
La risposta iraniana a Israele arrivata coi missili balistici su Tel Aviv, però, può cambiare ancora lo scenario in Libano. Rianimare i combattenti di Hezbollah, che sono disposti lungo il confine, nei tunnel e nei bunker, pronti a dare battaglia alle truppe israeliane, con una significativa capacità di fuoco. Ieri sera mentre le tv mandavano in onda le immagini dei missili su Gerusalemme e Tel Aviv alcuni miliziani sciiti festeggiavano con i fuochi d’artificio a Beirut sud. Un’invasione di terra israeliana adesso può offrire a Hezbollah la possibilità di presentarsi di nuovo come movimento di liberazione, conquistando i cuori, se non le menti, di tanti libanesi che non vogliono le truppe dell’Idf sulla loro terra.
Nell’immagine: Beirut dopo i bombardamenti
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