Uomini che raccontano (e uccidono) le donne
Della necessità di una narrazione e di soluzioni al femminile
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Della necessità di una narrazione e di soluzioni al femminile
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Della necessità di una narrazione e di soluzioni al femminile
I talk show televisivi e la carta stampata si sono infiammati all’istante, riempiendosi di esperte ed esperti di femminicidio, di concetti come quello dell’«ultimo appuntamento» e delle sue insidie, in una gara all’opinione più incisiva. L’aspetto sconcertante di un dibattito del quale va comunque riconosciuta l’importanza, è rappresentato dal fatto che spesso (basti riguardarsi la puntata di sabato sera di Chesarà, condotto da Serena Bortone su Rai Tre, solo per fare un esempio) in campo si sente prendere posizione una curiosa maggioranza al maschile, fatta di psichiatri, esperti, procuratori, tuttologhi (e chi più ne ha più ne metta, basta finiscano in «i») che si rubano la parola a vicenda. Ancora una volta maschi a discutere di problemi e soluzioni causati dal genere maschile a danno di quello femminile. Come se da lì, dal luogo in cui il problema nasce e cresce, rinnovandosi e rigenerandosi all’infinito, potesse trovarsi la risposta allo stesso.
Eppure, nel tragico romanzo a puntate della società femminicida, gli esempi di grandi donne cui finalmente affidare la questione abbonderebbero; intorno a fragilità, anzi, viltà maschili troviamo spesso sorelle o madri, che con la loro caparbia e la loro arguzia sono state in grado di dare una svolta alle indagini, spingendole verso la verità, andando fino in fondo nella loro ricerca di giustizia. Pensiamo a Filomena, madre di Elisa Claps, per anni in guerra con investigatori e curia. Alle cugine di Roberta Ragusa, sicure della colpevolezza di Massimo Logli. O a Madè, la sorella di Benno Neumair, che assassinò i genitori, o ancora a Giorgia Benusiglio, sorella di Carlotta, stilista presuntamente impiccata a un albero dal compagno in centro a Milano. O a Elena e Chiara Tramontano, sorelle di un’altra Giulia, accoltellata incinta dal fidanzato, o a Lisa Teverini, figlia della scomparsa Manuela, certa della colpevolezza del proprio padre…
Da qualche giorno ne conosciamo un’altra, di grande donna, quella Elena Cecchettin sorella di Giulia, determinata a sublimare il dolore per la perdita trasformandolo in un’occasione di riflessione, ma anche sottolineando la necessità di un cambiamento di natura culturale. Più di tutti i talk show e degli appelli maschili che ci propinano i media, possono allora le sue parole: «Leggete, c’è bisogno di capire che “i mostri” non nascono dall’oggi al domani, c’è una cultura che li protegge e li alimenta», o ancora la sua voce prestata a quelle di Cristina Torres Caceres, in una struggente poesia che qui riportiamo integralmente.
Se domani non rispondo alle tue chiamate, mamma.
Se non ti dico che non torno a cena. Se domani, il taxi non appare.
Forse sono avvolta nelle lenzuola di un hotel, su una strada o in un sacco nero (Mara, Micaela, Majo, Mariana).
Forse sono in una valigia o mi sono persa sulla spiaggia (Emily, Shirley).
Non aver paura, mamma, se vedi che sono stata pugnalata (Luz Marina).
Non gridare quando vedi che mi hanno trascinata per i capelli (Arlette).
Cara mamma, non piangere se scopri che mi hanno impalata (Lucia).
Ti diranno che sono stata io, che non ho urlato abbastanza, che era il modo in cui ero vestita, l’alcool nel sangue.
Ti diranno che era giusto, che ero da sola.
Che il mio ex psicopatico aveva delle ragioni, che ero infedele, che ero una puttana.
Ti diranno che ho vissuto, mamma, che ho osato volare molto in alto in un mondo senza aria.
Te lo giuro, mamma, sono morta combattendo.
Te lo giuro, mia cara mamma, ho urlato tanto forte quanto ho volato in alto.
Ti ricorderai di me, mamma, saprai che sono stata io a rovinarlo quando avrai di fronte tutte le donne che urleranno il mio nome.
Perché lo so, mamma, tu non ti fermerai.
Ma, per carità, non legare mia sorella.
Non rinchiudere le mie cugine, non limitare le tue nipoti.
Non è colpa tua, mamma, non è stata nemmeno mia.
Sono loro, saranno sempre loro.
Lotta per le vostre ali, quelle ali che mi hanno tagliato.
Lotta per loro, perché possano essere libere di volare più in alto di me.
Combatti perché possano urlare più forte di me.
Perché possano vivere senza paura, mamma, proprio come ho vissuto io.
Mamma, non piangere le mie ceneri.
Se domani sono io, se domani non torno, mamma, distruggi tutto.
Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.
Nell’immagine: panchina a Bellinzona
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