Non è mai troppo tardi per vaccinarsi, anche dalla cattiva informazione
Quando un “triage” va fatto anche fra le notizie che dovrebbero aggiornare sulla pandemia
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Quando un “triage” va fatto anche fra le notizie che dovrebbero aggiornare sulla pandemia
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Quando un “triage” va fatto anche fra le notizie che dovrebbero aggiornare sulla pandemia
Sulla nostra zattera è uscito lo scorso mercoledì un contributo significativo di Nelly Valsangiacomo dedicato al tema della comunicazione intorno alla situazione sanitaria in questi ormai due anni di pandemia, prendendo come spunto un caso specifico, quello dell’uso del termine “triage”.
Nelly Valsangiacomo si domanda fra l’altro: Se si prendono le notizie di questi giorni, cosa intende il direttore di un ospedale quando parla di triage? E cosa intende chi, a pari competenze professionali, ci dice che non si può nella fattispecie parlare di triage? E tutto questo nello stesso momento informativo, nel quale un giornalista afferma con toni apocalittici che siamo ormai sulla soglia del triage, mentre il collega successivo modera i toni. Il problema è che non sembra esserci un uso condiviso del termine, ma una nebulosa di possibili interpretazioni. Insomma, vogliamo almeno spiegare chiaramente di cosa si sta parlando?”
A proposito del contributo di Nelly Valsangiacomo è giunta in redazione una gentile lettera del Dott. Gianantonio Romano, che da medico “si era confrontato con la parola “triage”, anni fa per la prima volta, durante la formazione in medicina d’urgenza.
Il triage – dice – avviene nel momento in cui decido di spostare un paziente in un altro ospedale o reparto, ma anche nel momento in cui si pensa di rinviare un’intervento ritenuto necessario ma non urgente di un paziente; e, ancora, la stessa parola la uso per decidere se il paziente ha una reale e concreta possibilità di sopravvivere rispetto ad un altro che ne ha ragionevolmente pochissime o addirittura non ne ha.
Sempre di triage si tratta. Decisioni sempre ponderate, difficili e mai “banalizzate”. Scenari che si presentano al di fuori delle guerre. Scenari reali, quotidiani.
Sta poi alla sensibilità e professionalità del giornalista (ma anche del responsabile sanitario o del politico) far capire e trasmettere al lettore il giusto senso da dare al termine”.
Ecco, appunto, qui sta il problema: “di cosa si sta parlando” è una questione che riguarda, a ben vedere, ogni momento informativo non certo solo legato al Covid e alle misure sanitarie per combatterlo, ma che questo sempre più opprimente momento pandemico mette brutalmente in evidenza come aspetto fondamentale di indirizzo di comportamenti sociali, su cui medici, politici, media, non mostrano, ciascuno a suo modo, di saper valutare le implicazioni e le conseguenze.
E le conseguenze possono essere gravi e preoccupanti, a maggior ragione se si pensa, banalmente, che i dati più recenti relativi all’analfabetismo di ritorno in Svizzera ci dicono che si tratta di un fenomeno che tocca quasi un quinto della popolazione. In Ticino, circa 40.000 persone (adulte, naturalmente, e scolarizzate) leggono e scrivono con estrema difficoltà.
Quel che si dice e si scrive, dunque, si rivolge ad un contesto che ha drammaticamente bisogno di chiarezza e semplicità di informazioni ed opinioni. Operazione tanto più onerosa se si pensa a quanto sia complessa la realtà di cui si intende dar conto, che sia politica, scientifica, sociale.
In ballo dunque ci sono almeno due aspetti cruciali: viviamo in un’epoca di “informazione diffusa e capillare”, in cui tutto si può recuperare, volendo, con qualche clic in Google, ma questo non significa che chi legge capisca ciò di cui si parla. E la politica, in generale, questo lo sa bene, al punto che ormai va avanti quasi solo per slogan, che colpiscano lo stomaco ben più che un qualsiasi punto su cui ragionare.
E qui viene l’enorme responsabilità dei media, che interpellano, in nome del diritto e della libertà di informazione, personaggi e realtà sociali, scientifiche, politiche, nell’ansia di rincorrere gli eventi, senza gerarchizzazioni, mettendo tutto sullo stesso piano, dando persino spazio alle “voci di corridoio”, ai “pareri da bar” e ricorrendo ad uno stratagemma ormai smascheratissimo: quello della notizia “ad effetto”, che smuova il lato emotivo di chi legge più di quello razionale, cognitivo.
Con una disinvoltura che sfiora tranquillamente il cinismo o l’irresponsabilità, non si tratta più soltanto di preoccuparsi di rendere comprensibile, dentro un testo costruito coerentemente, un termine come triage, ma ormai quotidianamente, ogni ora, su non pochi portali informativi ci troviamo di fronte a disgustosi esempi di stravolgimento di fatti e dichiarazioni, nell’applicazione di un metodo subdolo quanto redditizio (in clic e in ritorni pubblicitari) che consiste sostanzialmente nell’annunciare una notizia “bomba” con un titolo roboante, rimandare ad un clic, poi ad un altro, per poi rivelare, a quei pochi lettori ancora vogliosi di voltar pagina per capire, che è tutto un bluff, si è montata ad arte una notizia che notizia non è, o se lo è, avrebbe dovuto esser data in tutt’altro modo.
Prendiamo un esempio fra i tanti, freschissimo, dal portale italiano “Libero Quotidiano”:
Come minimo una notizia sconvolgente, finora negata (nascosta?) dai medici. Un effetto terribile.
Poi si va a leggere, e si trova come premessa che sembra ormai assodato che Omicron dia effetti meno gravi (specie ai vaccinati) ma, attenzione, si è scoperto che può procurare la paralisi… del sonno. Lo dice un altro giornale (Il Messaggero) che cita fonti non ben identificate per dire, a sua volta, che “La paralisi del sonno rientra tra le parasonnie ed è caratterizzata dall’inclusione della paralisi fisiologica dei muscoli caratteristica della fase Rem che si inserisce in un momento di transizione tra la veglia e il sonno. In sostanza si ha come la sensazione di essere svegli e paralizzati. Una sensazione che dura pochi secondi ma che può sembrare da chi la vive un momento molto più lungo e soprattutto molto angosciante e pauroso.” Infine, tocco finale: “fortunatamente questo sintomo da incubo è innocuo e può accadere poche volte nella vita, assicura il NHS, il sistema nazionale sanitario del Regno Unito. Soltanto per una minoranza di soggetti si può ripresentare diverse volte influenzando la qualità della vita e del sonno del soggetto.”
Ecco che a questo punto viene da dirsi: “ma di cosa stiamo parlando?” Del nulla, ma ad effetto.
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