L’inchiesta mancata contro il Padrino
Malgrado indizi più o meno eclatanti sui suoi rapporti con la Svizzera, l’inchiesta elvetica contro il boss di “Cosa Nostra” si è conclusa con un nulla di fatto.
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Malgrado indizi più o meno eclatanti sui suoi rapporti con la Svizzera, l’inchiesta elvetica contro il boss di “Cosa Nostra” si è conclusa con un nulla di fatto.
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Malgrado indizi più o meno eclatanti sui suoi rapporti con la Svizzera, l’inchiesta elvetica contro il boss di “Cosa Nostra” si è conclusa con un nulla di fatto.
L’indagine era iniziata il 29 dicembre 2014, a seguito di un’informativa della Procura antimafia di Palermo. Secondo gli inquirenti siciliani, il capo mafia avrebbe nascosto fondi in Svizzera attraverso società di comodo utilizzate per l’emissione e l’utilizzo di carte di credito. Le indagini italiane erano focalizzate sul ruolo di Domenico Scimonelli, già condannato per complicità con la mafia e considerato uno degli organizzatori della fuga di Messina Denaro. Nato a Locarno, Scimonelli è cresciuto in Ticino fino all’età adulta quando si è trasferito in Sicilia dove è diventato un imprenditore nel settore del vino e dei supermercati. L’aria del Lago Maggiore però lo ha richiamato più volte: l’uomo, infatti, si recava spesso in Svizzera dove intratteneva rapporti con degli intermediari finanziari.
Il 3 agosto 2015, la polizia giudiziaria federale ha perquisito una società attiva proprio in ambito finanziario e un’abitazione privata in Ticino. Lo stesso giorno, Scimonelli viene arrestato in Italia assieme ad altre undici persone. Il “ticinese” è sempre più considerato uno degli ultimi postini che ha permesso le comunicazioni del boss latitante per il quale avrebbe investito e nascosto i soldi in Svizzera. Dopo il suo arresto in Italia, la Procura federale ha disposto una serie di interrogatori e ha individuato un conto vuoto attribuito ad una persona vicina a Scimonelli. Conti a nome del prestanome nato a Locarno, però, non ne sono stati trovati. Nel maggio 2016 l’indagine elvetica viene quindi abbandonata: perquisizioni e interrogatori «non hanno dato riscontri utili all’avanzamento dei procedimenti dell’Ministero Pubblico della Confederazione e della Procura di Palermo», si legge nel decreto d’abbandono che abbiamo consultato.
Da quanto risulta, l’indagine elvetica si è limitata a chiedere alle banche di segnalare l’esistenza di conti intestati a Scimonelli e ad altre persone arrestate in Sicilia. Nessun approfondimento, quindi, sui probabili schermi societari che potrebbero essere stati utilizzati da Messina Denaro, il cui patrimonio è stimato dalla stampa italiana in 4 miliardi di euro. Una persona vicina alle indagini ci ha dichiarato che l’inchiesta svizzera «non avrebbe dovuto essere chiusa» e che «si sarebbe potuto fare molto di più». Certo, un’indagine chiusa può sempre essere riaperta, ma è lampante che così facendo le investigazioni sono state completamente interrotte. Non sappiamo se, dall’antenna di Lugano dell’MPC, si è semplicemente eseguito un ordine venuto da Berna. Proprio in quel periodo, infatti, l’allora Procuratore federale Michael Lauber si era imbarcato in complicate e prestigiose indagini finanziarie internazionali (come l’affare Petrobras o il Fifagate) o di lotta al terrorismo jihadista, disinteressandosi forse un po’ dal perseguire la criminalità organizzata di stampo mafioso. Le brucianti scottature in affari precedenti – su tutti la cosiddetta inchiesta Quatur e il “sogno” infranto di una maxi processo alla ticinese – avevano certamente lasciato il segno.
Tantomeno si è voluti approfondire altre possibili piste investigative, come quelle che portano ad un imprenditore d’origine calabrese attivo nella costruzione in Vallese. Costruendo ponti e scavando gallerie, la ditta da lui diretta ha ottenuto decine di milioni di franchi in appalti pubblici. Appalti che – questo era il sospetto – sembravano essere stati truccati. Nel marzo 2016, l’uomo viene arrestato poiché sospettato di avere corrotto due funzionari dell’Ufficio federale delle strade (USTRA), anch’essi finiti in carcere. L’indagine si è conclusa nel 2021: i due funzionari sono stati condannati per accettazione di vantaggi, ma l’inchiesta sull’imprenditore italiano è stata abbandonata. Non si è riusciti a provare che l’uomo fosse consapevole dell’illegalità dei vantaggi concessi ai funzionari federali e che avesse l’intenzione di influenzarli o di danneggiare gli interessi pubblici.
L’inchiesta, però, non ha considerato alcuni altri aspetti inquietanti. Ed è qui entra in gioco Messina Denaro. Il nome dell’imprenditore– che non è mai stato condannato per reati di mafia – compare in alcune indagini italiane sulla criminalità organizzata. In una di esse – quella che ha portato alla condanna di Giuseppe Nastasi e Liborio Pace per avere agevolato le infiltrazioni mafiose per i lavori dell’Expo 2015 di Milano – il “vallesano” viene accostato al boss di Cosa Nostra. Nella sentenza di condanna del Tribunale di Milano, il suo nome viene citato 35 volte. Secondo uno dei condannati, l’uomo avrebbe sostituito Domenico Scimonelli – nel frattempo condannato all’ergastolo – come referente al Nord. Commentando l’arresto di Scimonelli, uno dei due condannati aveva dichiarato che «qualcun altro si era reso disponibile», ovvero il “vallesano”, che i due avevano incontrato il giorno prima. Una pista, questa, che non è mai stata approfondita.
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