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Cop 27.  È ora di svegliarsi!
Naufragi

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Balcani Occidentali: la terra desolata d’Europa
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Spirito, se ci sei batti un colpo
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Spirito, se ci sei batti un colpo

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Lula: il riscatto (un po’ amaro) del presidente-operaio
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Lula: il riscatto (un po’ amaro) del presidente-operaio

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La bellezza della decrescita o l’elogio della siesta
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L’uccellino è libero? No, è stato messo in una gabbia nuova
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L’uccellino è libero? No, è stato messo in una gabbia nuova

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La giornata di “Memorial”: per non dimenticare le vittime della repressione, non solo sovietica
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Cop 27.  È ora di svegliarsi!
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Lo afferma e lo scrive uno dei grandi pensatori del nostro tempo, il centunenne filosofo francese Edgar Morin in un nuovo libro appena tradotto in italiano


Lelio Demichelis
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• 1 Novembre 2022 – Lelio Demichelis
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Un nuovo, recentissimo Rapporto delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico dimostra che i Paesi del mondo stanno facendo qualcosa, ma non abbastanza – nonostante gli impegni presi solennemente a Parigi nel 2015 – per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi entro la fine del secolo, nel contesto di uno sviluppo sostenibile e di riduzione della povertà. E anzi, l’incremento di temperatura potrebbe arrivare a circa 2,5 gradi. Pessime notizie quindi, a pochi giorni dall’inizio della Cop 27 – la UN Climate Change Conference che si svolgerà in Egitto (e scelta peggiore non poteva essere fatta) dal 6 al 18 novembre prossimi. 

Certo, c’è stata la pandemia e poi l’invasione russa dell’Ucraina e siamo entrati di fatto in una pericolosissima guerra mondiale tra Stati, che però ci sta facendo dimenticare l’altra guerra mondiale in corso e sempre più distruttiva, quella che il sistema tecno-capitalista combatte da tre secoli contro la biosfera in nome del profitto privato – e contro di noi umani, che pure ne siamo le truppe. E infatti abbiamo già dimenticato la siccità in Europa dei mesi scorsi, i ghiacciai che si sciolgono a velocità maggiore rispetto agli anni precedenti, le inondazioni in giro per il mondo, gli incendi in Francia e non solo. 

È utile allora, per svegliarci dal sonno della ragione in cui siamo sprofondati, leggere con grande attenzione un breve ma denso libro-manifesto di Edgar Morin – sociologo, filosofo, teorizzatore del pensiero complesso, uno dei pochi saggi rimasti – dal titolo esplicito e imperativo: Svegliamoci! (Réveillons-nous!), da poco tradotto in italiano per Mimesis. 

Morin dice che siamo nel pieno di una crisi del pensiero, propria di “una nuova era dell’umanità, cominciata nell’agosto del 1945 con l’annientamento nucleare di Hiroshima e Nagasaki”. Da allora “il progresso scientifico ha rivelato la sua terrificante ambiguità. […] La razionalità scientifica ha mostrato il suo volto irrazionale”. Ma ancora, e peggio “il progresso della potenza umana è sfociato nell’impotenza umana di controllare la propria forza. Ma tutto questo è come anestetizzato dal sonnambulismo generale della nostra vita quotidiana”.

Eppure, nel 1972 era stato pubblicato il Rapporto del MIT al Club di Roma intitolato I limiti della crescita – un Rapporto che evidenziava i limiti fisici e sociali della Terra davanti a un sistema capitalista dominato invece, irrazionalmente, dalla crescita illimitata del profitto e quindi ecocida. Scrive Morin: “Mezzo secolo fa il rischio ecologico globale di molteplici enormi disastri si è palesato senza che le classi dirigenti e la popolazione ne prendessero coscienza. Le sue cause non risiedono soltanto nelle energie inquinanti che predominano nelle nostre economie, ma soprattutto nello scatenamento tecnico-industriale volto al rendimento e al profitto, guidato sia dalla frenesia del capitale, sia dalla volontà di potenza degli Stati. […] Ed è ancora una volta il progresso, nella sua forma tecno-economica, a condurre verso il disastro”. Ovvero, il cosiddetto antropocene “è anche il thanatocene” (l’era della morte). 

Di più: sembra “che quelle stesse forze devastatrici producano nel mondo una regressione politica e sociale generalizzata e la crisi della democrazia che conduce all’instaurarsi di Stati neo-autoritari e/o dominati dagli interessi finanziari. [Non solo:] le angosce suscitate dall’enorme crisi provocano ripiegamenti identitari e la messa sotto accusa di capri espiatori. Regnano l’incoscienza e il sonnambulismo”. Che impediscono di vedere e di capire.

Questa crisi ecologica il sistema tecno-economico è infatti abilissimo a nasconderla, inventando il green-washing e poi la green-economy e poi la finanza verde e poi la resilienza e poi la transizione ecologica: tutte retoriche utili a spostare la crisi sempre più avanti nel tempo, senza mutare nulla della struttura economica, grazie anche alle sue lobby in servizio permanente effettivo. Importante – appunto – è che non si metta in discussione il sistema tecno-economico e la sua logica del profitto, dominate da una concezione lineare e quasi meccanicistica [di cui è parte anche il digitale] del divenire, dalla convinzione che il futuro sia prevedibile” e tutto sia calcolabile e che le risposte siano tutte negli algoritmi. “Confidando nel calcolo però si anestetizza continuamente l’imprevisto, quanto di incalcolabile c’è nelle nostre vite e nei nostri sentimenti”. 

E allora, da questa crisi che è prima di tutto antropologica dobbiamo uscire atterrando di nuovo sulla terra, come scriveva Bruno Latour, recentemente scomparso e citato da Morin. Ovvero (aggiunge Morin) dobbiamo “centrarci sulla nostra Terra. Terra della vita e Terra degli uomini, inseparabili”. E quindi, “civilizzare la Terra, trasformare la specie umana in umanità diviene l’obiettivo fondamentale e globale di qualunque politica che aspiri non solo al progresso, ma alla sopravvivenza dell’umanità stessa”. Cioè, se la crisi è una crisi del pensiero, occorre una riforma – o una rivoluzione – nel nostro modo di pensare. Generando un nuovo pensiero della complessità e della molteplicità/diversità, rifiutando la semplificazione/standardizzazione/automatizzazione di tutto e di tutti, come invece richiesto dal sistema tecnico e capitalista; costruendo un pensiero della convivialità e non del dominio prometeico; attivando una istruzione che “dia impulso alla laicità e restituisca agli insegnanti la loro grande missione umanistica”, formando “menti interrogative, in grado di problematizzare e di dubitare, capaci di autocritica e di critica”. E molto altro ancora. 

A Morin, nonostante la gravità della crisi che descrive, non mancano tuttavia dei principi di speranza. Ma perché si concretizzino occorre che tutti appunto si sveglino, che aprano gli occhi. Certo non è facile se – aggiungiamo – se l’Udc – partito degli interessi del capitale che boicotta ogni iniziativa verde – è ancora il primo partito svizzero; se il 43% degli italiani ha votato per le destre post-fasciste/industrialiste/negazioniste; se in Francia c’è Le Pen e negli Usa c’era Trump; mentre in Brasile il criminale ambientale e sociale Bolsonaro ha sfiorato la clamorosa rielezione con poco meno del 50% dei voti.

Dunque, non basta (anche se serve) riciclare meglio e di più. Il problema è infatti alla fonte, cioè (appunto, con Morin) nel sistema tecno-economico e nella sua irrazionalità. E allora lasciamo Morin e riprendiamo un grande sociologo del passato, Max Weber (1864-1920), che non era certo un marxista ma descriveva così la gabbia d’acciaio del capitalismo, quel potente ordinamento economico moderno, legato ai presupposti tecnici ed economici della produzione meccanica, che oggi determina con strapotente costrizione, e forse continuerà a determinare finché non sia stato consumato l’ultimo quintale di carbon fossile [poi di petrolio, oggi di gas ma anche di litio e di pluslavoro degli uomini], lo stile della vita di ogni individuo che nasce in questo ingranaggio. 

Vero ieri (1905), ancora più vero oggi. Una gabbia però ricca di comfort. Con letti morbidi e piena di distrazioni e di divertimento…

Nell’immagine: Edgar Morin






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