Un naufrago dei nostri tempi
In un libro vita e musica del grande trombettista Chet Baker
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In un libro vita e musica del grande trombettista Chet Baker
No, non servono anniversari e altre coincidenze cronologiche per tornare a parlare di Chet Baker, il Maledetto, il fragile e lirico gigante della tromba venuto dall’Oklahoma che ha segnato la musica jazz per almeno tre decenni, fino alla sua morte, ad Amsterdam, il 13 maggio 1988. Non aveva ancora 59 anni.
Se però a qualcuno le ricorrenze piacessero, da quella morte, avvenuta precipitando da un balcone del Prins Hendrik Hotel, sono trascorsi 35 anni. I primi album ufficiali risalgono invece al 1953, quindi esattamente a 70 anni or sono.
Di lui è stato scritto moltissimo, a tutti i livelli: non solo della sua musica, poiché la fragilità, le dipendenze, la vita disordinata, i periodi bui e la morte stessa – su cui si è romanzato a lungo – lo hanno spesso confinato alle pagine di cronaca nera e portato in galera.
Un anno dopo la sua scomparsa uscì, proprio ad Amsterdam, la prima edizione del ponderoso saggio di Jeroen de Valk Chet Baker. Vita e musica, che il suo autore – giornalista e jazzista – ha ulteriormente ampliato più volte: oggi lo possiamo leggere anche in italiano, in coedizione tra EDT Torino e Siena Jazz, tradotto e curato da Francesco Martinelli. Dal volume sta per essere prodotto Prince of the Cool che si aggiungerà a tutta una serie di film e documentari dedicati all’artista, il più famoso dei quali è il fortunato (e furbo) Let’s get lost, firmato dal fotografo Bruce Weber (1988). Il volto emaciato e tirato di Baker non poteva non colpire. Già a inizio Sessanta sia Alberto Lattuada che Dino De Laurentiis progettavano un film su di lui, appena uscito dal carcere di Lucca dove, tra il 1960 e il 1961, trascorse complessivamente oltre un anno e mezzo per possesso illegale di droga, contrabbando e furto. Nella città toscana c’è chi due volte al giorno per 5 minuti – tanti gliene erano stati concessi dal giudice – si recava sotto le mura del carcere ad ascoltarlo suonare in cella.
Dello straordinario musicista il libro ricostruisce l’intera esistenza facendo capo alla testimonianza diretta – tra le molte altre – della vedova e del tour manager che lo ha seguito come un fratello, risolvendone gli infiniti piccoli e grandi guai quotidiani, che rendevano incerto fino all’ultimo ogni concerto.
Altro pregio: in una cinquantina di pagine troviamo la discografia (per quanto possibile completa, soprattutto dopo le molte registrazioni dal vivo – clandestine o semi-clandestine (bootleg) – in circolazione), preziosa perché commentata. Non mancano, nei giudizi, le bocciature a molti album dei quali Baker per primo non era convinto e che incise solo per raggranellare qualche soldo (di cui era costantemente a corto), o nei quali ebbe un ruolo del tutto marginale. Ultimo dettaglio tecnico: come nei saggi migliori, sono presenti una bibliografia ragionata e un ricchissimo indice analitico, nel quale compaiono i nomi – spesso sorprendenti – che hanno incrociato un tratto di cammino con Chet.
Ci sono i grandi, con i quali ha condiviso il palco e gli studi discografici: Charlie Parker, Gerry Mulligan (del cui leggendario quartetto fece parte all’inizio degli anni Cinquanta), Stan Getz, Miles Davis, Russ Freeman, il fisarmonicista belga Toots Thielemans, Enrico Pieranunzi. Ma anche nomi e gruppi che non ti aspetti, come l’Orchestra di Ennio Morricone (in un album del 1962 in cui Baker canta anche, in italiano); Armando Torvajoli; Fausto Papetti; la Mariachi Brass; Dalida, che accompagnò dal vivo; Elvis Costello; il cantautore francese Jean-Jacques Goldman. E come non ricordare, dulcis in fundo, il disco registrato con la grande Caterina Valente?
Chet – io c’ero e lì nacque la mia passione per il musicista – venne anche a Lugano, ospite di Estival Jazz, mercoledì 2 luglio 1980, accompagnato da ottimi e fedeli session men italiani (Nicola Stilo, al flauto, colui che probabilmente lo ha affiancato più di chiunque altro fino alla fine; il bassista Riccardo Del Fra; Tullio De Piscopo). “Stilo (…) riempiva molto spazio con i suoi lunghissimi assoli, lasciando la possibilità alle labbra di Chet (nota: che già nel 1966 dovette farsi estrarre gran parte dei denti dopo un pestaggio con uno spacciatore. I dolori lancinanti e l’uso della dentiera lo costrinsero ad abbandonare la musica: fu Dizzy Gillespie, che lo riconobbe addetto a un distributore di benzina, a convincerlo a riprendere a suonare) di riposare e prepararsi per il pezzo successivo”.
La serata luganese – tre brani tra i 13 e i 20 minuti ciascuno – la possiamo riascoltare facilmente su YouTube. Ma – suggerimento personale – ascoltate anche gli album Diane (1985, con il pianista Paul Bley) e Chet Baker in Tokyo (1987, dal vivo).
Parola finale a Mina: “Adoro Chet Baker. Lo amo quando suona, ma quando canta mi sembra un angelo. Un angelo cupo, solitario, pensoso, rancoroso, dolente, ma abbagliante. Usa il cervello, non la voce. Usa l’anima, non la gola. Sono pazza di lui”. Non si potrebbe dire meglio!
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