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Sardegna, nel paese assediato dagli incendi
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Sardegna, nel paese assediato dagli incendi

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Sardegna, nel paese assediato dagli incendi
Naufragi

Sardegna, nel paese assediato dagli incendi

Le lingue di fuoco che avanzano velocemente, le distruzioni in uno scenario lunare, anche noi pronti ad evacuare. La testimonianza diretta di una collega della redazione di Naufraghi/e


Eleonora Giubilei
Eleonora Giubilei
Sardegna, nel paese assediato dagli incendi
• 29 Luglio 2021 – Eleonora Giubilei

Nel periodo elettorale i contributi di candidate e candidati sono benvenuti sulla nostra zattera secondo queste regole

Sbarchiamo a Porto Torres sabato mattina e ci dirigiamo verso l’Oristanese, come da tradizione: di una vita, se penso a Luca, il cui padre è sardo da generazioni; da una quindicina d’anni a questa parte per ciò che riguarda la sottoscritta. La Sardegna che conosciamo noi non è quella da cartolina, con spiagge bianche, lettini da sole e ombrelloni tutti ordinati, cocktail sul mare che costano un occhio della testa e movida notturna zeppa di discoteche e nomi noti. Siamo volutamente lontani dalla villa di Berlusconi, dal Billionaire di Briatore, dagli yacht delle celebrità. La Sardegna che amiamo noi non esiste, è per i pochi che si avventurano fuori dai percorsi turistici, per le viuzze di paese o su per i sentieri di montagna.

I media nazionali le dedicano un trafiletto ogni tanto, solitamente in occasione di disastri naturali come incendi estivi e smottamenti oppure in presenza della becera propaganda elettorale fatta sulla pelle dei pastori. La rivolta del latte, ultima problematica attenzionata da stampa e televisione, è servita solo a coloro che hanno racimolato voti facili, dettati dalla rabbia e dalla frustrazione. Dopo settimane di proteste e vuote promesse, infatti, il tema ha perso mordente e la Sardegna è tornata nuovamente nel cono d’ombra dell’indifferenza generale. E, da allora, per i pastori sardi poco o nulla è cambiato.

La nostra destinazione è Scano, un paese di 1473 abitanti, con piccole casette che si aggrappano alle pendici del Montiferro. Anche qui poco o nulla è cambiato, questa volta in accezione positiva. Un luogo operoso, dove ci si sveglia alle prime luci dell’alba per andare a lavorare la campagna e a curare gli animali, i cui ritmi quotidiani sono scanditi dalle esigenze della terra e del bestiame, principali fonti di guadagno per l’economia locale. Ci accolgono il piazzale assolato della chiesa, la via che taglia in due il paese, le sue genti che salutano cordialmente al nostro passaggio.

Una macchina ha preso fuoco sulla statale a Bonarcado, a una trentina di chilometri di distanza, e provocato un incendio che sembrerebbe esser stato domato. Nel primo pomeriggio veniamo a sapere che si è riacceso, complici il vento e la sterpaglia secca; normale amministrazione durante la stagione estiva, per niente preoccupati scendiamo verso le spiagge. Sarà per poche ore, però, poiché da dietro la collina di Porto Alabe fa capolino una nube di denso fumo marrone: del verde, e in grande quantità, sta bruciando da qualche parte. Ci rimettiamo in auto prima che il fumo raggiunga la strada. A Scano dicono che a Bonarcado la situazione è sfuggita di mano, il vento ha fatto propagare le fiamme in men che non si dica, mezzi e uomini non bastano, piccoli focolai si sono accesi in altre località. Dolosi? Naturali? Qualsiasi ipotesi è plausibile. Da quella che i sardi chiamano ormai “campagna incendi” e che parrebbe una vera e propria associazione a delinquere volta a far girare il business dell’emergenza, venendo incontro anche agli interessi di chi vorrebbe convertire forzatamente valli e boschi in terreni per il pascolo; all’ipotesi della circostanza fortuita, con queste temperature torride è sufficiente una scintilla per far scoppiare un incendio, che sia per colpa di una marmitta ancora calda o di una bottiglia buttata lungo il ciglio della strada. Seguiamo il tutto con l’attenzione che si dedica a una vecchia abitudine, l’isola convive da decenni con il fuoco.

È solo dopo cena che iniziamo ad allarmarci. Il telegiornale porta brutte notizie. Il fuoco si è diffuso come una piaga, un cancro che soffoca la terra e lascia dietro di sé cenere e distruzione. Le immagini mostrano Santu Lussurgiu attanagliata dalle fiamme (com’è possibile che siano arrivate già fin lì?), a Usellus i pastori cercano di portare in salvo il bestiame, Villaurbana e Arzana sono ridotti a paesaggi spettrali. Dopodiché il nulla, i ripetitori televisivi di Badde Urbana vengono danneggiati dall’incendio. Per avere notizie di prima mano ci rechiamo alla Compagnia barracellare, la sede si trova in cima al paese e consta di un’unica e piccola costruzione in pietra. Nello spiazzo antistante iniziano ad ammassarsi persone in cerca di rassicurazioni e dei volontari si mettono a disposizione per il controllo del territorio. L’atmosfera è tesa, lo scirocco ci sferza con tale ferocia da spostarci di metri, l’enorme cumulo di fumo che sovrasta ormai tutto il Montiferro ha preso il posto del cielo notturno. Il vento soffia incessante dal pomeriggio e ha diviso il fuoco in due lingue pericolosissime, una che sale dietro al paese e l’altra diretta verso Cuglieri, a pochi chilometri da noi, subito dopo la valle. I barracelli si organizzano in fretta e furia, c’è da andare sul monte a monitorare l’incendio, sperando che il fuoco non scavalli e raggiunga anche Scano. Torniamo a casa in silenzio, ci attende una lunga notte. Chiudiamo tutte le finestre per non far entrare il fumo e guardiamo in direzione di Cuglieri: oltre la linea nera del bosco le fiamme si ergono altissime. Andiamo a dormire, senza sapere se verremo svegliati dalle campane della chiesa… i rintocchi significherebbero l’evacuazione. Mi sveglio in piena notte fradicia di sudore, non per colpa dei 35° presenti in camera. Un vecchio mai visto in vita mia mi urla in faccia “arriva, il fuoco, arriva!”: è solo un incubo, ma mi alzo comunque a controllare se nello zaino ho messo tutto il necessario per un’eventuale fuga dal paese.

È domenica mattina. Senza più televisione come fonte primaria d’informazione, ci immergiamo nella giungla del web e dei social networks. Video e immagini sono scioccanti. Nella notte le fiamme hanno devastato il territorio di Cuglieri e, scansandoci, sono scese verso il mare, raggiungendo Santa Caterina di Pittinuri e S’Archittu. A Porto Alabe lo scirocco cambia improvvisamente direzione e punta verso Tresnuraghes, prima di calare e concedere finalmente una tregua. Nella sua corsa mortale il fuoco investe 70 chilometri di territorio tra l’Oristanese e l’Ogliastra: brucia più di 20000 ettari di boschi, oliveti e campi, danneggia le case, lambisce le spiagge; distrugge le aziende agricole, arde vivi gli animali, sfolla 1500 tra locali e turisti. Scappano anche corpi forestali e volontari, colpiti e ustionati dai tizzoni ardenti. I danni a flora e fauna sono incalcolabili, si stima che ci vorranno cinquant’anni per ripristinare l’equilibrio ambientale. Anche Sa Tanca Manna non esiste più: l’olivastro simbolo della Sardegna, che ha resistito a 2000 anni di storia e al grande incendio del ’94, nulla ha potuto di fronte a questo mostro maledetto che tutto inghiotte e porta via. L’avevo ribattezzato Barbalbero; ci resterà la foto ricordo di una serena gita in famiglia di qualche anno fa, tutti raggruppati ai suoi piedi. Se solo ci fosse una politica di prevenzione degna di questo nome, se solo la regione investisse risorse per il controllo del territorio, se solo gli uomini di buona volontà avessero mezzi di soccorso su larga scala.

La tregua è finita. A metà mattina il vento riprende forza e con esso i roghi, che raggiungono presto Magomadas, Tinnura… e Sennariolo. Siamo i prossimi. Impossibile fermare l’avanzata delle fiamme, inutile sperare in un miracolo. Tutti gli uomini di Scano si trovano in campagna, molti hanno passato lì la notte. Monitorano la situazione, puliscono il più possibile da rovi e sterpaglie, cercano di creare delle linee tagliafuoco, bagnano muretti, terra, piante. Il fumo precede l’arrivo delle fiamme, non c’è più tempo, bisogna portare in salvo greggi e bestiame, rientrare in paese. Mattia riesce a portare via i cavalli e i cani da caccia all’ultimo momento, prima che il fuoco divori stalla, cucce, la Jeep parcheggiata. Alcuni decidono di restare e difendere la propria terra, con il corpo, con il cuore; rischiando tutto, anche la vita. Due giovani torneranno in paese dopo ore, con gli occhi rossi e il viso coperto di fuliggine nera: in mezzo a quell’inferno hanno continuato a girare in cerchio con una canna dell’acqua a testa, delimitando la proprietà, salvandola, salvandosi.

Il paese è circondato, 400 abitanti vengono fatti evacuare da Sa Serra al Centro giovanile, ma i soccorsi ancora non si vedono, siamo soli. Il vecchio sconosciuto del mio incubo aveva ragione, il fuoco è arrivato. L’incendio prende il campo sportivo e minaccia la pineta, a pochi metri dalle case… di questo passo entro sera faremo la stessa fine di Cuglieri. All’improvviso vediamo arrivare due Canadair, che si fiondano sulla valle e iniziano a liberare il loro prezioso carico: l’acqua significa la salvezza di Scano. Dal piazzale della chiesa assistiamo impotenti, con la speranza che facciano in fretta, che riescano a calmare le fiamme, a limitare i danni. Sentiamo le sirene delle ambulanze, che ci confermano che stanno portando al sicuro gli ospiti della casa anziani; ci raggiungono carabinieri, pompieri, due elicotteri, altri due Canadair. I forestali stanno lavorando alla nostra destra, tagliano alberi con le motoseghe a un centinaio di metri in linea d’aria: è l’ultimo disperato tentativo di creare una barriera che fermi l’ennesima e pericolosa lingua di fuoco. Vi sono il crepitio di foglie e rami, il rumore dei mezzi, l’aria irrespirabile, gli occhi che bruciano, la gola che pizzica, l’angoscia che attanaglia. Però, in qualche modo, Scano di Montiferro ha resistito. La pineta è salva, l’incendio sta andando oltre, purtroppo è diretto verso San Leonardo… sappiamo che si estinguerà solo quando non vi sarà più nulla da distruggere.

Nei giorni successivi ci sarà la conta dei danni, immensi per questi piccoli nuclei che sopravvivono grazie ad agricoltura, pastorizia e allevamento. L’incendio del 2021 resterà nella storia per la tragicità delle sue conseguenze, ambientali in primis, e per aver messo in ginocchio l’intera economia locale, per la quale bisognerà intervenire urgentemente. Eppure, nonostante gli attimi di terrore vissuti e l’aver perso tutto, nonostante le ferite profonde che il fuoco lascia dopo il suo passaggio, il popolo sardo non ha mai chinato il capo: è rimasto unito in mezzo all’inferno e ancora una volta ha mostrato una natura stoica e fiera, che non arretra di fronte a nulla. Ed è con la dignità e l’orgoglio di appartenere a una terra meravigliosa, tutta da scoprire, che faranno bonifica, ricostruiranno, cominceranno da capo, si rialzeranno. Che i politicanti nelle loro sale riunioni aiutino o meno. Perché la Sardegna, da sempre, si salva da sé.

Immagini di Eleonora Giubilei e Luca Milia






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