Le parole sono pietre
Intorno all’uso delle parole per aggiornare, omologare, censurare in nome dell’ortodossia
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Intorno all’uso delle parole per aggiornare, omologare, censurare in nome dell’ortodossia
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Intorno all’uso delle parole per aggiornare, omologare, censurare in nome dell’ortodossia
Le parole sono pietre. Possono fare molto male. Per questo è giusto usarle con misura. E con rispetto. E tenendo conto delle nuove sensibilità che ogni epoca sviluppa. Parole che erano di uso comune oggi sono impronunciabili. Se diciamo gay, invece di usare uno dei tanti orribili epiteti in uso fino a pochi anni fa, non è perché siamo diventati più gentili. È perché siamo diventati più intelligenti.
Il problema è che dalle migliori intenzioni possono nascere le peggiori sopraffazioni. Molte dittature sono nate dal desiderio, o dall’illusione, di levare il male dal mondo. Di renderlo “puro”. Nel nome della purezza sono stati commessi i peggiori crimini. Le rivoluzioni nascono come movimento di liberazione, poi diventano ortodossia. Ortodossia viene dal greco, vuol dire “retta opinione”. Tutte le altre opinioni, dunque, non sono rette. Sono storte, e vanno raddrizzate. Nel nome dell’ortodossia venne bruciato Giordano Bruno. Nel nome dell’ortodossia Stalin mandò i suoi sicari a uccidere Trotzky. Nel nome dell’ortodossia il regime iraniano impicca le sue figlie e i suoi figli. Nel nome dell’ortodossia il patriarca Kirill benedice la guerra di Putin.
Al politicamente corretto sta accadendo esattamente questo. Sta diventando una forma di ortodossia, dunque di censura e di oppressione. È notizia di questi giorni: un grande scrittore inglese per ragazzi, Roald Dahl, è stato sottoposto a riscrittura. Parole come grasso, nero, adunco, parole relative all’aspetto fisico dei personaggi delle fiabe, sono state cancellate. Scopo di questa censura è “non urtare la sensibilità moderna”.
Ovviamente, non esiste una sensibilità moderna. Ne esistono cento. Ciò che irrita me, magari non irrita te, e viceversa. Per prudenza, cancelliamo tutto. Così nessuno si irrita più. La nuova ortodossia è creare un mondo sterilizzato, morbido, senza spigoli. Cancelliamo il conflitto, la contraddizione, l’urto della vita. E quello che è stato scritto cento anni fa, in tutt’altro contesto, con tutt’altra sensibilità, viene adeguato al presente. Cancellando e riscrivendo.
George Orwell, nel suo famoso romanzo distopico, 1984, scrive così: “Ogni registrazione è stata distrutta e falsificata, ogni libro riscritto, ogni quadro ridipinto, ogni statua e monumento rinominati, ogni data alterata. L’intera letteratura del passato sarà distrutta. Chaucer, Shakespeare, Milton, Byron, esisteranno solo nella versione riscritta, nel nuovo linguaggio, non solo cambiati in qualcosa di differente, ma in qualcosa di opposto a quanto volevano essere”.
Qualcosa di opposto a quanto volevano essere… riuscite a immaginare qualcosa di più violento? Riscrivere un libro per fare dire al suo autore quello che non aveva voluto dire? Se vi sembra terribile: lo è. E sta già accadendo, soprattutto in America e nel mondo anglosassone.
Noi europei forse siamo ancora in tempo a dire di no. Non esiste un modello uniformato, incolore e inodore, di arte. Non è mai esistito e non esisterà mai. Sempre Orwell, sempre 1984: “ortodossia significa non pensare, perché non ce n’è più bisogno. L’ortodossia è incoscienza”.
Riscrivere Roald Dahl è stato, appunto, da incoscienti. Se quell’editore incosciente leggesse Orwell, forse capirebbe meglio la gravità di quello che ha fatto. Ma forse è meglio di no, è meglio che quell’editore non rilegga Orwell. Perché lo riscriverebbe.
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