La nave dei folli – Tra irrazionalità e ipocrisia gigantesca
Nel flusso quotidiano di notizie legate ai conflitti nel mondo pare fatale imbattersi in contraddizioni, paradossi e assurdità
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Nel flusso quotidiano di notizie legate ai conflitti nel mondo pare fatale imbattersi in contraddizioni, paradossi e assurdità
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Nel flusso quotidiano di notizie legate ai conflitti nel mondo pare fatale imbattersi in contraddizioni, paradossi e assurdità
Il primo dice che se avvii una guerra (soprattutto per difendere i diritti, tuoi o universalmente ritenuti tali) devi continuare finché sarai sicuro di esserne il vincitore, sino alla morte. Se quindi fai parte di un’alleanza (anche solo presupposta, tipo quella “sei dei nostri”) tutti devono concorrere a fornirti armi d’ogni genere (escluse almeno all’inizio quelle nucleari, per ovvi motivi) affinché tu possa raggiungere l’obiettivo: la tua vittoria o la sconfitta che può essere solo dell’altro. O anche il ritiro dell’altro. Per questo si contano quotidianamente i metri quadrati guadagnati o persi. Per questo motivo, anche, l’Ucraina, attualmente, nel rapporto tra numero di abitanti e disponibilità di armi (sia in termini quantitativi, sia in termini qualitativi o di valori sinora espressi dai vari “donatori”, sia anche in termini di sperimentata efficacia dei razzi forniti) è un caso unico.
Tutto ciò rende però ancora più coattivo proseguire, costi quel che costi in distruzioni e vite umane, sino alla vittoria. Con una certezza data da un’altra arma, le sanzioni economiche: il tempo belligerante, comunque duri, è più nemico dell’altro. È da questo punto di vista, anche per la implicita impraticabilità della via diplomatica che sa di resa o fallimento che si prevedono, dopo un anno, tempi più lunghi per la guerra in Ucraina.
Il secondo dice che l’applicazione o l’intensità della difesa dei diritti di un popolo, di una nazione, sono inversamente proporzionali alla distanza che intercorre tra il luogo dove sono minacciati o distrutti quei diritti e dove tu difensore o proclamato difensore o donatore o sanzionatore ti trovi, con i tuoi interessi politici o commerciali. E se ne possono dare due esempi concreti.
Il Sac-Mi o Consiglio consultivo speciale per il Myanmar (Birmania), una associazione di esperti indipendenti, rivela in un rapporto (reso pubblico da “The Guardian” lunedì scorso, 16 gennaio) che numerose industrie occidentali continuano a fornire “materie prime, macchine, tecnologie e vari pezzi alla Direzione dell’ industria e della difesa, l’impresa pubblica che deve produrre mezzi militari che saranno usati dalla giunta birmana per la sua repressione feroce nel paese contro gli oppositori (2.730 morti e 17.200 prigionieri secondo dati Onu).
Singapore sarebbe il punto di transito strategico per parti fondamentali per la produzione di armi, provenienti dalla Germania (Siemens), Austria (GFM Steyr), Francia (Dassault Systemes) o persino Ucraina (Ukroboronprom). Il rapporto chiede a queste imprese di por fine al commercio con l’Esercito birmano, “attualmente sotto inchiesta da parte della Corte internazionale di Giustizia per genocidio”. Yanghee Lee, cofondatore del Sac-M e già relatore all’Onu sulla situazione dei diritti umani in Myanmar, dichiara che con questi commerci si favorisce, indirettamente, “la violazione dei diritti dell’Uomo e ci si rende complici della barbarie dell’esercito birmano” (The Guardian). “L’ipocrisia è gigantesca”, commenta Gerard MaCarthy, professore universitario a Singapore e specialista dell’Asia del Sud Est. Myanmar è lontana e i diritti sono altri e discosti.
Sembra che quanto sta preoccupando maggiormente le cosiddette “cancellerie occidentali” per quanto riguarda l’Iran, sia, più che il dispregio di ogni diritto umano e della vita umana in quel paese, la sua industria spaziale. Sta preoccupando l’industria iraniana dei droni, assai sofisticata; forse, più che i diritti delle donne, massacrate, o i diritti degli oppositori, impiccati.
I relitti dei droni iraniani che imperversano sull’Ucraina (i tristemente noti e micidiali Abadil o i droni Shahed, utilizzati dalla Russia) sono stati attentamente esaminati. Risulta che sono pieni di tecnologia made in Usa. Ed è strano, nonostante l’embargo. La Cnn in un suo rendiconto ha potuto appurare che su 52 parti di fabbricazione non iraniana ne sono usate 40 di fabbricazione americana e 12 realizzate in Svizzera, Canada, Giappone, Taiwan e Cina. Quindi, coscienti o incoscienti, sull’Ucraina svolazza minacciosa buona parte del mondo Occidentale e persino un po’ di Svizzera.
C’è un calcolo che dava qualche giorno fa il “New York Times” che val la pena di riportare per la sua follia: il costo dell’abbattimento di un drone iraniano in Ucraina può superare in maniera pressoché incredibile (folle, appunto) il prezzo della loro produzione: mentre quelli schierati dalla Russia costano (solo) 20 mila dollari, abbatterne uno dal cielo può costare all’Ucraina o suoi alleati dai 140 a 500 mila dollari.
E pensare che ci sono governi che vorrebbero addirittura tassarti per i tuoi peti inquinanti…
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