Pierre Kahn – Scuola, famiglia e disagio
Secondo uno studio presentato recentemente dal SISA un terzo dei giovani ticinesi che frequentano le scuole post-obbligatorie presenta sintomi gravi o molto gravi di depressione
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Secondo uno studio presentato recentemente dal SISA un terzo dei giovani ticinesi che frequentano le scuole post-obbligatorie presenta sintomi gravi o molto gravi di depressione
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Secondo uno studio presentato recentemente dal SISA un terzo dei giovani ticinesi che frequentano le scuole post-obbligatorie presenta sintomi gravi o molto gravi di depressione
In una conferenza-stampa indetta negli scorsi giorni, il SISA, Sindacato Indipendente Studenti e Apprendisti, ha reso noti i risultati di un’inchiesta promossa dallo stesso Sindacato relativa allo stato della cosiddetta “salute mentale” dei giovani che frequentano le scuole superiori, commerciali o professionali del Cantone.
Stando al sito del SISA in cui si può ritrovare l’intera ricerca e stando ad comunicato emesso dal Sindacato per l’occasione, circa 800 giovani hanno risposto ad un questionario incentrato sulla condizione psicologica e mentale dentro il contesto scolastico, alle sue regole, alle sue esigenze.
Ne emergono alcuni dati “allarmanti”: circa un terzo fra coloro che hanno compilato il questionario manifesta con le proprie risposte una condizione di depressione che si può considerare grave o molto grave.
Come si può leggere nel citato comunicato, si tratta di un dato preoccupante, ma assolutamente in linea con altri due studi condotti in Svizzera: nel novembre 2020, da uno studio patrocinato dall’Università di Basilea – secondo cui 29% dei giovani presenta sintomi depressivi gravi – e ancora più recentemente da una ricerca di UNICEF Svizzera, in cui è risultata la stessa percentuale.
Fra gli altri elementi emersi dal sondaggio del SISA, meritano attenzione una più marcata manifestazione di sintomi depressivi in chi vive socialmente e famigliarmente in contesti più disagiati, così come un’ampia, per quanto variegata, dichiarazione di “malessere scolastico”, legata a meccanismi, insiti nell’insegnamento e nell’apprendimento, che privilegiano la “performance”.
Così, proprio nel nesso fra disagio sociale e malessere scolastico, il Sindacato giunge a prospettare alcune concrete richieste al Consiglio di Stato ed al DECS, relative a specifici aspetti della vita scolastica e dell’organizzazione didattica: si va dall’introduzione di corsi di recupero pubblici e gratuiti all’abrogazione del limite di bocciature che permette di passare l’anno; dalla riduzione delle ore settimanali di lezione al rafforzamento del sostegno fornito dal Servizio Medico Psicologico Cantonale.
Siamo qui ad un’analisi che non sfugge certamente ad una certa “politicizzazione” nell’orientamento di chi ha svolto l’inchiesta. Il SISA, per quanto diretto da un impegnato laureando in sociologia all’Università di Ginevra (Rudi Alves), è per sua stessa definizione un “sindacato” e non un istituto di ricerca specializzato. Ed in effetti, i criteri con cui la ricerca è stata condotta, basati sostanzialmente sulla disponibilità individuale ad aderire spontaneamente nel rispondere al questionario, profila di per sé, sin da subito, un certo tipo di riscontro, che sarà venuto più facilmente in chi si sia sentito coinvolto (dal tema come anche dal sindacato stesso).
Inoltre, 800 giovani, su una popolazione scolastica che in quella fascia d’età supera i 5000 ragazzi, rappresentano una percentuale probabilmente non sufficiente per delineare con precisione le conclusioni presentate dal SISA. Anche il fatto che sugli 800 che hanno risposto, il 75% siano ragazze, può fornirci forse un’indicazione circa una maggior sensibilità femminile al tema e alle sue implicazioni, ma non rispecchia sociologicamente la percentuale di popolazione maschile e femminile effettive in quella fascia d’età.
Un’inchiesta da prendere con le dovute cautele, dunque, ma pur sempre da affrontare seriamente, in sé e come riprova di dati già emersi nel recente passato e che sono fra l’altro stati opportunamente messi in relazione anche alla particolare condizione psicologica e sociale del giovani nei due anni di pandemia. Risulta dunque piuttosto strano che dopo l’eco suscitata nei media dalla conferenza-stampa del SISA, non sia ancora seguita, finora, a livello mediatico, una lettura più approfondita degli elementi cruciali emersi dalla ricerca.
Proviamo dunque ad avviare una riflessione in proposito con l’aiuto di Pierre Kahn, psicologo e psicoterapeuta, che è attivo da anni nell’ambito della consulenza e della consultazione per questioni legate all’adolescenza e alla famiglia e che a suo tempo ha pure lavorato a Coldrerio, nella sede del Servizio Medico Psicologico Cantonale.
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