Spazi di aggregazione cercansi
Cosa devono fare i giovani per stare insieme senza che intervenga la polizia?
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Cosa devono fare i giovani per stare insieme senza che intervenga la polizia?
Lo scorso fine settimana, con la festa informale di un centinaio di giovani nel parco di Villa Saroli, si è riproposto una volta di più un tema di grande rilevanza, quello degli spazi aggregativi a Lugano.
A proposito dell’evento in questione si è già espresso su “Naufraghi/e” Marco Züblin, che lo ha letto come spunto di riflessione per denunciare una certa attitudine a risolvere le questioni di questo tipo con le “maniere forti” e con il “braccio armato” di una polizia chiamata ad intervenire in modo sempre più sproporzionato, in preda evidentemente, ad una crisi di nervi, di rabbia e di paura per nulla rassicuranti.
Gli avvenimenti del parco di Villa Saroli, hanno però di nuovo portato alla ribalta anche le difficoltà che una volta ancora la città mostra evidenti nell’affrontare il delicato capitolo delle cosiddette “politiche giovanili”.
Da tempo immemore in ogni paese, villaggio o città, i giovani hanno sempre cercato ed individuato luoghi di aggregazione. Un campetto, un muretto, un giardino, un parco o una piazza sono da sempre, verrebbe da dire, luoghi di ritrovo per molti giovani. È una necessità fisiologica e sociale di una “generazione in formazione”, per giocare, per distrarsi, per confrontarsi e fare le prime esperienze, per cercare e trovare un’identità nuova e non imposta, predefinita, preordinata. C’è insomma, il desiderio di autodeterminarsi.
Chi non ha vissuto qualcosa del genere, anche nel passato, anche in una realtà meno urbanizzata e globalizzata di quella odierna? A maggior ragione oggi, dunque, si tratta di considerarlo un fenomeno sociale “naturale” ma complesso, che si manifesta in modi diversi e differenziati, e che va affrontato dalla politica anzitutto cercando di comprenderne le forme e le ragioni.
Sembrerebbe che a Lugano queste modalità d’incontro non siano ben viste. Certo i giovani hanno anche esigenze che spesso gli adulti mal sopportano, che non possono o non vogliono riconoscere. I rumori, gli schiamazzi, la musica ad alto volume, i decibel, possono essere tutti elementi di disturbo di una certa “quiete pubblica” che si deve e si vuole far rispettare per una cittadinanza probabilmente già sin troppo sollecitata ed esasperata. C’è un diffuso scontento, cresce l’intolleranza verso tutto ciò che non concerne la propria “sfera privata” proprio mentre i giovani ne cercano una pubblica, che permetta loro di socializzare, di sperimentarsi dentro un gruppo.
Certo, si tratta di una “socializzazione” dalle molte facce, che può anche trovare una risposta in momenti organizzati dal Comune. Oppure può diventare, per esempio, l’adesione a gruppi sportivi, sia come pratica che come sostegno a società sportive (e, dobbiamo dirlo, non senza “derive” a volte anche più preoccupanti di quelle, presunte, riscontrabili in una festa al parco). O ancora, può essere semplicemente frutto spontaneo del desiderio e della necessità di incontrarsi, senza che nessuno dica o imponga né il come né il perché.
Ci sono poi esempi, estremi, di tensioni e scontri fra giovani (alla “pensilina” o alla foce), sintomi di una condizione di vero “disagio” che va affrontato con fermezza ma non esclusivamente con la pura e dura repressione, e senza mai generalizzare: i giovani non sono tutti uguali, non sono tutti classificabili con etichette di comodo che liquidandoli come delinquenti e “brozzoni” ne fanno l’oggetto di una politica miope e iniqua, fatta di pregiudizi e di controproducenti chiusure.
Con l’abbattimento dell’ex-Macello è venuto a mancare uno spazio di aggregazione giovanile contenuto e tutto sommato sicuro e ben delimitato.
Quello dell’illegalità è un mantra usato per giustificare molte azioni in cui la polizia è stata chiamata ad intervenire. Lo abbiamo visto molte volte: vi ricordate i fatti al parco dell’Accademia di Mendrisio? A Lugano la contrapposizione alla realtà autogestita ha fatto sì che molti giovani ora si aggregano forse più di prima e in special modo occupano spazi pubblici per assemblee, per aperitivi e serate ricreative. E non ci si illuda: lo faranno ancora per molto tempo.
Lugano, per i giovani non è mai stata una città da vivere. Basti vedere cos’è il centro alla sera e quanto fastidio darebbe una sua “animazione” fatta non solo di eventi istituzionali e di parata, ma anche di occasioni di incontro che possano nascere spontaneamente.
Con l’avvento della nuova municipale responsabile del Dicastero Sicurezza – al centro della repressione di via Simen e della infausta demolizione dell’ex-Macello- favorita da quel personaggio a capo della socialità che ogni domenica firma articoli denigratori su tutto e tutti, si è di fatto alzato il livello di cieca intransigenza, “militarizzando“ la polizia, sempre più presente in tenuta antisommossa.
Ma usare le maniere forti in situazioni che meriterebbero ben altre risposte, non risolve la questione, anzi, accentua la frattura. Cavalcando frustrazioni, tensioni, esasperazioni, in nome dell’”adesso basta!” invocato da cittadini amareggiati e scontenti, tanto per tenerseli buoni per le prossime elezioni, non si farà certamente fronte ad un tema, come quello della politica giovanile, che deve saper contemplare non solo modalità istituzionali, ma anche forme di “autonomia” che lascino crescere, senza pressioni o modelli preconcetti, una generazione nuova alla ricerca della propria identità.
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