Madrid val bene una amnistia
Le concessioni del socialista Sanchez per rimanere alla guida del paese
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Le concessioni del socialista Sanchez per rimanere alla guida del paese
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La vera domanda da porsi sul film della Cortellesi
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Difficile che nel voto di ballottaggio per il Senato il liberale Farinelli possa spuntarla; PS e Verdi dovrebbero votare compattamente Greta Gysin, che deve tener conto della candidatura Mirante
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L’affermazione di Publio Terenzio Afro – commediografo berbero di lingua latina, del II sec. a.C. – e la tragedia di Gaza
• – Fulvio Poletti
Le concessioni del socialista Sanchez per rimanere alla guida del paese
In primavera tutti i pronostici prevedevano Sanchez sicuro perdente alle prossime elezioni politiche. Intanto Puigdemont era in esilio a Bruxelles per sfuggire alla giustizia spagnola. Con grande fiuto politico, Sanchez in maggio si dimette e chiede di anticipare le elezioni politiche. Si dimostrerà abile e avveduto.
Come previsto, due mesi dopo perderà le elezioni, ma con un distacco inferiore a quanto pronosticato rispetto ai popolari; mentre la cabala dei numeri dipingerà uno scenario imprevisto e diabolico: pur perdendo le elezioni Sanchez potrebbe formare nuovamente un governo se riuscirà ad allearsi con tutti i partiti regionali e soprattutto con Junts, il partito di Carles Puigdemont, formazione moderata, liberale e, soprattutto, indipendentista.
Da queste premesse nasce il terzo governo a guida di Pedro Sanchez, una coalizione di otto partiti con ben quattro formazioni indipendentiste, due basche e due catalane. L’osso più duro naturalmente sarà il partito di Puigdemont, anche per il caso personale dell’ex presidente della Catalogna, braccato dalla giustizia spagnola.
In cambio del voto dei 7 deputati di Esquerra repubblicana – partito catalano di sinistra e più affine – il Partito socialista si impegna a cedere alla Catalogna la rete di treni regionali e a ripianare 15 miliardi di euro di debito del governo catalano. Le trattative con Junts, si terranno in Belgio e dureranno ben 38 giorni, fino ad arrivare all’intesa sull’amnistia che consentirà a Puigdemont e ad altri esiliati di rientrare in Spagna.
Naturalmente il programma di governo non si limita alla questione catalana e basca: come ha scritto il quotidiano El Pais si fonda su un robusta visione progressista, in continuità con i due governi precedenti di Sanchez. Tanto che nel suo lunghissimo discorso programmatico, Sanchez ha pronunciato la parola Amnistia solo dopo un’ora e mezza. La cosa non sfuggirà ai due partiti catalani alleati che non le manderanno a dire e avvertiranno Sanchez durante il dibattito di non tirare troppo la corda; senza i loro deputati il governo non nascerebbe.
Ma anche il patto coi catalani va visto in un quadro più ampio. La lettura dei due accordi – facilmente reperibili sulla rete – chiarisce che tanto la amnistia quando le altre promesse sono misure che intendono favorire una nuova fase nel rapporto tra lo Stato centrale e la Comunità autonoma catalana. E possibilmente una ricomposizione del conflitto che nel 2017 portò al referendum che il governo spagnolo cercò di bloccare in ogni modo. Nei due patti si sottolineano anche le profonde divergenze tra le parti: per il Partito socialista il referendum del 2017 resta illegale e qualunque soluzione andrà trovata nel rispetto della costituzione spagnola.
La situazione resta complessa. Otto partiti da gestire renderebbero fragile qualunque alleanza.
Come era facilmente prevedibile, il Partito Popolare e il partito di estrema destra VOX hanno promesso una opposizione implacabile. Alla tradizionale e aspra contesa tra destra e sinistra si aggiunge la questione territoriale che disegna una Spagna plurinazionale a geometria variabile, con patti diversi per le singole regioni. È bastato questo per scatenare l’opposizione che ha portato in piazza centinaia di migliaia di persone in nome della difesa dell’unità nazionale.
Per un attimo è sembrato che questa dura reazione della piazza potesse minare il patto tra socialisti e indipendentisti. Alla prova del voto in parlamento non è stato così. Ma il cammino resta tortuoso.
Nell’immagine: il catalano Carles Puigdemont e Pedro Sanchez
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