Ticino, terra di editori
Dal Voltaire che pesa alla gigioneria dello Spettacolo dei libri… senza libri
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Dal Voltaire che pesa alla gigioneria dello Spettacolo dei libri… senza libri
Fioccano cataloghi di editori ticinesi, con un’offerta tale di libri che lascia quasi sbalorditi o intimoriti. Sa persino di utopistico o di eroico se si pensa alle nostre limitazioni territoriali, geografiche e politiche, di presenza linguistica nazionale, per di più sopraffatta (o anche snobbata) dalla sua matrice d’oltreconfine; di mercato, acquirenti, scarso numero di lettori potenziali all’interno di una piccola accantonata provincia, serrata a sud e a nord, malgrado le supertrafficate vie di comunicazione fisiche o virtuali. Viene allora da dire o da aggiungere, facendo il verso ad altri iperbolici detti o manifesti del passato: Ticino, terra di editori, nonostante tutto. Che non sarebbe comunque una novità: tutto sembrava già presente nella nascente Repubblica che osava e manifestava in fatto di editoria e di libertà d’espressione con coraggio e rischi non da poco e tutt’altro che economici.
Non si può raccontare il bene (e forse neppure il superfluo) dei libri pubblicati dai nostri editori. Ognuno di noi farà le sue scelte. Mi permetto di sceglierne uno per tre motivi: perché mi ha incuriosito e conquistato già nel titolo (e c’entra dunque un interesse personale); perché mi hanno colpito la scelta, il coraggio, il rischio certo dell’editore che stampa e propone quel libro (e diventa già un fatto comunitario); perché non ho potuto fare a meno di deviare su un confronto, forse un poco cattivello… tra il piccolo editore ticinese e la possente Televisione pubblica (proprio a causa di una trasmissione che si definisce “lo spettacolo dei libri”).
Il libro che mi ha colpito è: Voltaire, Gli anni in Svizzera, a cura di Franco Monteforte e Carlo Caruso, Armando Dadò editore. Un libro di peso (anche fisico, quasi un chilo, 8oo pagine; non roba per tutti i gusti o da spettacolo e tanto meno da comodino, è vero). Tuttavia, snello: graficamente curato, con un inserto centrale di immagini curiose e appropriate, ma soprattutto ben articolato. Dapprima con un preciso, documentato, ammaliante e scorrevole saggio storico introduttivo di Franco Monteforte su “Voltaire a Ginevra e Losanna, Una storia europea”. Poi per l’antologia di lettere di Voltaire dalla Svizzera (1754-1760) curata da Carlo Caruso. Monteforte- ci si informa nel risvolto- vive e lavora in Valtellina ed è informazione che ha pure un suo fascino; è autore di vari saggi storici e di arte (Giacometti) e starebbe già lavorando su scritti di Tocqueville (La democrazia in Svizzera, di prossima pubblicazione ancora presso Dadò). Caruso insegna all’università di Siena (personalmente mi ha già entusiasmato il suo Mme de Stael, Dieci anni di esilio, pubblicato da Dadò, passaggio obbligato per chi vuol conoscere aspetti spesso trascurati di Napoleone, l’imperatore che ha qualcosa a che fare anche con il Ticino).
La bibliografia su Voltaire è immensa e si potrebbe pensare che non c’è ormai più niente da aggiungere o reinterpretare. Il saggio di Monteforte rimane comunque unico per l’impostazione e proprio per questo una “novità” da non perdere. Almeno per tre motivi. Perché si può dire che c’è dentro tutto Voltaire, con le sue pubblicazioni che lasciano sempre il segno, su tutta Europa, le sue attività teatrali e le sue idee dirompenti, le sue forti polemiche (in particolare la “querelle” con l’altro ginevrino, Rousseau). Perché Voltaire appare come “vera levatrice… della storia ginevrina del secondo Settecento”. In particolar modo attraverso tutta la vicenda (o la “battaglia”) dell’Encyclopédie (Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers) quella formidabile impresa di Diderot et D’Alembert (che vi scriverà appunto anche l’articolo su Ginevra), assunta poi a simbolo dell’Illuminismo e del nuovo rapporto tra cultura che vuol agire e trasformare la realtà, un mondo editoriale in espansione, un pubblico di lettori che vuol essere informato ed aggiornato. Emerge un mondo (quello ginevrino, calvinista) colmo di tensioni, di resistenze, di ipocrisie. E quindi la contraddizione culturale fra l’anima cosmopolita e l’anima identitaria e patriottica della città o, meglio, tra il “cosmopolitismo della cultura illuminista, che afferma l’universalità di valori come la ragione, la libertà e la tolleranza, oggi fondamento della civiltà europea, e il tradizionalismo patriottico della cultura ginevrina…”. Chi legge è tentato, mentalmente, a trasporre quella realtà ginevrina Settecentesca, messa in luce da Voltaire, nella attuale nostra realtà locale o nazionale, trovandovi, nella sostanza se non nella forma, similitudini preoccupanti. Ed è così che la storia serve e potrebbe ancora essere “magistra vitae”, maestra di vita. Ed è appunto così che quel libro diventa saggia proposta e anche utile lettura.
La raccolta di lettere dalla Svizzera (1754-1760) con Voltaire, straniero, rifugiato (immaginiamoci quanto sarebbe oggi gradito per certuni in Svizzera) che si firma spesso: Lo Svizzero V, Il vecchio o piccolo Svizzero V., lo Svizzero libero, quasi a sottolineare uno “status” che lo distingue, è conforme al suo voler essere, lo rende intellettualmente felice, occupa metà del volume. Certo, sono una minima parte del suo enorme corpus epistolare (15 mila lettere a 1800 corrispondenti). Si capisce però anche da queste poche lettere svizzere che non ha torto chi osa dire che l’epistolario è il suo capolavoro letterario o che più nelle lettere, che in altri scritti, Voltaire è stato audace e creativo. Per immaginazione, creatività, humour, spirito di libertà, vivacità e acutezza polemica e anche senso degli affari e non di rado abbondante cortigianeria che ci rivelano le debolezze dell’uomo, ma spesso anche la sottostante abilità nell’aggirare i potenti e condurli dentro il suo modo di ragionare o di vedere gli avvenimenti della grande Storia. I quali, anche nelle piccole località svizzere, nel paese di Vaud o presso Ginevra (che non sono certo equiparabili alla proibita Parigi) sono sempre presenti e- mischiati alle volte ai fatti minori del quotidiano o persino agli acciacchi che lo perseguitano- sembrano quasi relativizzarsi. Oppure riescono a esprimere quella sensibilità che può anche dare altro senso alla Storia (la lettera a Federico II, re di Prussia o contro i suoi propositi suicidi è esemplare). È vero, le lettere richiedono pazienza nella lettura, fin là dove poi arriva la parte esaltante per densità e ricchezza di pensiero. Ma ne vale sempre la pena perché è come trovare una sorta di dono sotto l’albero.
L’editore Dadò ha avuto coraggio a stampare ed a proporci questo volumone. Probabilmente non ha nemmeno potuto permettersi una scommessa e dirsi: troveremo finanziamenti e acquirenti e lettori interessati sufficienti per coprire i costi di produzione. È una scelta che non è quindi sbagliato e azzardato definire prioritariamente “culturale”. Non rimunerativa dal punto di vista economico, come forse potrebbe essere il romanzetto poliziesco o un libro di fotografie sulle nostre valli o montagne, ma propositiva, sia come conoscenza storica di un’epoca fondante per l’Europa dei diritti, come discorso sulla libertà, la tolleranza, la libertà d’espressione (e Voltaire arriva nel paese di Vaud o a Ginevra anche per la libertà editoriale che sa di trovare), sia anche come ricerca e strumento essenziale per altri ricercatori, storici, docenti, politici o governanti che amano la conoscenza e sanno ancora nutrirsi di cultura e di idee.
A fronte di un Ticino, Terra di editori e di editori che sanno rischiare sia proponendo opere impegnative, sia (quasi soprattutto, si potrebbe dire) nel senso del soldo, economico, abbiamo un servizio pubblico, la Televisione, che ha tra i suoi obblighi anche il promovimento culturale (e, quindi, della lettura). Ci dovrebbe essere una correlazione esistenziale tra la Terra di editori e la Televisione (in parte, ma minimamente, c’è con la Rete Due). C’è una rubrica che sembra prometterlo: Turné Soirée, lo spettacolo dei libri. Che nella sua presentazione dice anche: “dedicata alla letteratura”. Ha solo metà titolo vero, *spettacolo”, anche quello parzialmente. I libri, in verità non ci sono, o entrano uno o due molto di straforo, ospiti quasi inaspettati rispetto alla sovrabbondanza girovagante degli altri ospiti in carne e ossa, forse come pretesto per giustificare l’altra metà del titolo. Con un fraticello, perdipiù, che non sa neppure se ha una Bibbia (libro impegnativo, è vero, e non necessariamente “religioso”).
Che cosa c’entra quindi il confronto con l’editore Dadò? C’entra per due sostanziosi motivi. Dapprima perché abbiamo un editore che sa correre il rischio, anche economico, dell’impegno culturale; dall’altra parte, invece, si ritiene che la cultura o il libro impegnato siano per definizione una noia maledetta che bisogna quindi tentare di trasfigurare con lo spettacolo, anche banaluccio e tutto chiacchiere insulse, neppure divertenti, riuscendo ad accennare a un libro o due. Ma abbassando ancora di fatto il livello di impegno del telespettatore, ritenuto a priori una sorta di stanco e culturalmente refrattario “minus habens”, soprattutto se giovane. Per concessione e per statuto, poi, l’impegno culturale o persino la funzione educativa dovrebbero essere molto più presenti e forti per la Televisione che non per il piccolo editore ticinese, che non dispone neppure degli strumenti o dei modi di presentazione televisivi o dei mezzi finanziari e delle assunzione di rischio finanziario che ha il servizio pubblico, il cui scopo non è certo la resa economica. A buon conto, volessimo anche buttarla sullo spettacolo, il piccolo editore ticinese batte ampiamente e magistralmente la Televisione.
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