Il cambiamento climatico obbliga a una scelta di campo
Dinanzi a ondate di caldo e altri fenomeni estremi, i media devono spiegare che oggi agire è più urgente che mai
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Dinanzi a ondate di caldo e altri fenomeni estremi, i media devono spiegare che oggi agire è più urgente che mai
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Dinanzi a ondate di caldo e altri fenomeni estremi, i media devono spiegare che oggi agire è più urgente che mai
“Abbiamo un sistema bipartitico e uno dei due partiti è antidemocratico”. La constatazione è di Jay Rosen, professore di giornalismo alla New York University. Rosen parla degli Stati Uniti e si rivolge ai giornalisti per sottolineare che il modello che consiste nel dare voce a entrambi le parti, invalso nel giornalismo politico non solo americano, non è ormai più praticabile visto il crescente estremismo del partito repubblicano. “L’asimmetria tra i due partiti maggiori ha fatto saltare i circuiti del giornalismo mainstream”, scrive, “e ora bisogna immaginare come uscirne”. Ciò che inevitabilmente comporterà una scelta di campo.
Cosa c’entrano queste riflessioni con un’estate in cui abbiamo assistito a temperature record in molte regioni dell’emisfero nord per un’ondata di calore che tuttora imperversa, in cui si sono scatenati incendi furibondi che fanno terra bruciata di regioni grandi tre volte la Svizzera, in cui nel golfo del Messico abbiamo visto il mare in fiamme, in cui nel nostro Paese siamo stati investiti da piogge torrenziali e stiamo ora facendo la conta dei disastri causati dal maltempo?
Anche qui, l’urgenza che i media facciano una scelta di campo. I fenomeni che ho appena descritto sono sintomi del cambiamento climatico, sono un assaggio di quel che ci aspetta. Per chi ancora avesse dei dubbi, questo studio, frutto della collaborazione di ricercatori statunitensi, canadesi, inglesi, olandesi, francesi, tedeschi e svizzeri, definisce “virtualmente impossibile” il caldo estremo registrato nell’America nord-occidentale “senza il Cambiamento climatico causato dall’uomo”.
Proprio per questo, sarebbe tempo e ora che i media sottolineassero l’urgenza di invertire rotta e prendere tutte le misure necessarie a ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Perché altrimenti diventano “facilitatori” dei “crimini climatici”, come scrive George Monbiot in un bel commento pubblicato negli scorsi giorni dal Guardian. Crimini i cui esecutori sono l’industria del carbone, del petrolio e del gas, sottolinea l’ambientalista britannico, ricordando il rapporto interno della Exxon che nel 1979 concludeva che l’uso di combustibili fossili “provocherà effetti ambientali drammatici prima del 2050” e una nota del 1982, sempre della Exxon, che definiva “unanime” il consenso scientifico sugli effetti dell’aumento dei gas a effetto serra nell’atmosfera. Risultato, l’industria petrolifera investì milioni di dollari in think tank il cui solo scopo era alimentare il dubbio. Tattica pagante, perché i media hanno dato ampio spazio a questi presunti esperti, contrapponendoli a ricercatori e attivisti che lanciavano l’allarme: “Se le compagnie petrolifere devono essere chiamate a risponderne – conclude Monbiot – altrettanto vale per i media che hanno amplificato la loro voce”.
E ancora lo fanno, come sottolinea su Twitter Stephen Barlow, citando un articolo sull’ondata di calore nordamericana di Roger Harrabin, specialista di questioni energetiche e ambientali della BBC. Un buon articolo, scrive Barlow, che si conclude però con una frase incomprensibile: “Come immaginiamo si metteranno le cose con un aumento di 2 gradi, fino a poco tempo fa considerato un livello di cambiamento relativamente ‘sicuro’?”. Sin dagli anni ‘90, i 2 gradi di aumento delle temperature sono in realtà un limite massimo, da non superare assolutamente (si veda questo articolo di Carbon Brief).
Com’è possibile che Harrabin, al pari di altri giornalisti specializzati, commetta un simile errore? Secondo Barlow, si tratta di Groupthink, del tentativo di giungere a un consenso interno alla categoria a scapito della realtà dei fatti. Invece di informare si è optato per la difesa del modello economico attuale, scrive Barlow: “Nel corso degli ultimi 30 anni – conclude – al pubblico è stato fatto credere erroneamente che avessimo tutto il tempo per trovare una soluzione all’emergenza climatica”.
Oggi, non ci possiamo più permettere errori simili. Se negli Stati Uniti i giornalisti devono scegliere tra la salvaguardia della democrazia e un concetto di equilibrio ormai superato, nell’ambito climatico la scelta è tra una concezione errata dell’obiettività e la salvaguardia della vita della nostra specie su questo pianeta.
Non è una responsabilità da poco.
Immagine Flickr/Jeanne Menjoulet
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