Svizzera-Serbia 3-2: Aquile rossocrociate
In grande crescita, la squadra rossocrociata può ambire a ogni traguardo
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In grande crescita, la squadra rossocrociata può ambire a ogni traguardo
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In grande crescita, la squadra rossocrociata può ambire a ogni traguardo
Alzi la mano chi credeva nella vittoria svizzera dopo aver subito due reti dai serbi, oltretutto in seguito a due errori dilettanteschi, capaci di ‘tagliare’ le gambe ai più esperti professionisti. E invece, dimostrando grande carattere, grande maturità, i rossocrociati, da goffi aquilotti si sono trasformati in aquile: dove volano le aquile. In alto.
Ma forse stava scritto: la Dea bendata aveva mandato un primo segnale nella persona dell’arbitro, l’argentino Fernando Repellino che aveva diretto Francia- Svizzera agli Europei, con la vittoria ai rigori grazie alla strepitosa parata di Sommer su Mbappé. E poi, quel tiro di Zivkovic che centra il palo, e il rimpallo che finisce fra le braccia di Kobel che sostituiva Sommer, e che non ha avuto molto da fare. Ma la fortuna aiuta, si dice, gli audaci. E audaci i rossocrociati lo sono stati, guidati da una forza interna che li spingeva a rimediare ai gravi errori, a crederci sempre, dopo la rete dell’uno a zero di Shaqiri e un passaggio a vuoto, un black-out, un buco nero nel quale tutti sembravano caduti e dissolti, tipico di chi ha paura di vincere, di chi non ha la forza mentale e l’orgoglio, tipico del petit-suisse di Brecht. Shaqiri sbaglia forza e misura in un tocco all’indietro che un giocatore di quarta divisione avrebbe eseguito meglio, la difesa, molle come un brogiotto (nel senso del fico) tardo-autunnale si addormenta, lo stesso grande Akanji scatta in ritardo e permette a Mitrovic il colpo di testa.
Il 2-1 arriva quando Freuler, reduce da mille battaglie in Italia e Inghilterra, fa un cosa che non si dovrebbe mai fare: tentare il dribbling contro due avversari a centrocampo con la squadra sbilanciata in avanti.
Fine della trasmissione? No, perché dopo aver abbondantemente perso la testa, sulla scia di un formidabile Rodriguez, la squadra si ritrova e rimedia con una grande azione poco prima della pausa: percussione centrale di Shaqiri, apertura per Widmer, cross da grande ala destra per Embolo che ci deve solo mettere il piedone.
La Svizzera ha salvato capra e cavoli. Nella ripresa ci mette pure qualche altro ingrediente. Intanto segnando subito la terza rete con un’azione di tipo ‘brasiliano’: morbido tocco di Shaqiri per Vargas, geniale colpo di tacco per Freuler, sì, proprio lo sciagurato Frueler che segna con la freddezza di un grande centravanti vecchia maniera. Alla fine, ciliegina sulla torta, Yakin mette finalmente in campo Zakaria -pronti e via, che entra immediatamente in partita e toglie ai serbi ogni velleità con i suoi straordinari interventi a centrocampo: l’italiano non è lingua adatta allo sport, in questo caso dice che il giocatore è un ‘incontrista’; in francese, molto meglio milieu recuperateur, uno che sembra calamitare la palla. Ma per farlo bisogna capire in anticipo la mossa del rivale, capire dove si gira.
Ora, Zakaria e Xhaka, pare, non possono giocare assieme, coprendo lo stesso ruolo. Dipendesse da molti, noi compresi, Zakaria dovrebbe sempre essere in campo, non importa in quale ruolo. L’ottimo, ma incorreggibile Xhaka, poi, come già agli Europei contro la Francia, è riuscito a collezionare due gialli, che ai mondiali equivalgono a sospensione. Non solo: quando la panchina serba si è molto agitata reclamando un rigore inesistente su Mitrovic che si era tuffato come in piscina, Xhaka non ha trovato di meglio che farsi beffa degli avversari: si è afferrato, dolcemente per fortuna, le parti basse poste fra gli inguini.
Ci potrebbe scappare una squalifica supplementare o una multa, come quella di 10’000 franchi per il gesto dell’aquilotto albanese che aveva fatto quattro anni fa in Russia assieme a Shakiri e al capitano(?!) rossocrociato Lichtsteiner. Alla fine Xhaka ha nuovamente sentito il richiamo della giungla e si è gettato a spintoni e insulti nella mischia: abbiamo temuto il peggio. Se l’è cavata, appunto, con un cartellino giallo. Peccato, perché ha disputato una grande partita, come Shaqiri del resto, che alla fine ha salutato i giocatori serbi sventolando a mo’ di torero la bandiera rossocrociata. Elegante.
Yakin, bravo e fortunato, ha baciato Xaka sull’orecchio. Sugli spalti non è successo nulla: essere in Russia fra i fratelli ortodossi e essere nel Qatar non è la stessa cosa. Xhaka e Shaqiri hanno avuto l’ordine di non parlare, prima e dopo il match. Lo staff svizzero, dormiente e dilettantesco agli Europei, si è, finalmente, aggiornato, anche grazie al nuovo direttore Tami. Ora tutti, compresi i leoni da tastiera, tanto virulenti quanto stupidi (ma anche certi politici) dovrebbero averla capita.
La patria del calciatore è la squadra. In quella si identifica. Punto. La Svizzera multietnica fra non molto, potrebbe avere più giocatori di origine africana che europei, tutti a sventolare la bandiera, tutti nipotini di Alcibiade, sul quale non vogliamo entrare più di tanto merito.
I calciatori hanno altro per la testa: facciamo che Alcibiade, moderno Ronaldo, ha cominciato con l’AEK Atene, passando poi, vero colpo di scena, al Real Sparta. Attratto da una nuova esperienza in Paese straniero, è finito all’A.C. Persepolis chiamato dal famoso stratega Tissaferne. Alla fine ha sentito nostalgia di casa ed è ritornato ad Atene, da perfetto narcisista egocentrico, dando sempre il meglio di sè: per aiutare la squadra a vincere, naturalmente.
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