Regali svizzeri alle multinazionali?
Cosa chiedono a Berna, come compensazione, le grandi società straniere che dovranno adattarsi all’imposizione minima globale
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Cosa chiedono a Berna, come compensazione, le grandi società straniere che dovranno adattarsi all’imposizione minima globale
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Cosa chiedono a Berna, come compensazione, le grandi società straniere che dovranno adattarsi all’imposizione minima globale
Era prevedibile, come ci aveva del resto subito anticipato il professor Sergio Rossi in una delle sue conversazioni settimanali con ‘Naufraghi/e’, che non sarebbero mancati i tentativi di sottrarsi a una svolta che in effetti rivoluzionerebbe uno dei comparti fiscali più problematici per quelle amministrazioni nazionali che sulle entrate fiscali si giocano la possibilità e la volontà (quando esiste davvero) di poter contare su sufficienti mezzi per promuovere anche una maggiore equità sociale attraverso la spesa pubblica. Ma si tratta di una mezza ‘rivoluzione’ assai indigesta per chi da anni approfitta del sistema attuale, che si tratti degli Stati che mostrando compiacenza contributiva ritengono di fare l’interesse esclusivo dei loro paesi; o delle grandi società internazionali assai impegnate nella ricerca del miglior offerente, poco importa se a danno di molti altri paesi.
Cosa sta accadendo, dunque, in terra elvetica, dove ci sono in ballo sette miliardi di franchi in più per il portafoglio della Confederazione, dove oggi il tasso nazionale medio dell’imposta è al 13,5%, e andrebbe dunque aumentato dell’1,5 %? Ce lo dice un interessante sondaggio di ‘Deloitte Svizzera’. Che, dopo aver interrogato diversi dirigenti di una cinquantina di queste aziende, apre il suo rendiconto con la risposta più scontata: sono ‘preoccupate’, e quasi l’80% ritiene che la tassa di imposizione minima globale farebbe perdere competitività alla Svizzera, che deve preoccuparsi non solo di veder partire degli investitori esteri – con relativi effetti negativi sull’occupazione -, ma semmai di attrarne di nuovi. Ecco allora che, forti di questa convinzione, le multinazionali ospitate generosamente nel nostro paese, cominciamo a mettere sul tavolo le loro richieste, o pretese, compensative: dalla soppressione dell’imposta anticipata, alla riduzione delle imposte sociali e del finanziamento per la ricerca e lo sviluppo delle imprese, della formazione, e dei fondi destinati ai programmi di sviluppo durevole. Insomma: si segue la logica del dare con una mano per riprendere con l’altra Eppure, segnala il sondaggio, nessuno dei dirigenti intervistati ha espresso la volontà di lasciare la Svizzera. In effetti, ‘la questione imposte’ non rappresenta affatto la principale attrattività per le aziende che hanno deciso di trasferirsi fiscalmente nel nostro paese: starebbe addirittura al settimo posto. Lo sottolinea Reto Gerber, responsabile della fiscalità in ‘Deloitte Svizzera’: le principali calamite sono invece le favorevoli condizioni economiche generali, la stabilità politica, la qualità delle infrastrutture e dei servizi, e il livello di vita. Secondo Gerber, il futuro regime fiscale non impedisce a molte multinazionali di pensare ancora oggi ad installarsi nella Confederazione, e diversi dossier in proposito sono alla studio in diversi uffici cantonali per la promozione economica. Non solo – prosegue Reto Gerber – ‘un tasso di imposizione globale del 15% garantirebbe comunque alla Svizzera un vantaggio rispetto a paesi che applicano tassi inferiori ai nostri, ma possiamo anche immaginare che società basate attualmente in Irlanda, a Hong Kong, Dubai, Malta o Cipro sono attratte dall’idea di riallocare le loro attività in Svizzera”.
Ecco dunque servite le Cassandre, partiti del centro-destra inclusi, che ad ogni tentativo di una fiscalità più equa, lanciano ritualistici fragorosi allarmi sul sicuro depauperamento economico causato dalla partenza di grandi investitori esteri. Una narrazione che, dimostra il sondaggio, si basa sul nulla. Anzi, c’è di più. Quello che eventualmente e maggiormente preoccupa le multinazionali, e può spingerle a cercare altri lidi, è la penuria di collaboratori specializzati, ‘esacerbata dalle difficoltà per farli arrivare da paesi terzi’. Difficoltà create da chi? Ma dagli stessi che le difendono.
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