CITO… RNO, ovvero: intorno al nuovo libro di Cito Steiger
Una sorta di palco su cui va in scena un cabaret tragicomico. In ogni testo, in ogni gesto mescola i sentimenti più disparati
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Una sorta di palco su cui va in scena un cabaret tragicomico. In ogni testo, in ogni gesto mescola i sentimenti più disparati
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Una sorta di palco su cui va in scena un cabaret tragicomico. In ogni testo, in ogni gesto mescola i sentimenti più disparati
Brillante in prosa e in versi. In lingua – oltre all’italiano, lo spagnolo, ereditato dal passato migratorio dei nonni in Argentina – e in dialetto: quello ticinese, ma anche un trilussico, abborracciato romanesco (pp. 130-134). Nelle vignette e nei trasformismi espressivi del suo volto. Giocando con le parole – tecnicamente si parla di pastiche, da leggere alla francese: nulla a che vedere con il ceviche – l’esito è spesso esilarante; combinando parole e di(segni), talvolta la… combina grossa (andate a pagina 146 o chiedete a Evelina Barsi, materna ed affettuosa protagonista della vignetta di pagina 177).
Ecco, tutto questo è Cito. Tutto questo è Intorno. Storie tragicomiche di poeti stravaganti, freschissimo di stampa presso Fontana edizioni, con brillante prefazione di Giorgio Passera.
Il libro è in vendita a 32 CHF: fatto un rapido calcolo, 10 centesimi esatti per ogni pagina-tappa di un percorso caustico e corrosivo che ci restituisce, in piena forma, un faro della nostra meglio gioventù davanti al piccolo schermo, e a me un ex collega al quale, pur non andando mai oltre un rapido, intimidito ciao (“salüdal e pö fa… Cito”), mi sono sempre sentito particolarmente vicino. Entrambi – lui nei primi anni Sessanta, io una ventina d’anni dopo – ci guadagnavamo la pagnotta dietro le quinte (lui al Servizio Film, io al Servizio (o Silenzio?) Stampa, riassumendo, per il Radioprogramma o per Teleradio 7, le trame dei film che passavano in TV, attenti a segnalare scene scabrose che, di pomeriggio o in prima serata, avrebbero potuto urtare qualche benpensante.
Ma c’è un altro Cito, quello che la Svizzera italiana ama profondamente, che ci riporta ad alcune trasmissioni storiche dell’allora TSI: prima fra tutte, tra il 1990 e il 1995, La Palmita (poi Ziuq), appuntamento settimanale fatto di sketch satirici, imitazioni e parodie corrosive, quiz demenziali, clip musicali d’attualità: Juancito, i suoi testi e il suo trasformismo ne erano i protagonisti più attesi, ma la storica trasmissione scaturiva da un perfetto, maturo gioco di squadra. Un ingranaggio collaudatissimo nonostante la probabile improvvisazione creativa, al quale partecipavano – li voglio citare – Mario Del Don, Joanne Holder, Pietro Ghislandi, Carlo Somaini, un giovane Paolo Riva, un anziano Renzo Scali, il regista Mauro Regazzoni, il produttore Sandro Pedrazzetti.
Come non ricordare – per tornare al Cito – i personaggi da lui inventati e impersonificati, a cominciare dal Gigi Piantoni (che attirò la benevola attenzione del critico Aldo Grasso, chiamato a dare un parere sulle trasmissioni per ragazzi)? La sua imitazione del Sciùr Maestro (Angelo Frigerio, che ci riporta a Trilussa: tout se tient )? La finestra-tormentone sui Grigioni – i cui rappresentanti politici hanno sempre rimproverato alla RSI insufficiente attenzione nei loro confronti – “Da Coira nesüna nuvitads, sempar istessas menadas. Ah-Ha. Da Coira vèss tütt ”, seguito da due colpi di clacson su un volante appartenuto a Clay Regazzoni )? Come dimenticare Buzz Fizz Quiz (con la Maristella e il Bigio) o Siore e Siori bonasera!, strampalata parodia del Quotidiano e del Regionale interpretata da Gianmario Arringa?
Oggi, 30 anni dopo, alcuni epigoni (Paolo Guglielmoni, Flavio Sala, Ottavio Panzeri, Nicolò Casolini) usciti da quella fucina di talenti chiamata Rete Tre, messa insieme da Jacky Marti nel 1988), strappano ancora più di un sorriso.
Cito però, dal canto suo (sempre ammesso che sappia cantare) si spinge oltre: in questo secondo libro (dopo Gent del 2020) gioca magistralmente con le parole, le combina, le mesce in un ardito impasto di cui il Passera solitario prefatore, nella brillante (l’ho già detto?) prefazione – e dove, se no? – sottolinea il valore: “ la lingua-base di Cito è proprio il dialetto ticinese, che veramente ticinese non è mai. (…) Un codice che privilegia il suono, la musicalità, il nonsense, il surreale. (…) Un autore che riesce a costruire bizzarri castelli di parole pur rimanendo sempre se stesso, fedele al suo stile. (…) Il libro è una sorta di palco su cui va in scena un cabaret tragicomico. (…) Cito è un clown che in ogni testo, in ogni gesto mescola i sentimenti più disparati”.
In questo cabaret spesso saturnino e malinconico – che ai critici veri richiama un mondo felliniano, a me ricorda, in disordine alfabetico, Tonino Guerra, Mino Maccari, Ennio Flaiano e, in molti disegni, Dubuffet e dintorni – si muove una irresistibile galleria di improbabili poeti: Adelmo Tironi (“che compone poesie seduto sulle punte del forcone per trovare la sofferenza necessaria”); il contadino valmaggese Alabama Bernascon, che canta il blues dei Neri d’America (“Ze laif is grit, uen iu capiss che are viv”); Egidio Campanaz, marunàtt della Valcolla emigrato a Parigi (“La Val Col est une val très attachante” ); Tölökkö Bentirantha, tagliatore di iceberg per una fabbrica di cubetti di ghiaccio (“Na birü, kaldö, barmänö! Baste robe frégie!” ).
Sufficiente a rendere l’idea? Allora andate in libreria e, senza esitare, guardatevi Intorno.
Vèss tütt!
Nell’immagine: Cito Steiger nelle vesti del celebre Sig. Piantoni
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