Massaggi per la mente: gli stenogrammi filosofici di Günther Anders
In un mondo che rimpicciolisce i problemi, li relativizza fino a negarli, occorre che si esageri, se ne amplifichi la portata
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In un mondo che rimpicciolisce i problemi, li relativizza fino a negarli, occorre che si esageri, se ne amplifichi la portata
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In un mondo che rimpicciolisce i problemi, li relativizza fino a negarli, occorre che si esageri, se ne amplifichi la portata
“Rimpicciolire i fatti significa: soffocare i fatti. Soffocare i fatti significa: dominare quegli uomini che (non da ultimo perché da questi fatti sono minacciati) hanno il diritto di conoscerli e che eventualmente potrebbero ribellarsi. Dunque: rimpicciolimento dei fatti significa oppressione dell’uomo”. Lo scriveva uno dei maggiori filosofi del ‘900, Günther Anders (1902-1992) – Stern il suo vero cognome – filosofo dell’olocausto, della minaccia atomica ma soprattutto filosofo della tecnica e forse ancora di più filosofo dello svelamento e della critica del potere e del conformismo.
Filosofo scomodo, ovviamente, come dovrebbero essere tutti i veri filosofi. E chi non lo ha mai letto ha ora l’occasione per avvicinarsi al suo pensiero con una raccolta di suoi aforismi dal titolo: Stenogrammi filosofici (Bollati Boringhieri), per l’ottima cura e traduzione oltre che per la perfetta Prefazione di Sergio Fabian, con una Postfazione di Rosalba Maletta.
Sarà una sorpresa allora, chiuso il libro di Anders (pubblicato per la prima volta nel 1965), scoprire che i filosofi non scrivono solo saggi per pochi eletti, con frasi contorte e autoreferenziali, ma esistono anche filosofi profondi ma leggibilissimi e godibilissimi e che grazie alla loro chiarezza e al loro guardare il mondo per come è ci pongono davanti a questioni grandi e importanti, che noi invece tendiamo a rimuovere, a rimpicciolire appunto: come ieri, per Anders, la minaccia delle armi atomiche; come oggi, per noi, la crisi climatica che appunto il potere ci porta a rimpicciolire con la sua pedagogia (crescente e sempre più insistita, se ci fate caso) per generare la nostra resilienza (cioè l’adattamento alla crisi climatica stessa, importante è non modificare mai, né mettere in discussione il sistema), risolvendo con i cannoni per la neve artificiale – e quindi permettendo la sua riproducibilità come sistema tecno-capitalista del profitto, che è ecocida e nichilista per vocazione e per sua essenza – la continuazione dell’industria/business del turismo e del divertimento/godimento che invece è ad alto impatto climatico.
Una analoga azione di rimpicciolimento è svolta dal potere contro l’aumento delle disuguaglianze nel mondo (è appena uscito l’ultimo Rapporto Oxfam, da leggere), così che a nessuno venga in mente di tassare davvero i ricchi sempre più ricchi. Perché il rimpicciolimento è funzionale a “rendere gestibile emozionalmente la smisuratezza del terribile” (Anders) che pure è sotto i nostro occhi.
Servirebbe dunque e invece e urgentemente una azione contraria al rimpicciolimento, cioè “l’attività di coloro che riportano i fatti rimpiccioliti alla dimensione del visibile, che ridanno la loro forma reale agli avvenimenti nascosti, che rimettono al loro posto ciò che è alterato”. E invece questa azione, dal potere e da tutti noi conformisti “viene definita esagerazione”. Al contrario, scrive Anders, dobbiamo esagerare, “perché l’esagerazione è un atto politico. Definisce una azione di libertà: la liberazione dei fatti dalla minuscola cella in cui li ha rinchiusi il rimpicciolimento. E pertanto, esagerare produce la liberazione dell’uomo: in direzione della verità”. Ma ne siamo capaci? Siamo capaci di ingrandire e di muoverci in direzione della verità? Siamo capaci ancora di compiere azioni di libertà – non a parole (in questo siamo bravissimi), ma concretamente?
Pensiamo al nostro dover consumare sempre di più, anche quando oggi è mascherato da green economy e da economia circolare. In effetti, scriveva allora Anders – ma oggi siamo appunto nella stessa condizione esistenziale – “il trend indica un consumo ininterrotto, un’esistenza in cui noi consumiamo ininterrottamente così come respiriamo. E poiché non c’è nulla che non diventi oggetto di consumo [uomo compreso] l’avvicendarsi di un oggetto di consumo a un altro garantisce la continuità del consumo”, cioè della produzione, perché il consumo, scriveva sempre Anders è il vero mezzo di produzione. Ma così entriamo, continuava, in una “condizione animale. Anzi, la condizione degli animali più triviali […] quella del pollo, del perennemente beccante. […] Poiché non hanno bisogno che qualcos’altro li interessi, sono anche defraudati della facoltà di interessarsi a qualcos’altro. Vivendo nel paese della cuccagna […] se sperimentano lo spazio è tutt’al più quando cercano di scappare, cioè nella fuga”. Non però “verso l’aperto, ma verso il chiuso; non verso la scoperta ma verso il coperto. In breve: restano piccoli borghesi. […] Ecco: il piccolo borghese è ciò che dobbiamo aspettarci come esito finale dell’avventura tecnica, poiché la tecnica consegna a domicilio il mondo come piacevole consumo permanente. Il piccolo borghese, sempre che l’umanità non si estingua prima del raggiungimento di questo punto più basso, sarà l’ultimo uomo”.
E tutti siamo diventati – oggi ancora di più – piccoli borghesi. Anche noi rimpiccioliti, in un mondo di fatti rimpiccioliti e di esistenze rimpicciolite anche se sempre più narcisiste e megalomani. E sempre più connesse: e già ci precipitiamo su ChatGpt, dove la nostra alienazione da noi stessi e il nostro rimpicciolimento esistenziale e intellettuale rispetto alle macchine sta compiendo un ulteriore passo avanti verso il peggio: perché se Google ci presenta una serie di link a siti web dove cercare le risposte, confrontare e approfondire (e quindi all’uomo resta una parte, anche se sempre più ridotta, di azione consapevole), l’IA di ChatGpt (che Anders non poteva conoscere) ci solleva anche da questa fatica, dandoci una sola risposta, unica e immediata sulla base delle sue ricerche: di cui però non conosciamo le fonti, né sappiamo come vengono generate le risposte. Però noi ci fidiamo di questa esattezza, perché basata sul calcolo e il calcolo (non più Dio, non più la Ragione) è per noi la verità. E più siamo calcolabili, più diventiamo solo numeri/dati, quindi sempre meno siamo esseri umani.
La tecnica, appunto. Quella di oggi profondamente diversa da quella del passato, perché (Anders) oggi non esistono più macchine singole (non solo il martello, ma anche la mia vecchia macchina da scrivere meccanica), ma macchine che si devono integrare in macchine sempre più grandi e sempre più automatiche e che imparano da sole e si accrescono da sole come sistema tecnico: Anders lo chiamava principio di convergenza delle macchine, che ci porta verso il totalitarismo degli apparecchi e degli apparati tecnici – un processo potentissimo, ma così rimpicciolito e così ben mascherato da una illusione di libertà che non lo vediamo, che non dobbiamo vederlo.
Perché dobbiamo essere illusi di una libertà che in realtà non abbiamo (e più siamo connessi, meno siamo davvero liberi), perché l’industria del conformismo, scriveva Anders, ci defrauda della libertà e noi accettiamo felici questo defraudamento. Una industria che ci lavora psicologicamente in questo modo: “Convincere noi, milioni di defraudati del proprio sé che invece siamo o abbiamo un sé. Sollecitarci a esprimere il nostro sé (che non abbiamo) […] persuadendoci che noi siamo qualcosa di più di semplici destinatari. E, cosa ancora più ridicola, è che ne siamo davvero convinti”. E a produrre questa defraudazione e questa illusione non servono forse il marketing, il management delle risorse umane, il feticismo per le nuove tecnologie, l’industria del divertimento e della distrazione di massa?
Fin qui ci siamo limitati a estrarre da Stenogrammi filosofici pochi spunti, a nostro gusto e scelta ma con il nostro amore intellettuale, di lunga data, per Günther Anders. Se vi sono piaciuti, allora potete fare un nuovo passo e leggere i due volumi della sua opera più famosa, L’uomo è antiquato (sempre Bollati Boringhieri), sempre con il suo stile e la sua chiarezza. Per riflettere davvero sulla tecnica, sul fatto che le forme tecniche diventano sempre più forme sociali, che tra noi e la tecnica esiste un drammatico dislivello prometeico, che siamo sempre meno soggetti della storia e che la storia è fatta sempre più dalla tecnica a prescindere da noi – per cui, come sosteniamo da tempo, non siamo più nell’antropocene ma nel tecnocene – ovvero Anders ci aiuta come pochi altri a capire il mondo di oggi e a non essere stranieri a noi stessi.
Pessimista, Anders? Meglio dire, realista. E leggerlo è allora importante. Perché “la lampadina che pretende di essere grande come la stanza che deve illuminare è una assurdità. Io cerco di fabbricare delle lampadine, non delle stanze. Talvolta addirittura delle lampadine volutamente così poco luminescenti da rischiarare la camera solo quel tanto, ma appunto solo quel tanto, da mostrare il buio che vi regna”. E grande è oggi il buio che ci circonda. Da cui provare a uscire seguendo due massime di Anders: “diventa ciò che non sei, oppure: sii ciò che diverrai”.
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