Nella vetrina delle vanità e delle nudità
Il costume italiano messo a nudo da chi sa vestire i panni giusti: elogio di Drusilla Foer
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Il costume italiano messo a nudo da chi sa vestire i panni giusti: elogio di Drusilla Foer
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Il costume italiano messo a nudo da chi sa vestire i panni giusti: elogio di Drusilla Foer
Quel che conta, sempre più, è l’indice di ascolto che polverizzi ogni record precedente e le visualizzazioni e le interazioni social che il Festival scatena anche grazie alle tonnellate di emissioni prodotte e diffuse in questi giorni da canali televisivi e radiofonici tutti a rincorrere la dichiarazione inedita, lo “scoop” del dietro le quinte, in un carosello di rara autoreferenzialità.
Sanremo è Sanremo anche, se non soprattutto, per la capacità di alimentare forsennatamente il discorso su se stesso, sulla propria storia, la propria importanza, a tal punto da poter tranquillamente aprire la serata finale di sabato con l’esecuzione dell’inno nazionale da parte della banda della Guardia di Finanza.
È la vetrina della cultura nazional-popolare nelle sue più diverse accezioni ed eccezioni, che si vuole specchio e rappresentazione del costume italico e dei suoi cambiamenti in una forma che in fondo è consolidata ed immutabile, un po’ come la politica.
Delle sue diverse e numerose sfaccettature di dettaglio nell’edizione di quest’anno si è già detto e scritto di tutto, con il corollario delle imperdibili ed intramontabili “pagelle” di cui si nutrono giornalisti e media come non ci fosse un domani. Non è dunque il caso qui, senza averne, per di più, la patente di relativa autorevolezza, di mettersi ad aggiungere l’ovvio e il superfluo.
Semmai, un esercizio che si può provare a fare, molto modestamente e sommessamente, potrebbe essere quello di individuare, fra la “mercanzia” messa in luce e in vetrina anche stavolta, un elemento che possa apparire davvero come qualcosa di ragionato e ragionevole nel brusio frastornante di elogi, scuse, appelli, messaggi che il Festival non si risparmia di esprimere, così, un po’ random, affiancando, nel giro di pochi minuti, per dire, una canzone che dice “Ciao Ciao… con il c..o” ad un intervento di Roberto Saviano sul trentennale della morte dei giudici Falcone e Borsellino.
Già, qui si ritrova forse proprio quell’Italia (che ci appartiene culturalmente, lo si voglia o no) che mette, appunto, in vetrina quel che ha e quel che è, in un mix di finta opulenza che solo la tv sa gonfiare a dismisura, dentro una eccezionale scenografia festosa e festiva, fra esibizioni anche lodevoli, magari, per qualcuno memorabili, immerse in una melassa indistinta di baci, abbracci, ringraziamenti a non finire.
In quanto “vetrina”, in uno spettacolo (apprezzatissimo, parrebbe) dalla drammaturgia sempre più, ed esclusivamente televisiva, a frotte si sono presentati sul palco personaggi, fra cantanti, attori, ospiti di vario genere, tutti tesi a “mostrare” di sé la parte migliore e più virtuosa, elargendo buoni sentimenti e dolorose sofferenze superate dall’estro musicale (non sempre evidente), in una corsa a “mettersi a nudo” che forse mai come quest’anno ha voluto dire, letteralmente, presentarsi in “originalissimo” (e firmatissimo) abbigliamento che mettesse in risalto, appunto, laddove possibile, le nudità di artiste e artisti. Gli uomini, in particolare, non hanno lesinato la messa in mostra di toraci e bicipiti come se si fosse ad un concorso, chessò, casualmente, della Costa Toscana, nel giorno dell’elezione del sirenetto della crociera.
Ma no, qui era tutt’altro, si dirà: gli artisti si mostravano com’erano, nella loro intima essenza e originalità, quella che mettono nelle loro canzoni e nelle loro interpretazioni. E infatti, nei testi e nella loro presentazione, è tutto uno svelarsi, un “mettersi a nudo”, appunto, che dovrebbe quasi a priori, da sé, rendere grande un brano di tre minuti e mezzo e farlo ricordare a futura memoria.
E allora viene da pensare ad una possibile e solo apparente antitesi che, in questo senso, potrebbe essere molto interessante non solo per parlare di Sanremo, ma che il Festival ha offerto con la partecipazione (ampiamente lodata in questi giorni) di Drusilla Foer, un “personaggio femminile” fatto nascere ed interpretato dall’attore toscano Gianluca Gori.
Nobildonna sarcastica di età incerta, fra i 50 e i 70 anni, ma dalla certa e affascinante presenza, il personaggio di Drusilla Foer era annunciato ed atteso come un momento di “scandalo” o “provocazione” in chiave LGBT che permettesse alla macchina festivaliera di “far parlare di sé” scatenando dibattiti e polemiche.
E invece, niente di tutto ciò, perché Gori/Drusilla è semplicemente un bel “personaggio”, ricco di sfumature, di una donna “di classe” e di una certa età, senza peli sulla lingua e con la battuta pronta. Non solo: cosa fa Drusilla, ad un certo punto, per sorprendere (si fa per dire) il conduttore e patron Amadeus? Si presenta vestita da Zorro dicendo di averlo fatto per tranquillizzare tutti coloro che erano inquieti per la presenza di un uomo “en travesti”.
Strepitosa capovolta e controcapovolta, che in un gesto, con le fattezze di Zorro, ha letteralmente smascherato un mondo di conformismi perbenisti e di pregiudizi inveterati. Con leggerezza, con intelligenza. Ecco apparire, di colpo, l’antitesi (forse apparente): con tutti i cantanti alla Achille Lauro, pronti in ogni momento a vestire i panni dell’ignudo sofferente (oltre che tatuato), chi davvero si è messo a nudo è stata la vestitissima Drusilla Foer.
La televisione nasconde, da sempre, e sempre più, un suo meccanismo implicito ed ineludibile: se si appare in tv, appunto, si appare, non si è, mai. Certo, c’è il “trucco acqua e sapone”, ovvero una maniera, che si acquisisce e si affina, per imparare ad essere sé stessi, o quello che si vuol far credere di essere e che non sta soltanto nel farsi truccare, ma nel muoversi “naturalmente” davanti ad uno sguardo di principio impietoso com’è quello della telecamera.
Le nudità dei Lauro e compagnia cantante, sono frutto consapevole, in questo senso, di una strategia di marketing che punta tutto e subito sulla provocazione e l’eccesso, da “reality”, il peggio della tv dei nostri giorni. Drusilla ha smontato, senza dirlo, anche questo meccanismo, dichiarando con una meravigliosa raffinatezza (così rara in tv) di essere uomo che sa essere donna che sa essere uomo, per concludere con un monologo, forse appena un po’ retorico, ma di grande eleganza, che invita tutti a cercare e trovare in sé stessi, semplicemente, la propria (ed altrui) unicità.
E questo potrebbe o dovrebbe valere non solo a Sanremo. Grazie Drusilla.
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