L’importante è vincere! Firmato: De Coubertin
Ma non era "partecipare"? Breve storia di uno stupido equivoco
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Ma non era "partecipare"? Breve storia di uno stupido equivoco
L’equivoco nasce da un sermone del vescovo della Pennsilvania Ethelbert Talbot che nella cattedrale di San Paolo a Londra stigmatizza il comportamento di inglesi e statunitensi che al termine della gara del tiro alla fune, in programma ai Giochi di Londra del 1908, si prendono a botte: “nella vita importante non è il trionfo, ma la lotta; l’essenziale non è aver vinto, ma essere sconfitti con onore”.
Il 24 luglio 1908 De Coubertin fa sue le parole del prelato, citandole in modo testuale e di fatto le santifica, le fa diventare dogma olimpico, costituente quasi. Commette però un grave errore: dimentica di dire, tanto per lui – cattolico devoto agli Dei greci dell’Olimpo – il dato è scontato, che alle Olimpiadi arriva solo il meglio del meglio attraverso una durissima selezione: il vincitore è un primus inter paris come in certi periodi lo era chi aveva la carica più alta a Roma. Per questa élite importante è partecipare in modo leale, appunto perché ha già raggiunto alte vette.
L’equivoco nasce anche dal fatto che il cattolicissimo barone Pierre Fredy, dopo 1503 anni, recupera la massima festa greco-pagana cancellata nel 393 d.C. dall’imperatore Teodosio su ordine di Ambrogio e Agostino; basta con quei “balabiott” che gareggiano nudi ai piedi della statua di Zeus d’avorio e oro alta più di 10 metri, capolavoro di Fidia.
Ai greci il concetto di “partecipazione” non solo è estraneo, ma incomprensibile, tant’è vero che negli annali figura solo il nome del vincitore. Tutto è “agon” , competizione , lotta,, anche le opere teatrali, le commedie, le tragedie; alla fine la folla proclama l’opera vincitrice del concorso. Non solo; la sconfitta, in guerra come nel recinto sacro di Olimpia, è umiliante, come ci informa Pindaro: “ritornati a casa, nessun sorriso li consola: feriti al morso della sfortuna, per la strada passano chini, evitando i nemici”.
Ma la frittata (storica) è fatta: la citazione del vescovo Ethellbert Talbot sarà fatale al povero De Coubertin che nelle sue “Memorie Olimpiche”, opponendosi al modello di educazione esposto dal ginevrino Rousseau nel trattato “Emilio”, afferma (vanamente) che: “il giovane, l’atleta, non sarà mai moderato: deve godere della libertà dell’eccesso, deve puntare a battere i primati inducendo i rivali a crescere nel tentativo di emularlo, e gli spettatori che lo ammirano a praticare a loro volta qualche sport”. Esattamente l’opposto di quanto la vox popoli attribuisce a Pierre Fredy.
Citius, altius, fortius, insomma, velocità, forza e progresso, la massima di quello strano frate domenicano, Henry Didon, grande amico di De Coubertin, che in seminario organizzava dei mini-giochi olimpici, sostenendo, come lo strano barone, che S. Ambrogio e S. Agostino avevano sbagliato tutto, togliendo per 15 secoli agli umani il corpo, la carne, il sangue (peccaminosi) a favore dell’ascesi, dello spirito.
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