L’alchimia delle alleanze elettorali
Fra slogan, silenzi e litigi gli schieramenti politici si avvicinano alla prova delle urne e alla sfida ad un comune “fantasma”: l’astensionismo
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Fra slogan, silenzi e litigi gli schieramenti politici si avvicinano alla prova delle urne e alla sfida ad un comune “fantasma”: l’astensionismo
• – Enrico Lombardi
Le ultime mosse dell’autarca Daniel Ortega e della moglie Rosario Murillo, campioni di cristianità sulla carta e poi ossessionati da quanto la Chiesa potrebbe fare a presunto danno della loro dittatura
• – Gianni Beretta
Cercare di spiegare il presente senza ricorrere a categorie derivanti dalla spuma di superficie delle scelte politiche
• – Paolo Favilli
Storie di vite in fuga, chiamate a ricucire lo strappo dell’esilio, a riannodare i fili della propria identità lacerata
• – Raffaella Carobbio
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• – Enrico Lombardi
Le reazioni e le manovre del clero tradizionalista americano e dei suoi sostenitori all’operato decennale di papa Francesco
• – Silvano Toppi
• – Franco Cavani
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• – Ruben Rossello
Al centro della vicenda, al tramonto dell’era Eltsin, il Kremlingate, un affare giudiziario internazionale con protagonista una società di Paradiso
• – Federico Franchini
Scontro ai voti, in Gran Consiglio, sul tedesco in Prima Media: ha prevalso, una volta di più, un’idea “strumentale” di formazione scolastica, tutta orientata verso gli sbocchi professionali
• – Adolfo Tomasini
Fra slogan, silenzi e litigi gli schieramenti politici si avvicinano alla prova delle urne e alla sfida ad un comune “fantasma”: l’astensionismo
A poco più di due settimane dalla scadenza elettorale, una buona parte degli elettori pare ancora incerta, non tanto su chi votare, ma se votare, tout court. È quanto rivela un recentissimo sondaggio pubblicato dal sito RSI, in cui si segnala come il 42% degli interpellati non ha ancora deciso se andrà alle urne (o ha deciso che non ci andrà) ed un 22% dice di volerci andare ma senza sapere per chi votare. Un paese, verrebbe da dire, che non sa bene a che santo votarsi per uscire da una situazione di crisi cui la classe politica non pare reagire in modo convincente.
A contribuire a questo senso di “scollamento” che parrebbe prevalere, concorre certamente anche l’esito di un precedente sondaggio della RSI, annunciato in occasione del primo appuntamento con gli speciali elettorali televisivi del lunedì, che in sostanza aveva profilato un esito quasi scontato per quanto riguarda il Consiglio di Stato: uno status quo (frutto anche del sistema elettorale) in cui tutti gli uscenti si vedrebbero confermati, accompagnati, al posto di Manuele Bertoli, da Marina Carobbio, l’unica nel Cantone ad esprimersi (per forza, e per eleganza) in termini scaramanticamente dubitativi circa la propria elezione, peraltro blindatissima.
Il fatto è che proprio mentre si afferma e riafferma, in sede di dibattiti e commenti, come il quadriennio che ci lasciamo alle spalle sia stato particolarmente complesso e fin drammatico, si deve malauguratamente constatare che l’attività parlamentare ed i rapporti fra esecutivo e legisalativo sono unanimemente considerati piuttosto deficitari. A sentire gli addetti, insomma, in Consiglio di Stato c’è compattezza perché ognuno dei cinque fa quel che vuole nel proprio dipartimento e perché a livello di Gran Consiglio si passa più tempo a proporre o vagliare mozioni ed interpellanze che a decidere davvero qualche chiaro cambio di rotta (anche nella politica governativa). In questo contesto di stallo si stagliano stigmatizzabili votazioni divisive in cui prevale regolarmente lo schieramento di (centro) destra: basti pensare al “famigerato” decreto Morosoli.
Per il resto, e in buona sostanza, tutto rimane più o meno fermo e, diciamolo, ben poco incoraggiante, tant’è vero che sono 26 (su 90) i parlamentari che non si ripresentano, per ragioni varie, e qualche volta anche esplicitamente dichiarate come frutto di frustrazione. È vero, nel contempo, è nettamente aumentato il numero dei candidati: a questa nuova tornata elettorale sono quasi mille, ovvero quasi uno ogni 250 aventi diritto di voto, ma anche questo dato appare addirittura preoccupante poiché passibile di produrre un ulteriore frazionamento fra gli schieramenti, un frazionamento che non giova al funzionamento del parlamento.
Al paventato frazionamento si oppone una strategia di “alleanze” che a sinistra come a destra ha portato a due liste unitarie per il Consiglio di Stato e rappresenta l’elemento che forse ha maggiormente creato discussioni finora in questa campagna. Alleanze, in verità, per modo di dire, più sulla carta che di fatto, e tendenzialmente volte a garantire i seggi in governo.
A sinistra, l’alleanza rosso-verde, dopo la conclusione della telenovela color fucsia in casa socialista, garantirà il posto in Consiglio di Stato a Marina Carobbio, ma con una previsione di voto ben poco entusiasmante, tant’è vero che per il Gran Consiglio (dove PS e Verdi corrono separati) non sembra profilarsi alcun guadagno di seggi, anzi. Se si pensa che, ad inizio campagna, dal fronte rosso venivano ipotesi di raddoppio in Governo…
Come ha detto recentemente Pietro Martinelli a “Matrioska” (su Teleticino, lo scorso 13 marzo), quello rosso-verde dev’essere interpretato come un progetto a medio o lungo termine, proiettato ben oltre la prossima scadenza elettorale. È un’alleanza che si fonda su una profonda convinzione: quella per cui non esiste giustizia sociale senza giustizia climatica (per dirla alla Elly Schlein) e che dunque si costituisce per affrontare congiuntamente questi due importanti e connessi obiettivi. Insomma, più che un’alleanza puramente elettorale (o elettoralistica) è il frutto di una necessità di compattare il fronte comune sulla sostanza dei temi scottanti da affrontare. Certo, sacrosanto, ma poi non può non venire da chiedersi perché, in quest’ottica, ancora nulla si sa o si capisce, in vista delle elezioni federali.
Perché un tale complesso obiettivo programmatico comune, dovrebbe pur avere degli interpreti di rilievo, almeno quanto lo è Marina Carobbio. Mario Branda, su “laRegione”, ha aperto un varco, immaginando una campagna d’autunno che congiuntamente sostenga una candidatura verde. Non ci vuole tanto per darle un volto e un nome: Greta Gysin. Ma si potrà pensare davvero ad una battaglia convinta e unanime (come per Carobbio in Governo) per Gysin agli Stati? I voti faticosamente (e miracolosamente) raccolti quattro anni fa per mandare Carobbio alla camera alta di Berna, saranno ancora gli stessi (e sufficienti) per far eleggere Greta Gysin (dopo che ci saranno state delle discutibili “suppletive”)? Poi verranno le comunali, e forse a quel punto un qualche bilancio andrà pur aggiornato.
Dall’altra parte, l’alleanza Lega – Udc ha ormai assunto le sembianze di un teatrino da grand guignol, con gli attori che entrano ed escono dalla porta parlando male, ciascuno, di quello che è appena uscito o non ancora entrato. Poi, alla fine, come gli attori di una qualsiasi lodevole filodrammatica, usciranno insieme tenendosi per mano ed inchinandosi al pubblico plaudente, che (forse) si è molto divertito.
Fuor di metafora, resta da chiedersi a chi giova, dentro un fronte politico che, piaccia o no, determina fin troppo chiaramente l’agenda politica cantonale, che non passi giorno senza che da una parte o dall’altra si calpesti bellamente ogni principio di fair play per spararle grosse, sin dagli slogan: “continuità”, è la parola d’ordine della Lega (quella “governativa”); “cambiamo ora” è quella, quanto meno paradossale, di Piero Marchesi e soci: naturalmente ognuno per sé, sui propri “santini”, sulle inserzioni, sui cartelloni propagandistici, dove i due schieramenti ed i loro candidati di punta non appaiono mai assieme. Se ne è preoccupato apertamente un vecchio lupo di mare della destra cantonale come Pierre Rusconi, che a gran voce ha detto agli amici di smetterla. Ma in fondo, viene da chiedersi, non è anche lui, magari, un personaggio, seppur “fuori scena”, dello spettacolino?
Proviamo a pensarci un attimo: quello che intanto sta succedendo, fra una “bega” e l’altra, è che l’elettorato distratto (che a sinistra si domanda cosa serva votare se l’esito è scontato) a destra è chiamato a serrare i ranghi: leghisti di qua, udicini di là, tutti richiamati all’ordine (di scuderia). E se fosse la paradossale mossa vincente? Se, in fondo, oltre ogni apparenza, dicessero poi tutti la stessa cosa?
Sì perché, diciamocelo, davvero paradossale la situazione lo è: Bignasca che invoca la continuità (minacciando di tornare sulle barricate) come Marchesi che stentoreo ci dice che bisogna cambiare non domani o dopo, no, “Ora!”, cioè quando lì a destra hanno appena vinto un’altra volta sulla questione del tedesco in prima (per dire): ma è mai possibile? C’è una logica dentro il fatto che il “Mattino” in queste ultime settimane faccia il pompiere quando da anni incendia tutto quel che gli passa davanti?
Forse si tratta di stucchevoli o trascurabili elucubrazioni su aspetti marginali della campagna. È che, in mancanza d’altro, nell’immutabilità di un panorama politico che per l’ennesima volta si ripropone tale e quale (si vedano, ad esempio, le performances televisive dell’orsiniano Pamini o dell’incazzoso Pronzini), resta qui, nel vero o finto autolesionismo dell’alleanza di destra, la curiosità maggiore, che sarà soddisfatta solo dopo il 2 aprile.
Ah, già, c’è anche un bel binomio (di partitoni storici) in mezzo: ma lì tutto tace, benché (Speziali dixit) si sarebbe “picchiato come fabbri sui temi”. Sarà per un’altra volta.
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