Dentro l’assalto di Capitol Hill
In un libro di Luke Mogelson il racconto delle ore vissute in mezzo alla violenza ed il caos di un moto di protesta voluto, provocato e sostenuto da Donald Trump. Di Werner Weick
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In un libro di Luke Mogelson il racconto delle ore vissute in mezzo alla violenza ed il caos di un moto di protesta voluto, provocato e sostenuto da Donald Trump. Di Werner Weick
• – Redazione
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In un libro di Luke Mogelson il racconto delle ore vissute in mezzo alla violenza ed il caos di un moto di protesta voluto, provocato e sostenuto da Donald Trump. Di Werner Weick
“Personalmente. non ho mai dubitato che, in circostanze particolari, anche gli Stati Uniti verrebbero trascinati nelle stesse spirali di violenza che vediamo all’estero. Ma quali sarebbero queste queste circostanze particolari ? Per tutto il 2020, girando l’America per il “New Yorker”, ho visto la frustrazione per le politiche di contenimento del covid-19 montare fino a prendere la forma di un fanatico movimento antigovernativo, che dopo una fase di opposizione militarizzata alle richieste di giustizia sociale è degenerato in una vera e propria crociata contro la democrazia”.
Luke Mogelson, autore di questa riflessione, ha esplorato per anni la galassia di una setta millenaristica nata su internet che profetizzava un assassinio di massa moralmente giustificato. Dopo l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio del 2020, un turbine furioso di propaganda ha completamente offuscato la realtà. I crimini di odio, in particolare contro la popolazione di colore sono schizzati alle stelle. La fiducia nella stampa e nel sistema di governo americano sono andate in pezzi. Parlare di guerra, rivoluzione e addirittura apocalisse è entrato a far parte della vita quotidiana.
Luke Mogelson è uno degli inviati di spicco del “New Yorker” e ha già coperto a lungo altri teatri di guerra: Iraq, Afghanistan e Siria. In “La tempesta è qui” (Mondadori), Luke Mogelson descrive in una sessantina di pagina ogni dettaglio dell’incredibile assalto dei seguaci di Trump al Campidoglio. È in mezzo alla sommossa, e registra ogni cosa con il telefonino. Si chiede e domanda dove sia la polizia. Saprà solo più tardi che il Pentagono risponderà soltanto tre ore dopo alla richiesta di invio della Guardia nazionale, che verrà con 154 soldati. Intanto Trump seguiva l’assalto dallo Studio Ovale della Casa Bianca visibilmente contento davanti alla televisione a godersi il caos. Quando alle otto di sera il Congresso si ritrova, i voti repubblicani favorevoli a ribaltare il risultato elettorale sono 147. Centoquaranta deputati hanno misconosciuto il voto popolare e scelto, per vigliaccheria, di stare dalla parte dei Proud Boys, dei Groypers. dei Three Percenters, degli Oath Keepers, di QAnon, dell’uomo con la maglietta CAMP AUSCHWITZ, della donna che aveva fatto Sieg Heil e rubato il laptop di Nancy Pelosi per venderlo ai russi e dell’orda che aveva brutalizzato e cercato di uccidere i poliziotti, che in verità erano lì per proteggerli.
L’erosione della fiducia collettiva ha offerto a Trump il pretesto per tentare modifiche del processo elettorale. In Georgia, una legge quadro ha reso più costoso il voto a distanza, difficilissimo l’accesso alle apposite cassette, un crimine l’offerta di cibo e acqua agli elettori in fila. E ha imposto ulteriori restrizioni al voto ai seggi. Le nuove misure erano tese a colpire i distretti urbani popolosi come Atlanta, in maggioranza democratici e neri. Con provvedimenti analoghi, in una quantità di altri stati si è tentato di condizionare l’afflusso alle urne dei democratici e di trasferire la supervisione dei poteri dagli amministratori indipendenti alle legislature repubblicane. Il Texas, ad esempio, ha completamente bandito i seggi drive-through, e quelli aperti anche in notturna. Nel 2020, questi servizi erano stato utilizzati (senza incidenti) da 140.000 residenti della contea di Harris, di cui fa parte Houston, la città con la composizione etnica più variegata d’America.
“Se l’America perde il suo nucleo demografico bianco, e la sua fede in Gesù Cristo, non è più l’America. Questo paese l’hanno fondato i bianchi e non esisterebbe senza di loro” (Nicholas Fuentes). Gli arrestati per i reati commessi il 6 gennaio sono più di ottocento. Prima del suo ultimo giorno da presidente, Trump ha graziato un elenco interminabile di donatori repubblicani, lobbisti, celebrità, amici, partner commerciali, gestori di fondi speculativi e manager condannati per reati come evasione fiscale, frode postale, frode bancaria, frode telematica, frode assicurativa, frode finanziaria, frode sanitaria, corruzione, estorsione, racket e riciclaggio.
Dopo il 6 gennaio almeno una ventina di democratici eletti alla Camera hanno annunciato le dimissioni. “La cosa incredibile era la sensazione che tutto potesse ricominciare, perché niente era ancora deciso e perché nessuno sapeva come sarebbe andata. Non l’orda, né i giornalisti, né i soldati, né i poliziotti. L’apprensione della polizia era forte quanto l’energia grezza dei trumpiani. Dopotutto, comunque andasse, problemi loro non ne avrebbero avuti. Nessuno avrebbe passato la notte in cella. O all’ospedale. O all’obitorio. La città era loro, e anche il paese. Mi ha sorpassato un uomo con una maschera di Halloween di gomma, Non credendo ai miei occhi, mi sono voltato appena in tempo per vederlo entrare nella mischia.
In mano aveva un cappio.”
Fra poco in libreria un nuovo libro di Mario Casella, dedicato al fotografo bleniese Roberto Donetta
Originalità e spirito di ricerca sono l’eredità lasciata dal musicista inglese