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Gianni Beretta
Gianni Beretta
Nicaragua, esilio forzato per i prigionieri...
• 13 Febbraio 2023 – Gianni Beretta

Nel periodo elettorale i contributi di candidate e candidati sono benvenuti sulla nostra zattera secondo queste regole

La sta pagando assai cara il vescovo nicaraguense di Matagalpa Rolando Alvarez [nell’immagine] che la scorsa settimana si è rifiutato di montare sull’aereo che l’avrebbe portato, insieme ad altri 222 prigionieri politici, a Washington in piena libertà. “Non voglio lasciare il mio paese” ha affermato poco prima di salire la scaletta, mentre cercava di parlare con i suoi sette fra sacerdoti, diaconi e seminaristi (condannati la settimana scorsa a dieci anni per “cospirazione”) che però erano già a bordo. Così che il prelato, dagli arresti domiciliari nella casa di famiglia cui era confinato da agosto, è stato condotto direttamente al penitenziario di Managua de La Modelo. E in men che non si dica, il giorno dopo, processato per “terrorismo” con una condanna a ben 26 anni. Con il giudice che gli ha rimarcato che la sua pena sarà espiata solo nel giugno 2049 (quando avrà 82 anni).

Come c’era d’aspettarsi, domenica all’Angelus papa Francesco ha chiesto di pregare per mons. Rolando e “per tutti quelli coloro che soffrono in quella cara nazione”. Mentre il cardinale Jean Claude Hollerich, a capo degli episcopati europei, ha parlato di “persecuzione di stato”. Seguito da molte altre conferenze episcopali, specialmente dell’America Latina.

Certo ha del clamoroso questa repentina liberazione della gran parte dei prigionieri politici in Nicaragua, insieme alle sue sorprendenti modalità: senza nulla sapere, anzi spaventati, sono stati concentrati all’alba dalle carceri di tutto il Nicaragua all’aeroporto della capitale per montare su un volo ad hoc che li ha trasferiti a Washington. Ponendo fine a un incubo che si prolungava ormai da almeno un paio d’anni in condizioni disumane d’isolamento.

Una decisione presa unilateralmente, come confermato in un discorso a reti unificate dallo stesso presidente Daniel Ortega (attorniato dalle massime cariche civili, politiche, giudiziarie e militari del regime) che precisa di non aver chiesto nulla in cambio agli Stati Uniti a partire dalla sospensione delle sanzioni che gravano sui beni di 21 membri del suo clan familiare e non solo, oltre che di istituzioni quali la Policia Nacional (retta dal consuocero). Mentre il segretario di stato Usa Antony Blinken, cui è bastato mettere a disposizione il velivolo, gli ha fatto eco parlando di “dialogo ora possibile”. E il presidente Biden: “vediamo se ora cambierà qualcosa in quanto a rispetto dei diritti umani”.

Colmo vuole che mentre i 222 avevano già spiccato il volo, il parlamento orteguista modificasse l’art. 21 della Costituzione introducendo l’inedita privazione della nativa cittadinanza nicaraguense di coloro che il messianico Ortega aveva definito “traditori figli di cagna assoggettati all’imperialismo yankee”. Ridotti quindi a esiliati e apolidi ad un tempo.

Si tratta di oppositori delle più svariate tendenze politiche, a cominciare da sandinisti dissidenti come la comandante guerrillera Dora Maria Tellez, l’ex viceministro degli esteri durante il governo rivoluzionario degli anni ‘80 Victor Hugo Tinoco e l’ottantente allora ex sacerdote-ministro (alla famiglia) Edgar Parrales. Seguiti dai sette precandidati alle presidenziali farsa del 2021 (ficcati in galera prima di poter concorrere) come Cristiana Chamorro (e suo fratello Pedro Joaquin) figlia della ex presidente Violeta Barrios, che era ai domiciliari. Per continuare con l’ex capo della confindustria locale José Adan Aguerri. Nonché la moglie dell’ex presidente Arnoldo Aleman col quale Ortega fece il diabolico patto con l’oligarchia che lo riportò nel 2007 alla presidenza. E così pure: giornalisti, accademici, diplomatici, avvocati, magistrati, dirigenti sindacali e contadini, difensori dei diritti umani…

Sono stati poi rilasciati diversi studenti come Lesther Alemán e Max Jerez, fra i leader che capeggiarono la rivolta dell’aprile del 2018 (che seguimmo sul posto) che mobilitò l’intera popolazione in manifestazioni oceaniche contro la tirannia. Quella sollevazione fu poi soffocata nel sangue con 350 vittime ufficiali in tre mesi (ma sarebbero almeno il doppio) per quello che Ortega si inventò essere un tentato golpe ordito dagli Usa.

Non è semplice a caldo dare un’interpretazione di questa decisione improvvisa quanto sorprendentemente generosa da parte del regime nicaraguense. Da tempo si specula su trattative riservate (ovviamente includenti la sorte di questi detenuti) con l’amministrazione Biden per il ristabilimento di qualche parvenza di democrazia.

Di certo ci sono pesanti segnali di malessere all’interno dell’orteguismo. A cominciare dall’incredibile recente diverbio pubblico (filmato) fra Ortega e la sua esoterica vice, nonché consorte, Rosario Murillo. Ovvero colei che di fatto è pure una sorta di (assai detestata) primo ministro; e che tiene sotto ricatto il marito dagli anni ’90 quando sconfessò la propria figlia Zoilamerica (poi riparata in Costarica) che accusava il patrigno di aver abusato di lei da adolescente. Ortega ha curiosamente attribuito proprio a lei l’idea di “disfarsi” dei prigionieri. Ma la versione più credibile è che Daniel si sia fatto convincere dal fratello Humberto, incontrato (dopo ben 4 anni) lo scorso 23 dicembre. Lui che fu a capo dell’esercito per tutto il tempo della rivoluzione e che gestì la transizione pacifica con la presidente Barrios. E che da tempo aveva preso le distanze dal folle messianismo del “presidente”. Non è un caso che proprio dalle fila dell’esercito (potenza economica del Nicaragua) sembra essere filtrato del malessere ai più alti livelli.

Dalle elezioni municipali dello scorso novembre (in cui il totale dei 153 sindaci sono stati scelti tra fedelissimi del regime) sono state poi numerose le rimozioni da alte cariche della magistratura, della polizia e dell’esercito, di figure storiche vicine a Ortega, qualcuna finita anche nel carcere de El Chipote. E lo stesso discorso da lui rivolto l’altro ieri alla presenza dei massimi vertici istituzionali aveva un che d’intimidatorio. Senza contare che a diversi funzionari di governo è stato negato il rilascio del passaporto dopo che diversi di loro si sono dileguati all’estero. Segni di debolezza intorno alla folle coppia presidenziale.

Di certo con questa liberazione dei dissidenti, dopo aver verificato che Russia e Cina non gli avrebbero assicurato un aiuto materiale significativo, il Nicaragua (al di là di Cuba e il Venezuela) cerca di rompere l’isolamento anche nell’ambito della sinistra in ascesa nei governi latinoamericani, come in Cile e Colombia; mentre il Brasile del neo-Lula tentenna. Al contempo Ortega, per salvarsi dal collasso economico, vuole garantire il mantenimento dell’insostituibile interscambio commerciale con gli Stati Uniti, nell’ambito dell’accordo di libero scambio Cafta centroamericano; che lui stesso ratificò in barba alla sua tanto sventolata retorica antimperialista.

Per il resto, se di questo paese irrilevante e rimosso (che contende all’Honduras il primato di povertà nella regione) si parlava ogni tanto solo nelle Americhe e in Spagna proprio per quei prigionieri, ora non ci sarebbe più neanche quell’argomento. D’altro canto non valeva più la pena di rischiare di pagare il prezzo d’immagine per la morte di stenti di qualche altro carcerato, come toccò esattamente un anno fa al mitico generale sandinista Hugo Torres. Anche se 38 detenuti obiettori di coscienza, per lo più giovani e soprattutto meno noti, sono rimasti in cella. Mentre qualche giorno fa, con un gesto intimidatorio, hanno arrestato i familiari di un esiliato che si era scagliato contro la dittatura.

Meglio tentare dunque fin dove possibile che cali il silenzio più assoluto nella comunità internazionale su questo Nicaragua che si è ormai convertito nella Corea del Nord del subcontinente latinoamericano. Dove non si muove foglia che Daniel e Rosario non vogliano. Con una differenza però sostanziale con Pyongyang: che tutto si viene a sapere, grazie all’incontenibile rete dei social che mantiene in contatto l’interno impaurito del paese con (si stima) gli almeno duecentomila nicaraguensi fra oppositori ed emigrati “economici” che hanno riempito il vicino Costarica e che continuano a riversarsi verso il nord.

Cui si sono aggiunti ora i 222 ex prigionieri di giovedì scorso che il Premio Cervantes per la Letteratura, Sergio Ramirez, nonché vicepresidente di Daniel Ortega per tutto il decennio della Rivoluzione Popolare Sandinista, ha con sollievo definito dal suo esilio a Madrid “desterrados (sradicati, privati della loro patria) ma nicaraguensi più che mai…” Ai quali la Spagna ha offerto in blocco la cittadinanza immediata (a differenza dei due anni di residenza garantiti dagli Usa).

Quello stesso Dottor Ramirez che all’indomani della sconfitta elettorale del febbraio 1990, che costituì paradossalmente l’opera maestra della Rivoluzione per aver consegnato democraticamente (dopo tante dittature) il potere a donna Violeta, assunse l’incarico di capo gruppo del Fronte Sandinista in parlamento col proposito di costruire altrettanto democraticamente le condizioni per tornare al governo nelle successive consultazioni. Ma il sempiterno segretario del Fsln Daniel Ortega, nel suo delirio di potere, distrusse ben presto quel processo di dignificazione di un popolo intero.

Ma c’è da essere sicuri che i 222, nella loro amplia pluralità politica, si daranno un gran da fare in giro per il mondo (magari pure organizzati) per denunciare le nefandezze nel Nicaragua odierno. Mentre il vescovo Alvarez, forse colui che più di ogni altro in questo momento avrebbe dovuto essere levato di torno, costituirà una grossa pietra nella scarpa della tirannia. Contribuendo a questo punto decisivamente a una sua possibile implosione.






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