Mentre dovrebbero partire i lavori del mega-cantiere luganese, arriva la notizia della defenestrazione degli architetti responsabili del progetto. Un nuovo, brutto segnale di gestione pubblica del futuro della città
Benvenuti nel villaggio gallico in riva al Ceresio, che sempre e comunque resiste all’invasore e che non smetterà mai di stupirci. Mica con la pozione magica e le mirabolanti imprese dei nostri eroi però, ma con decisioni che nulla o ben poco hanno a che fare con un minimo di logica e buonsenso.
L’ultima sul PSE, il famoso Polo Sportivo e degli Eventi che di sportivo ha troppo poco e degli eventi non se ne vede l’ombra (resta il Polo, ma di che?), non fa che confermare il modo per lo meno curioso e originale di gestire la cosa pubblica ormai invalso nella città faro del Cantone.
Riassumiamo. C’è uno stadio di calcio e atletica inaugurato negli anni ’50 lasciato deperire per circa 70 anni – un paio di lifting e qualche toppa giusto per non lasciarlo crollare ma nulla di più – e da tempo inadatto ad ospitare qualsivoglia cosa, dagli eventi sportivi più importanti a quelli del cosiddetto calcio minore. È dagli anni ’80, ossia circa trent’anni dopo la sua costruzione, che si parla di una sua ristrutturazione totale o di un suo rifacimento; da allora sono stati abbozzati millanta progetti ma mai nessuno è stato concretizzato (un paio di volte sono spuntate delle modine, ma nulla più). Aggiungeteci un palazzetto dello sport sempre promesso e mai costruito e avete il quadro completo della situazione.
Finalmente 60 anni dopo l’uovo di Colombo: unire stadio e palazzetto nel luogo da sempre a Lugano deputato allo sport, Cornaredo, e ristrutturare tutto il comparto. Chissenefrega se si doveva/poteva fare almeno vent’anni prima in un quartiere allora tutto sommato ancora periferico e poco costruito, quindi con assai meno vincoli e problemi di pianificazione e progettazione, oltre che a costi molto inferiori (tanto paga sempre Pantalone, direbbero i miei amici leghisti): l’importante, si disse, l’importante è fare.
E per i costi, perché nel frattempo ci sono state un paio di crisi economiche, la piazza finanziaria e i commerci hanno iniziato una rapida ritirata e i conti del villaggio gallico sono virati al rosso intenso, nessun problema: secondo uovo di Colombo, si fa un partenariato pubblico-privato, come han fatto e continuano a fare molte altre città svizzere, anche quelle a maggioranza rosso-verde. Piccola differenza, oltre San Gottardo è sempre il pubblico che detta le regole, e il privato vi si adegua, mentre nel villaggio gallico parrebbe il contrario: ecco dunque spuntare dal nulla torri e palazzine là dove si potrebbero costruire solo infrastrutture dedicate allo sport e alla popolazione e un contratto-capestro legato indissolubilmente alla pianificazione e progettazione, presentato ovviamente all’ultimo momento grazie alla complicità o alla disattenzione (vogliamo una volta tanto chiamarla dabbenaggine?) del Consiglio comunale, con votazione, prima in CC e poi popolare causa referendum un minuto prima della mezzanotte.
Prendere o lasciare insomma, e i cittadini, anche grazie a una spruzzatina di socialità (la ristrutturazione della vecchia masseria, la promessa di alloggi popolari e il progetto di uno striminzito e asfittico parco urbano) e il coro unanime delle società sportive che pur di ottenere quanto atteso da decenni si sono tappate naso e occhi e accettato il ruolo delle utili idiote, hanno deciso di prendere (è la democrazia, bellezza!).
Un pasticciaccio brutto con lieto fine dunque? Avanti spediti con i lavori verso un radioso avvenire fatto di torri e palazzi, megarotonde e strade a quattro corsie con ciliegina sulla torta di una coppa svizzera di calcio conquistata? E vissero tutti felici e contenti, compreso quel 42% che aveva votato no? Ma neppure per idea, signore e signori: siamo nel villaggio gallico, dove tutto è possibile e non esistono regole (soltanto le eccezioni).
Ieri la notizia, nell’aria già da un po’ ma mai finora confermata ufficialmente, della defenestrazione degli architetti dal progetto del PSE. Il che significa, visto che in campagna di votazione il Municipio aveva affermato di non avere uomini e mezzi per supervisionare i lavori, che i privati avranno mano libera di fare più o meno quello che vorranno, senza o quasi controllo. Perché è chiaro che se si lancia un concorso internazionale di architettura, come è appunto stato fatto per il PSE, di norma è l’ente pubblico che porta avanti e sovraintende al progetto, non lo affida dapprima finanziariamente e adesso anche progettualmente a una cordata di privati, magari anche eccezionalmente bravi e lungimiranti, ma che di sicuro guarderanno prima ai propri interessi e solo dopo a quelli della città.
Del resto, anche se ancora attendiamo lumi, voci di corridoio indicano proprio in questo il motivo della loro defenestrazione: gli architetti volevano avere voce in capitolo e dunque controllo sul progetto e la sua realizzazione (ricordiamo che sono stati comunque loro a vincere il concorso pubblico, non i promotori immobiliari), HRS e Credit Suisse volevano mano libera. Pare l’abbiano ottenuta.
Attendiamo adesso di vedere i risultati, se mai ci saranno (a questo punto infatti qualche dubbio è lecito).Anche perché i tempi di costruzione e realizzazione rischiano di dilatarsi (e la fattura finale di conseguenza di lievitare), ché chiunque riprenderà in mano il lavoro partirà giocoforza quasi da zero – la progettazione di dettaglio non ci risulta essere stata fatta – e i legali degli architetti hanno già annunciato battaglia, e quando si va in tribunale si sa quando si entra, raramente quando si esce.
Spiace per gli architetti, che in questi dieci anni hanno investito anima e corpo in un progetto che adesso è stato loro tolto, spiace per le società sportive e tutti i cittadini che hanno davvero creduto che votando sì lo scorso novembre avrebbero finalmente avuto anche delle infrastrutture sportive degne di questo nome e che adesso rischiano, per l’ennesima volta, di vederle sfumare in un indistinto, e forse parecchio remoto, futuro.
Un’altra tappa, di sicuro non l’ultima, in quel pasticciaccio brutto che è da tempo diventato il PSE.