L’esercito svizzero si surriscalda
Inquietanti dichiarazioni bellicose dei vertici del nostro esercito, con tanto di richieste miliardarie: ma delle spese militari non dovrebbe anzitutto occuparsi la politica?
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Inquietanti dichiarazioni bellicose dei vertici del nostro esercito, con tanto di richieste miliardarie: ma delle spese militari non dovrebbe anzitutto occuparsi la politica?
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Inquietanti dichiarazioni bellicose dei vertici del nostro esercito, con tanto di richieste miliardarie: ma delle spese militari non dovrebbe anzitutto occuparsi la politica?
Di Jacques Pilet, Bon pour la tête
Il comandante in capo dell’esercito svizzero, Thomas Süssli, ha annunciato un “piano strategico di difesa” che richiederà un’aggiunta di 13 miliardi di euro al bilancio militare nei prossimi anni e una maggiore cooperazione con la NATO. Un rapporto dipartimentale che circola nella Svizzera tedesca parla di 30 miliardi. Gli esperti consultati dalla “Sonntagszeitung” parlano addirittura di 50 miliardi. In circa dieci anni. Cosa avrà mai morso i vertici gallonati?
In Francia, l’esercito è conosciuto come la “grande muette”. Questo perché dal 1848 al 1945 i soldati non avevano diritto di voto, diritto che è stato ripristinato dal generale de Gaulle. L’espressione è ancora usata in riferimento al loro dovere di riserva. Non possono assumere posizioni politiche o strategiche. Nelle democrazie, è il governo ad avere il timone.
Da noi è un po’ un’altra musica: le esternazioni di Süssli sono chiaramente politiche. Egli è ovviamente a favore di una relazione sempre più stretta con l’organizzazione degli alleati degli Stati Uniti, che di fatto decidono la guerra e la pace per loro conto. Nicolas Perrin, presidente della Ruag, l’azienda di armamenti di proprietà della Confederazione svizzera, si spinge ancora più in là. Ha dichiarato alla NZZ che la Svizzera deve decidere urgentemente se aderire o meno alla NATO. Fa notare che le armi moderne (aerei, blindati, droni, ecc.) acquistate in Occidente sono dotate di sistemi informatici di fatto integrati con quelli dell’Alleanza.
Che cosa ha da dire il Consiglio federale sulla questione? Nulla. L’ambiguo botta e risposta della consigliera federale Amherd sulla riesportazione dei Leopard aumenta la confusione del dibattito. Quanto ai partiti di governo, nessun commento alle dichiarazioni di Süssli. Sarà il caldo o l’imbarazzo? Sottomissione silenziosa ai discorsi architettati a Washington? Ma è in gioco la sovranità stessa del nostro Paese. Vediamo il nostro futuro come quello di vassalli amichevoli del potere americano? Questa prospettiva non sembra dispiacere alla Consigliera federale, che sta facendo gli occhi dolci alla NATO incoraggiata dal suo braccio destro, Pälvi Pulli, responsabile della politica di sicurezza, una convinta atlantista che ha studiato nella sua nativa Finlandia.
Coloro che spingono verso questa direzione citano l’aumento dei pericoli e il nuovo panorama geopolitico dopo la guerra in Ucraina. È un vecchio trucco: spaventare l’opinione pubblica per indurla ad accettare spese ingenti. Da dove verrebbe la minaccia? Dalla Russia, naturalmente! La Russia ha difficoltà a mantenere le regioni occupate dell’Ucraina, vicine al suo confine, dove da anni ha molti sostenitori. Si può essere furiosamente anti-Putin ed esprimere la propria indignazione per l’aggressione del 24 febbraio 2022. Ma concludere che la sicurezza militare della Svizzera è stata minata è incoerente. È inquietante sentire l’eccellente esperto Alexandre Vautravers, caporedattore della “Rivista militare svizzera”, descrivere (nella trasmissione “Le grand soir” della RTS) l’indebolimento duraturo dell’esercito russo a causa delle perdite in Ucraina, e allo stesso tempo difendere, insieme alla Società svizzera degli ufficiali, l’acquisto massiccio di armi convenzionali in previsione di un grande conflitto in Europa occidentale. Chi può credere a uno scenario del genere? Questa fissazione su un pericolo utopico ci distrae da altri pericoli molto più reali.
Le lobby degli armamenti, o dell’eccesso di armamento, qui come in tutto l’Occidente, stanno chiaramente approfittando di questa situazione. In Svizzera, questi virtuosi della guerra sono impotenti di fronte ai vari attacchi informatici che arrivano fino al cuore del potere, ma sognano di avere divisioni corazzate, un’armata di F-35. Preferiscono l’hardware pesante. Meglio conosciuto dei sofisticati sistemi di difesa digitale.
Torniamo al “Grande Muto”, che nel nostro Paese è diventato il “Grande Chiacchierone”. Non spetta a un alto ufficiale presentare una nuova strategia. Spetta al Consiglio federale aprire la discussione. Spetta ai partiti discuterne. Spetta a tutti noi riflettere seriamente, freddamente, sul significato di questa spesa folle. Sul contenuto della parola sovranità. Un principio relativo, da difendere con una certa flessibilità. Stravolgerlo proprio no. Con il pretesto che i nostri vicini si inginocchiano? Non tutti lo fanno. L’Austria ha la decenza di non entrare nel club. Osa persino preferire il dialogo alla guerra. La storia le ha insegnato i pericoli insiti in una bellicosità galoppante. La nostra storia, così fortunata, così pacifica, ci rende al contrario – che paradosso! – più suscettibili alle sirene della guerra… a patto di non rischiare nulla. Sogniamo a occhi aperti guardando i caccia che rombano nel cielo. L’altro giorno hanno persino sganciato dei razzi da Chillon! E domani piangeremo per l’aumento delle tasse, che certamente fanno meno male, bisogna ammetterlo, delle bombe reali che cadono sugli sfortunati soldati e civili ucraini e russi.
Traduzione a cura della redazione
Nell’immagine: Nicolas Perrin, presidente della Ruag. “La Svizzera deve decidere urgentemente se aderire o meno alla NATO”
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