Divergenze su Cuba
Franco Cavalli e Roberto Antonini hanno espresso su La Regione opinioni divergenti sulle manifestazioni popolari di questi giorni nell'isola della rivoluzione castrista. Ecco il confronto
Filtra per rubrica
Filtra per autore/trice
Franco Cavalli e Roberto Antonini hanno espresso su La Regione opinioni divergenti sulle manifestazioni popolari di questi giorni nell'isola della rivoluzione castrista. Ecco il confronto
• – Redazione
Quando un ricorso riuscito ci dice alcune cose sul rapporto tra autorità e legalità
• – Marco Züblin
Il “caso Amazon”, un fiume in piena di guadagni e di distruzione dei prodotti invenduti
• – Enrico Lombardi
Il rispetto della legalità democratica da parte dei suoi tutori istituzionali
• – Marco Züblin
Nel 2002 avevo incontrato la madre di Carlo Giuliani. Minuta, lucida, coraggiosa mi aveva concesso una lunga intervista
• – Riccardo Fanciola
Venti anni fa il cantante attraversò la città sotto assedio per consegnare ai 'grandi' una petizione per la cancellazione del debito dei paesi più poveri
• – Redazione
La ricostruzione di quella tragica giornata nelle testimonianze della madre, di amici e di chi ha documentato il dramma
• – Riccardo Fanciola
Riuscì ad assistere decine di giovani brutalizzati. La causa: quella che in un processo un agente definì “macelleria messicana”
• – Redazione
Il racconto di un testimone scampato per caso al massacro della scuola Diaz
• – Riccardo Bagnato
• – Franco Cavani
Franco Cavalli e Roberto Antonini hanno espresso su La Regione opinioni divergenti sulle manifestazioni popolari di questi giorni nell'isola della rivoluzione castrista. Ecco il confronto
di Roberto Antonini, giornalista RSI
Emanuele Fiano ha sempre anteposto il rispetto della verità ai prêt-à-porter ideologici, non usa mezzi termini: “il regime cubano va fermato, dobbiamo protestare nello stesso modo verso ogni insulto alla libertà ad ogni latitudine”. Il deputato del Partito Democratico sposa di fatto le posizioni scomode (a sinistra) di Pietro Ingrao, figura storia del Partito Comunista (Pci) che denunciò i processi farsa e la “dittatura castrista”.
Il fronte filo cubano insorge (giustamente) contro l’asfissiante embargo americano che per 60 anni e più duramente da un quarto di secolo, penalizza lo sviluppo dell’isola caraibica. Non v’è dubbio che il “bloqueo” sia una micidiale pietra al collo per la Avana e che spieghi in parte il collasso del paese. Ma la stessa tifoseria, abbagliata da un paese che sarebbe rimasto puro, intonso, guardiano di una rivoluzione congelata nella storia, con l’occhio che ricorda quello del turista con tanto di collanina di conchiglie , camicia hawaiana, davanti alla tribù primitiva, preferisce lo stereotipo rassicurante, perché proprio da tifoseria non accetta la sconfessione e cioè la constatazione che da decenni in quell’isola la popolazione aspira ad altro: al benessere certo, ma anche alla libertà di pensiero, alla democrazia, al multipartitismo, retaggio a cui nessuno di noi sarebbe disposto a rinunciare.
L’epidemia di Covid (con i tassi di contagio più alti dell’America latina secondo la Bbc) è giunta come una doccia ghiacciata, sovrapponendosi a una politica economica, sociale e sanitaria da anni calamitosa come evidenzia un’analisi tra le più articolate a firma della cubana Jessica Dominguez Delgado (la si trova nel sito del Movimento per il Socialismo, Mps). C’è naturalmente chi pensa che la libertà, così come i diritti umani, siano un lusso del “capitalismo ultraliberista”. Lenin aveva battezzato “utili idioti” quanti in Occidente sostenevano acriticamente l’Urss; oggi l’epiteto si adatterebbe perfettamente agli orfani dello stalinismo pronti ad accendere un cero anche sotto la gigantografia di Kim Jong Un.
L’insospettabile Thomas Piketty, alter mondialista tra i più autorevoli, scrive che è ora di finirla di essere solo “contro” il capitalismo o il neoliberismo: il socialismo-scrive- “morirà se non sarà partecipativo, democratico, ecologico, decentralizzato e femminista”. Il fantasma della libertà, l’anelito di democrazia, la voglia di emancipazione sociale e individuale hanno contrassegnato la nostra storia sin dalla Rivoluzione Francese. Un processo lungo, complesso, irto di ostacoli e retromarce, a cui non aspirano solo i cubani; lo chiedono gli arabi con le loro primavere, i curdi sotto la scure islamista di Erdogan o molti afghani e soprattutto afghane con la loro commovente e disperata resistenza. Il politologo Francis Fukuyama, aveva erroneamente previsto in un celebre testo risalente al 1992 l’imminente convergenza della storia umana nel modello di democrazia liberale (nelle sue forme più o meno marcatamente socialdemocratiche). Si era sbagliato. Ma forse non totalmente.
Perché – come ci aveva lui stesso spiegato- il flusso delle migrazioni potrebbe riflettere quello della storia: si dirige sì verso gli Stati più ricchi e sociali, ma significativamente evita i regimi, privilegia le democrazie.
di Franco Cavalli, già consigliere nazionale
Da quando nel 1986 ho cominciato ad essere coinvolto nel sistema sanitario cubano, sono stato, a mie spese (salvo quando diressi una delegazione parlamentare svizzera), una quarantina di volte nell’isola caraibica. Posso dire di conoscerne bene la realtà, inclusa la burocrazia asfissiante e la lentezza esasperante nel realizzare le riforme necessarie, difetti riconosciuti ora anche dal Presidente Diaz-Canel. Da sempre la mia valutazione sulla situazione cubana è stata diversa da quella dell’amico Bobo Antonini, il cui articolo (Il fantasma della libertà, La Regione, 19 luglio) mi ha però particolarmente deluso, anche perché parecchio confuso.
Cosa c’entrino nell’attuale crisi Kim Jong Hun, Fukuyama e Piketty , non si riesce proprio a capire. È sì vero che Bobo, bontà sua, riconosce il “ruolo dell’asfissiante embargo nordamericano”, ma nel giudicare il contesto attuale lo dimentica o perlomeno lo sottovaluta enormemente. Ed è proprio qui il punto centrale: è infatti impossibile sopravalutare gli effetti di questo terribile “bloqueo”, che non solo è il più lungo, ma anche il più asfissiante della storia, paragonabile solo a quello con cui la Francia, due secoli fa, trasformò, dopo la proclamazione dell’Indipendenza, una florida Haiti in quel lazzaretto miserevole che è tuttora.
Questo non è (ancora) riuscito a Washington, anche se all’inizio degli anni 90, quando scomparve l’Unione Sovietica ed il prodotto nazionale cubano diminuì di più della metà, tentarono il colpo gobbo inasprendo ulteriormente il blocco: ai cubani riuscì il miracolo di resistere, cosa impensabile senza l’appoggio della maggioranza della popolazione. Dall’inizio della pandemia Trump ha recidivato, aggiungendo quasi 300 ordini esecutivi per tentare letteralmente di affamare l’isola e così spingerla alla rivolta. In particolare è stato da allora impedito ai cubani che vivono negli Stati Uniti di mandare i remesas ai loro famigliari (5 miliardi all’anno!), la seconda entrata principale per Cuba dopo quella del turismo, ormai azzerato dalla pandemia. Trump ordinò inoltre di infliggere multe pesantissime a tutti quei bastimenti che trasportano petrolio, alimenti o addirittura medicine verso Cuba, impedendo anche alle banche (e le Svizzere sono state le prime a mettersi in ginocchio!) di trasferire fondi verso l’Avana.
Sono questi i fatti che spiegano l’attuale crisi economica, che, impedendo l’acquisto di elementi essenziali, ha anche rallentato la campagna di vaccinazione con i vaccini (altrettanto efficaci dei nostri!) che Cuba come unico paese del sud del mondo è stato in grado di produrre. E se è vero che attualmente c’è una recrudescenza dei contagi (le lunghe file davanti ai negozi non aiutano!), la mortalità, contrariamente a quanto affermato nell’editoriale, è tutt’ora tra le più basse in America Latina, ed almeno 5 volte inferiore alla nostra.
Ma dove Antonini è completamente fuori strada è quando parla addirittura di “una politica sociale e sanitaria da anni calamitosa”. Pur tralasciando di ricordare le innumerevoli brigate mediche cubane all’estero, come si spiega allora che Cuba ha dichiaramene la più lunga aspettativa di vita di tutta l’America Latina, da due anni addirittura migliore di quella degli Stati Uniti? Cuba vive da 60 anni, e soprattutto ora, in una situazione peggiore di quella nel nostro paese durante la seconda Guerra Mondiale, quando anche da noi la democrazia era molto limitata. In queste condizioni è difficile pensare ad un’espansione dei meccanismi democratici, tra l’altro già ben sviluppati sull’isola a livello municipale, circondariale e sul posto di lavoro. Qualche giorno fa ho partecipato ad una teleconferenza con una cinquantina di statunitensi, attivi in diverse ONG, spesso abbastanza influenti nella sinistra del partito democratico. Erano tutti disperati perché Biden, nonostante le promesse fatte in campagna elettorale, ha ora riaffermato la linea dura sul blocco economico, confermando addirittura la proibizione di inviare le remesas. E questo semplicemente perché ha paura del voto in Florida nel 2023.
È stomachevole che per un puro calcolo elettorale si confermi il tentativo di affamare un popolo per spingerlo alla rivolta, per fomentare la quale sono stati votati molti milioni di dollari ed orchestrata un’impressionante campagna eterodiretta sui social. Certo, i giovani all’Avana gradirebbero, come tutti, più libertà: ma chi ha assaltato i posti di polizia in questi giorni è soprattutto spinto dalla fame. Il gioco spietato di Washington non è uno sbaglio, è un grave crimine, di fronte al quale tertium non datur: o si sta da una parte o dall’altra.
Chi manifesta non chiede una correzione di rotta del “sistema”, ritenuta impossibile, ma la sua fine. Il che muta anche natura e intensità della repressione
Naufraghi/e si associa all'appello de La Stampa in favore della madre di tre bambini condannata a morte dal regime per un calcio a un paramilitare Basiji