Verità e giustizia, la missione di Haidi
Nel 2002 avevo incontrato la madre di Carlo Giuliani. Minuta, lucida, coraggiosa mi aveva concesso una lunga intervista
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Nel 2002 avevo incontrato la madre di Carlo Giuliani. Minuta, lucida, coraggiosa mi aveva concesso una lunga intervista
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Nel 2002 avevo incontrato la madre di Carlo Giuliani. Minuta, lucida, coraggiosa mi aveva concesso una lunga intervista
Sono parole di Haidi Giuliani, che ho conosciuto nel 2002, durante la preparazione di “Ritorno a Genova”, il documentario che avevo realizzato per Falò con Harry Haener sugli avvenimenti del G8 di un anno prima e in particolare sulla morte di suo figlio Carlo, ucciso con un colpo di pistola in piazza Alimonda, il 20 luglio 2001, alle 17 e 27.
Minuta, determinata, lucida e coraggiosa, Haidi resta nei miei ricordi l’incarnazione di una madre coraggio, che dal giorno del dramma dedica la sua vita a quel figlio tanto amato: “Quando si racconta di qualcuno che non c’è più, si rischia di cadere nel patetico, di dire com’era bravo, buono, simpatico, intelligente, e chi non l’ha conosciuto pensa sempre che siano delle esagerazioni”, mi aveva detto. “Ma Carlo è stato un figlio eccezionale e raccontarlo è difficile”.
Più che raccontare Carlo, Haidi da allora si batte perché sia fatta piena luce sulla morte del figlio, di cui ha ricostruito con certosina acribia le ultime ore di vita, raccogliendo documentazione, testimonianze, pareri di esperti. Un impegno che continua ancor oggi, vent’anni dopo: “Ogni giorno io cerco di fare qualcosa per ottenere un minimo di giustizia e di verità sull’uccisione di Carlo”, ha dichiarato nell’intervista proposta ieri dal Radiogiornale RSI.
Quella che segue è la trascrizione dell’intervista che mi aveva rilasciato diciannove anni fa. Un’intervista in larga misura inedita che ho riletto con emozione, rivivendo i sentimenti di ammirazione e di condoglianza che l’incontro con questa donna straordinaria avevano suscitato in me allora.
Dal giorno della morte di Carlo hai una missione…
La mia vita è cambiata perché non ho più un figlio, e questo l’ha cambiata completamente. Poi è cambiata per il bisogno di sapere perché: perché sono successe certe cose. E allora cominci a cercare, a parlare con la gente, a leggere i giornali, i libri; cerchi le persone, chi era lì, le testimonianze. E infatti i primi mesi sono passati così.
Nei primissimi tempi, sono rimasta in piazza Alimonda, venivo a casa perché molta bella gente veniva da noi, amici, ma anche persone che non conoscevo e amici di Carlo che non conoscevo. Tutto il mio tempo, però, lo passavo nella piazza in cui hanno ucciso Carlo. E lì ho cominciato a sentire testimonianze e poi via via è venuto il resto e la coscienza che, se per mio figlio non posso fare più niente, fare luce su quel che gli hanno fatto, può aiutare altri giovani come lui. Aiutare la verità e altri giovani.
Piazza Alimonda, mi hai detto, è il luogo che più amo.
Sì, fa impressione. Io vado raramente al cimitero dov’è Carlo, perché lì lo sento morto. In piazza Alimonda mi sembra di trovare ancora un pochino di lui. Faccio un po’ come i cani che vanno a cercare il padrone nell’ultimo posto dove l’hanno incontrato. Io, probabilmente, vado a cercare mio figlio nell’ultimo posto dove lui è stato. Eh sì, dovrei odiare quella piazza, ma non riesco a odiare neanche una piazza.
Mi avevi detto: siamo di certo i genitori che più volte hanno visto morire il loro figlio.
Sì, tantissime volte. Io ho passato notti e notti, soprattutto i primi tempi, perché c’era questo bisogno di capire, di sapere, di vedere e perché ero convinta di poter trovare, nel materiale girato o nelle fotografie, la verità di quel che era successo.
Nella tua ricerca, in questi 11 mesi, qualche verità l’hai trovata?
Sì, grazie a molte persone che ci hanno aiutato, anche grazie a meravigliosi esperti che sono riusciti a leggere foto o filmati che sembravano illeggibili. Praticamente, in queste foto e filmati, sono riusciti a vedere tutto: il punto esatto in cui si trovava Carlo, il punto esatto in cui si trovava la camionetta; non solo, i movimenti di Carlo, perché si vedono bene anche dai filmati che ha girato la polizia e quindi abbiamo potuto ricostruire esattamente la scena, e grazie ai filmati abbiamo potuto ricostruire tutto quello che è avvenuto prima. Grazie alle testimonianze abbiamo potuto ricostruire la giornata di Carlo, ogni suo movimento.
Il giorno dopo l’uccisione di Carlo, don Andrea Gallo ha parlato di una trappola e devo dire che tutte le testimonianze, tutti i documenti che ho visto gli danno ragione.
Una trappola perché? Per dividere i manifestanti, metterli in balìa delle forze dell’ordine?
Ma, forse anche peggio. Io credo che la morte di Carlo sia stata voluta.
Perché volere la morte di Carlo?
Se noi leggiamo tutto quel che è stato scritto sui giornali precedentemente al G8, vediamo un’orchestra di voci, minacce, arrivano i no-global, lanceranno sacchetti di sangue infetto, arriveranno aggressioni da terra e da mare. Metà dei genovesi se ne sono andati, Genova era una città semi deserta in quei giorni. Sono rimasti i genovesi che non potevano andarsene. Perché tutto questo? Perché sgomberare gli ospedali, le carceri? Perché fare arrivare 200 di quei sacchi in cui si mettono i cadaveri? Si aspettava un terremoto? No, si aspettavano delle manifestazioni. Il giorno prima c’è stata una manifestazione, grande, pacifica, allegrissima, fantasiosa, colorata, non è successo nulla. Perché il 19 non succede niente e il 20 sì? Perché si va ad aggredire un corteo in un percorso che era stato precedentemente autorizzato? Perché non si fermano i Black bloc, gli unici che, in realtà, creano danni alla città? Troppe cose fanno pensare che ci fosse una volontà di creare disordine e screditare un movimento assolutamente pacifico.
Se ti trovassi di fronte Placanica, l’agente che ha sparato a tuo figlio, cosa faresti?
Non so… Non ho mai creduto nella bontà della galera. Non mi interessa che qualcuno vada in galera. Mi interessa che si sappia come sono andate le cose, chi veramente ha sparato a Carlo, e perché. Mi interessa che chi è responsabile dei disordini e delle violenze gravi che sono state fatte nella nostra città sia messo di fronte alle sue responsabilità. Questo mi interessa. Non mi interessa incontrare nessuno, nessuno mi può riportare a casa Carlo.
Tu credi che sarà fatta verità?
Io credo che sia mio dovere, che sia nostro dovere fare tutto il possibile perché sia fatta verità, e ripeto non per una soddisfazione personale. Non ho più soddisfazioni personali. Credo che sia un fatto di giustizia. Io incontro tanti giovani, ho incontrato tanti giovani, ma come si fa, davanti a un ragazzo, dirgli tu devi vivere per un mondo bello, positivo, per un mondo dove la gente si ama, quando chi regola, chi amministra, chi dovrebbe proteggere questo mondo non lo fa in modo corretto e anzi crea tante ingiustizie? Io credo che per tutti i figli come Carlo si debba credere nella giustizia e fare tutto perché la giustizia trionfi, come si dice, con una brutta espressione.
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