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Collasso Afghanistan, tragica resa dei conti

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Aldo Sofia
Aldo Sofia
Collasso Afghanistan, tragica resa dei conti
• 15 Luglio 2021 – Aldo Sofia
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Qualche sera fa: le immagini di soldati che si arrendono, trascinati fuori dal loro fragile presidio, inutilmente supplichevoli, massacrati sul posto, poi i corpi martoriati, ripresi da un telefonino. Altre immagini: una colonna di famiglie in fuga, i bambini sulle spalle, uno facilmente distinguibile per la giacca a vento coloratissima, qualche borsone, di quelli che contengono più che altro disperazione e paura.

È l’Afghanistan. L’Afghanistan stretto nella morsa micidiale e implacabile dell’avanzata talebana, ma non solo. Il pensiero va anche a due colleghi e amici, Roberto Antonini e Philippe Blanc, che vi girano un documentario per la RSI. Poche ore fa ho ricevuto un loro messaggio, domani lasceranno quell’inferno, ‘Le Royaume de l’insolence’ come lo definì anni fa un libro che raccontava la tenace e secolare resistenza del paese a qualsiasi tentativo di invasione e dominio stranieri. “Stiamo bene – dice l’sms – ma qui la situazione è davvero allucinante. I Talebani sono a 10 km da Kabul, hanno già conquistato diverse province, la gente è terrorizzata, chi può scappa, ogni giorno attentati anche in città, sembra un crudele countdown”.

Il paese della guerra infinita torna così alla casella di partenza. La ritorsione militare dell’Occidente – a guida americana – per gli attentati dell’11 settembre doveva punire l’Al Qaeda di Bin Laden, annientare gli ‘studenti islamici’ afghani loro alleati e protettori, prosciugarne le basi e gli arsenali, dare respiro e prospettive a una nazione che da oltre cinquant’anni conosce solo la guerra. Missione fallita. Sconfitta in quello che per gli americani è stato il conflitto più lungo della loro storia. Precipitoso e assai poco nobile ritiro. Promesso prima da Trump, poi realizzato da Biden, viatico ad un collasso che si sta realizzando.

Non c’è solo il ritorno dei Talebani, ma di tutti gli ex signori della guerra, gli Ismail Kahn, i Dostum, gli Hetmaktiar, e tanti altri che si sono adattati fra le pieghe dei contingenti Nato, ma sempre pronti a riprendere anche con la forza il controllo delle loro tribù, etnie, territori più o meno estesi, per riprodurre i loro piccoli e irriducibili regni. Con in più i reduci dell’Isis, che in quel disordinato mosaico sperano di ottenere il loro riscatto, un nuovo ‘Califfato dell’Afghanistan’. Al prezzo di altre tragedie, altri morti, altre sopraffazioni, fra cui l’annientamento di quelle piccole-fragili libertà consegnate alle donne in questo interludio, in questo lungo intermezzo di cui era fin troppo facile pronosticare la fine.

Continueremo a proteggervi, fu lo spergiuro dei contingenti e delle nazioni occidentali in ritirata. Senza dire come, senza un moto di imbarazzo. Così come non li aveva imbarazzati l’inutile farsa di un negoziato definito segreto ma che segreto non fu, anzi assai pubblicizzato, e che in realtà doveva consegnare il paese, o gran parte di esso, ai rivoltosi: in sostanza alle composite formazioni islamiste e mujaheddin, più o meno radicali, che avevano già umiliato i sovietici, contribuendo al rovinoso, definitivo collasso dell’URSS.

E c’è dell’altro, non meno pericoloso, nell’immediato futuro del paese. C’è la quasi certezza che i diversi protagonisti della futura guerra civile trovino ciascuno il sostegno di sponsor assai interessati a contrastare (con aiuti finanziari e armamenti) l’altrui ostile influenza. Dal Pakistan all’India, dall’Iran all’Arabia saudita, dalla Turchia alla Cina alla Russia. Un nuovo Libano, o una nuova Siria, dove potenze regionali e non si fanno la loro guerra per interposta persona, o si illudono di poterci riuscire.

Prospettive che rimettono in marcia migliaia di profughi angosciati. Verso gli ostili lidi di un’Europa che teme nuove pericolose instabilità. Verso i porti chiusi. Verso le bloccate vie di fuga balcaniche. Afghani traditi più volte. Dai loro capi-clan. Dagli ex protettori che se la sono data a gambe levate. E anche da una politica migratoria che fin qui ha concesso loro poco, pochissimo. Anche in Svizzera, infatti, gli afghani che hanno ottenuto asilo si calcolano col contagocce. Osteggiati quanto e forse più di altri fuggitivi. Già, perché quella d’Afghanistan era la ‘nostra guerra’, i potenti eserciti della Nato erano impegnati a portare libertà e democrazia, era dunque impensabile che i fuggitivi rifiutassero la protezione del nostro scudo militare: dunque che se ne tornassero nella ‘casa protetta’ ma regolare bersaglio del fuoco amico. Pagine vergognose. In attesa di altri capitoli non meno vergognosi.






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Aldo Sofia
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