Lara, o della gioia sublime: oro nel supergigante olimpico
Il cerchio è chiuso: in pista ha sempre ragione lei
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Il cerchio è chiuso: in pista ha sempre ragione lei
E definirla “Piccola Tigre”? No, perché se la tigre richiama l’artiglio e la bellezza maestosa della bestia, quel piccolo potrebbe sminuire la portata dell’impresa di Lara: una grande vittoria, una prodezza che supera anche quelle recenti dei mondiali, quando a Cortina vinse l’oro nel gigante e nel supergigante e fu terza in discesa.
Ma l’Olimpiade è un’altra cosa, è legata al mito. Bisognerebbe pagare tributo ai numi del monte Olimpo che l’hanno creata, ufficialmente nel 776 avanti Cristo: Pindaro dice che la vittoria a Olimpia brilla più dell’oro. E dunque, dopo il bronzo di 4 anni fa a Soči, battuta da Dominque Gysin e Tina Maze a pari merito, sconfitta sopportata a muso duro, ecco che Lara azzecca l’ennesima gara perfetta e batte l’austriaca Puchner e la sua (formale) compagna di squadra Michelle Gysin che sul podio festeggia la sua prodezza (dopo il disastroso slalom) piangendo nemmeno avessero tagliato la coda al suo gatto preferito.
In realtà il suo oro olimpico Lara l’ha vinto nel gigante, quando è risalita dall’ottavo al terzo posto con una seconda manche da piccola-grande tigre: lì abbiamo capito che avrebbe vinto il supergigante. La pista cinese non è delle più belle: il tratto finale è troppo piatto, dà troppa importanza al materiale, alla potenza fisica e alla scorrevolezza. La sezione centrale invece è bellissima, con una sequela di curve paraboliche come non si vedono da nessuna parte, da sci acrobatico quasi: è lì che Lara ha costruito la vittoria con una straordinaria intelligenza nella scelta della linea, simile a quella di Feuz, salvo che lei la usa per pennellare le curve a raggio più stretto: sa esattamente in che misura la traiettoria va anticipata, sa sino a che punto bisogna puntare sul palo, sull’interno della curva, senza correre il rischio di dover frenare, non per evitare d’incocciare la macchina che arriva di fronte, ma per evitare la correzione in uscita.
Non per nulla il supergigante è la sua specialità d’elezione: contrariamente alla discesa il disegno del tracciatore si può solo osservare, in pista non si entra. Tutto sta ad avere il tracciato impresso nella memoria, ben visibili i punti, i tempi dell’attacco e della chiusura. Alla fine ha salvato pochi centesimi, 22 sull’austriaca Puchner, 30 sulla Gysin. Ma l’ha spuntata malgrado il finale atipico, brutto e piatto.
A questo punto Lara potrebbe anche (si fa per dire) tornarsene a casa dalla mamma o dal suo Valon (anche in ordine inverso). Farà naturalmente la discesa, che non sarà molto diversa, anche se più aperta. Paradossalmente non è lei la favorita, questo non vuol dire che non possa vincere.
Oltre all’oro e alla sublime, raggiante gioia che traspare dal suo volto, Lara ci regala un abbraccio commovente al papà-allenatore, qualche lacrima sul podio e qualche strofa dell’inno elvetico: si, una dura, ma non troppo, quasi come uno o una di noi, come la Doris o la Michela: forse in qualche caso ha dovuto essere scostante, magari anche astiosa, per potersi meglio concentrare sul traguardo di una vita: vincere l’oro olimpico. Ci credeva solo lei, e Pauli, forse, dopo l’infortunio patito a S. Moritz 5 anni fa: ha dovuto ricominciare da zero, nel gigante sembrava aver disimparato a sciare. Con l’aiuto di papà Pauli è tornata più forte di prima. Chapeau.
Immagine dalla diretta RSI
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