Senza scampo, ci vuole uno shampoo
A vent’anni dalla scomparsa di Giorgio Gaber - "Lo shampoo", di Bruno Brughera
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A vent’anni dalla scomparsa di Giorgio Gaber - "Lo shampoo", di Bruno Brughera
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A vent’anni dalla scomparsa di Giorgio Gaber - "Lo shampoo", di Bruno Brughera
È davvero arduo scegliere di rapportarsi con un testo specifico di un gigante qual è stato ed è Giorgio Gaber. Ci provo, intimorito ed onorato, e la prima suggestione che mi torna alla mente, è quella di una sua battuta durante il bis di uno spettacolo al quale ho assistito a Milano.
Il pubblico in visibilio, imperterrito lo osannava e chiedeva e richiedeva battendo le mani, che proponesse qualche altro suo pezzo. Gaber, con quel suo aplomb, quella sua sottile ironia, disse: “Siete sicuri di volerne ancora? Conosco più di 1200 canzoni… qui facciamo mattina! “
Scegliere un testo, una canzone risulta assai arduo con un repertorio del genere. Non credo che l’intento della zattera sia di recensire per l’ennesima volta una canzone o di scovarne i reconditi significati. Piuttosto di recuperare nei ricordi, emozioni e suggestioni personali. Penso che uno dei primi ricordi che mi legano a questo “mostro sacro” risalgano a quando bambino, mi attaccavo letteralmente alla radio alle prime note di “Torpedo Blu”, una canzone di cui ovviamente non potevo comprendere il testo, ma ciò non mi impediva di essere attratto dalle sonorità e da quel clacson squillante che caratterizzava la canzone. Da allora, il signor G è divenuto una presenza fissa nella mia discografia privata.
Sappiamo bene che Gaber è stato un fine e tagliente osservatore della società, delle sue storture, delle sue nevrosi. Ma il signor G non è solo questo, è molto di più, in una lunga serie di testi, scritti con Sandro Luporini, che hanno sempre fatto discutere, riflettere, di invettive anche feroci in cui ha sbattuto in faccia, come uno schiaffo, un sonoro ceffone, pregiudizi di comodo, slogan, e trite ideologie che hanno costellato la realtà italiana (ma non solo) per diversi decenni.
Il suo teatro canzone è, potremmo dire, un’esperienza multisensoriale: vi sono le sonorità, le melodie, le atmosfere della musica, degli strumenti e dell’uso della sua inconfondibile voce. Poi c’è la teatralità, la mimica di un corpo sicuramente non atletico, un po’ curvo e un po’ storto, perfetto nel raccontare di contorsionismi politici e ideologici; e ancora quella mimica, capace di ammaliare e coinvolgere con delle espressioni facciali che ne hanno fatto una vera e propria maschera teatrale. Nei testi, infine, dove sta tutta la pungente e arguta denuncia di una società, dei suoi usi e consumi. Delle mode, delle tendenze, dell’ipocrisia di valori sanciti e imposti dal potere della Chiesa e di quella Democrazia Cristiana contenitore di molte contraddizioni a fare da spartiacque tra borghesia imprenditoriale e potere politico da una parte, e una classe operaia alla ricerca costante di chi volesse difenderla e rappresentarla.
Gaber è “psicologicamente” avanti, è già oltre ed è contemporaneo. Con “Lo Shampoo”, ancora dopo cinquant’anni dalla prima pubblicazione, ci permette, ripropone una condizione “esistenziale” che è privata e politica, che potrebbe, forse, riflettere l’esigenza, per ciascuno di noi, di lavarsi via un sacco di cose opprimenti, in una brutta giornata, in cui pare non esserci via di scampo. Una giornata che magari dura anche di più, diventa un periodo buio di pandemia, per esempio, e quanto ne è seguito, in questi anni recenti di disagio, tra crisi economiche, terrorismo, guerre, inflazioni, crisi ambientali e chi più ne ha, più ne metta!
Ne “Lo Shampoo” la risposta a questa condizione di profonda crisi politica ma anche esistenziale si traduce in un grottesco e graffiante bisogno di lavarsi, di purificarsi, un apparente banale esercizio di igiene personale. Ma sappiamo che siamo dentro una complessa e profonda metafora della condizione umana, e che tocca a ciascuno di noi, che ascoltiamo, e ripetiamo le parole della canzone, dar loro il valore che meritano e che riguarda la coscienza di ciascuno.
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