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Di Jacques Pilet, BONPOURLATETE  

Joe Ackermann ha diretto il Credit Suisse (CS) negli Anni Novanta. Poi si è trasferito alla Deutsche Bank, di cui è diventato il primo presidente straniero. Dopo un passaggio nel settore assicurativo, oggi è un economista indipendente. Val la pena di ripercorrere un suo recente colloquio con Eric Gujer della NZZ, trasmesso dal proprio sito online nel programma “Standpunkte”. Ackermann spiega come a partire da un piccolo Paese, spinti da un’ambizione internazionale smisurata, navigando nelle acque insondabili e cangianti del “shadow banking” statunitense, si vada inevitabilmente incontro a numerosi rischi. Ieri, come oggi e come…domani. Soprattutto ricorda che UBS sognava da tempo di poter mettere le mani su CS: almeno dal 1998. Si trattava di un disegno strategico. Oggi realizzato. Realizzato grazie a quanto ottenuto il 19 marzo scorso: “un regalo” – è l’espressione che utilizza – del Consiglio federale. Il quale si è detto pronto a offrire all’operazione enormi garanzie, fino a 209 miliardi di franchi.

Si trattava dell’unica soluzione possibile, come ripetono i deputati “acquisiti” alla causa di UBS? Joe Ackermann non lo crede affatto. Altri scenari gli sembravano realizzabili. Tanto più che da circa un anno discuteva con qualche amico un piano di salvataggio per Credit Suisse, che con loro vedeva già esposto ai peggiori pericoli. Un piano basato sull’iniezione di capitali privati, e soprattutto su uno smembramento: concentrarsi sul mercato svizzero, e vendere il settore investimenti esteri. Ma in quei mesi durante i quali si accumulavano nubi pericolose, le autorità competenti, Dipartimento delle Finanze, Finma, Banca Nazionale, hanno dormito? Dopo qualche gentile esitazione, la sua risposta è netta: si, hanno dormito. Si sono basate su qualche rassicurante parametro, ma del tutto insufficiente per prendere le misure della gravità di una situazione che pericolosamente progrediva a grande velocità. 

In che modo questo “guru”, maestro di astuzia finanziaria, ha reagito all’annuncio dell’annessione? “Ottimamente come azionista di UBS, ma molto meno come cittadino svizzero”. Racconta di aver seguito la conferenza stampa dell’annuncio da Helsinki – sua moglie è finlandese –, e di aver subito avvertito una grande collera.  Decide allora di cercare in Internet i “curricula” delle otto persone che avevano preso una tale decisione: a parte i due esponenti dei rispettivi istituti bancari, tutti gli altri non hanno mai avuto ruolo dirigenziali in una banca. Certo, il Dipartimento delle finanze s’è circondato di consulenti zurighesi e americani (per un totale di spesa stimato a 20 milioni di franchi), ma si tratta di specialisti che aiutano a concretizzare decisioni già adottate, non certo a contribuire con proprie riflessioni sulle scelte da fare. 

Gli operatori di UBS avevano del resto preparato il terreno in modo ammirevole… Naturalmente si può pensare che Ackermann predichi a favore della sua parrocchia; ma è comprensibile che egli si sorprenda di fronte al fatto che nei giorni precedenti a uno “shock” di simili proporzioni non vi siano state consultazioni più ampie e approfondite. Arriva ad affermare che a suo giudizio i decisori si sono ritrovati “prigionieri”. Di chi? Non lo specifica. Ma è chiaro.

A confortare la sua tesi arriva una fresca informazione dell’agenzia americana “Bloomberg”. Dall’inizio dell’anno, assicura il network americano, il “patron” di UBS aveva costituito un piccolo gruppo di esperti, compresi quelli della sua ‘alma mater’ (sic) Morgan Stanley, allo scopo di pianificare l’acquisizione di Credit Suisse, ormai chiaramente sulla strada del fallimento. Il tutto circondato da un rigoroso “top secret”, e all’insaputa dei quadri della banca.

Ackermann naturalmente denuncia, senza reticenze, gli errori dei vertici di Credit Suisse. Ma ancor più chiama in causa la formazione e la preparazione dei quadri bancari in Svizzera. Le scuole non sottolineano abbastanza i rischi della finanza internazionale. Gli stati maggiori non praticano gli “stress test” come avviene per esempio in Germania, dove si simulano scenari di grave crisi e vengono studiati i mezzi per rispondere in una situazione d’urgenza. In parole semplici: i banchieri svizzeri sonnecchiano. Troppo sicuri di sé. Molto più “lontani” di quanto si immagini dalle manovre internazionali della finanza che si muove nell’ombra.

Il seguito degli avvenimenti, che Ackermann non evoca, sembra dargli ragione. UBS è vincente su tutti i fronti. Nessuna regolamentazione supplementare è dietro l’angolo: né sui fondi propri né sulle procedure di sorveglianza. Il Consiglio federale e in particolare la signora KKS (Karin Keller-Sutter) si affidano alle tesi dei beneficiari del “regalo” da parte governativa. Il rifiuto dimostrativo del Consiglio Nazionale nella recente sessione speciale ha un che di vessatorio per l’esecutivo, ma non gli impedisce di procedere. Quanto al problema delle obbligazioni convertibili del Credit Suisse (ben 17 miliardi!), gettati nella spazzatura contrariamente alle azioni, sarà semplicemente messo da parte dai giuristi della macchina federale, anche se taluni articoli di legge possono mettere in dubbio la legalità di una simile decisione, anch’essa adottata in nome del “diritto d’urgenza”.

Apprezzato conoscitore della materia finanziaria, il professore zurighese Marc Chesney aveva già elaborato dieci anni fa una lista di tredici misure con l’obiettivo di diminuire i rischi e garantire maggiore equità tra interesse privato e interesse pubblico. In particolare, preconizzando un sistema di bonus-malus, una micro imposta sulle transazioni, e la certificazione ufficiale dei prodotti finanziari. Tutte queste interessanti proposte rimangono però nel cassetto. Come mai? Perché una specie di “guardia parlamentare” serve la causa delle banche più di quella del popolo. Vi si trovano la destra, il centro e l’UDC, che per la platea ha detto “no” a Keller-Sutter ma al tempo stesso ha rifiutato di migliorare la regolamentazione. E taluni eletti della sinistra e dei Verdi risultano anch’essi molto esitanti quando rischiano di dispiacere a questa parte del mondo economico.

Come smuovere un tale rapporto di forze? Per cominciare, facendo in modo che si aprano gli occhi. È perciò urgente varare la commissione d’inchiesta parlamentare sulla storia di questo sisma finanziario. Con la possibilità di consultare tutti i documenti utili, e con gli interrogatori degli attori coinvolti nel settore privato come nell’amministrazione. Se questo lavoro è fatto fino in fondo, senza concessioni e compiacimenti, avremo la base per correggere un pezzo fondamentale del mondo elvetico.

Senza tutto questo, la grande banca svizzera – ma non poi così grande se guardata dagli Stati Uniti – affronterà i rischi legati allo “shadow banking” ed eventualmente una nuova crisi di fiducia, che sia orchestrata oppure no. In questo caso la Confederazione potrà nuovamente far piovere diverse centinaia di miliardi per salvare questa impresa diretta da incorreggibili megalomani? Porsi la domanda, è già un modo di rispondervi. 

Traduzione a cura della redazione
Nell’immagine: la vittima era stata designata (Béla Lugosi, Dracula 1931)






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