La Francia del ‘NO’ condiziona il voto
A poche ore dal verdetto presidenziale, ritratto di un paese ‘ribelle’ ultima speranza della le Pen
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A poche ore dal verdetto presidenziale, ritratto di un paese ‘ribelle’ ultima speranza della le Pen
• – Redazione
C’è sia l’evidenza delle atrocità commesse dall’esercito di Putin, sia l’intenzione di volerle commettere: il grande storico delle uccisioni di massa Timothy Snyder rilegge e spiega l’articolo pubblicato dalla Novosti e tradotto in italiano da Naufraghi/e
• – Redazione
Si chiude anticipatamente e non senza interrogativi ancora aperti un rettorato che ha segnato l’indubbia crescita dell’Università della Svizzera Italiana
• – Pietro Montorfani
Fare la guerra e poi condurre le trattative fra vincitori e vinti è sempre una questione di uomini; pensiamo invece ad una iniziativa pacifista al femminile
• – Delta Geiler Caroli
Tre divagazioni impertinenti sul filo dell’attualità
• – Silvano Toppi
Stampa / Pdf
• – Franco Cavani
Una riflessione ed una proposta educativa in occasione della Giornata Mondiale della Terra - di Manuela Varini
• – Redazione
In occasione della Giornata mondiale della Terra riproponiamo un importante contributo di Bruno Giussani sulla vitale necessità di conciliare gli obiettivi di sicurezza energetica a breve termine con gli obiettivi climatici a lungo termine
• – Bruno Giussani
Il debito pubblico non è una sciagura: ne beneficiano tutti se utilizzato per investimenti produttivi; inoltre la Confederazione è soprattutto esposta nei confronti di investitori istituzionali elvetici, poco all’estero
• – Spartaco Greppi
Un contributo alla comprensione, alla riflessione e alla discussione, in occasione della “Giornata Mondiale della Terra”
• – Redazione
A poche ore dal verdetto presidenziale, ritratto di un paese ‘ribelle’ ultima speranza della le Pen
Quando il governo annunciò un aumento di centesimi del diesel, Jacline Mouraud sfogò il suo disappunto su Facebook e il video divenne virale: sei milioni di visite. La solitaria protesta ebbe un seguito con la petizione di Priscillia Ludosky contro l’aumento dei prezzi del carburante e l’appello di Eric Drouet a bloccare strade e rotatorie. Era l’ottobre 2018 : trecentomila manifestanti con il gilet giallo hanno bloccato tutto il Paese. Ampiamente sostenuto dai francesi – almeno all’inizio – questo movimento è durato quindici mesi e ha sconvolto il programma del presidente Emmanuel Macron, costringendolo a diluire misure fiscali e progetti di riforme in dosi massicce di spesa pubblica.
A Bohal, il paese della Mouraud, non c’è un ufficio postale, solo una panetteria e un bar-tabacchi. È uno dei tanti villaggi della Francia rurale e periferica che si sentono abbandonati dallo Stato quando le decisioni passano sulle teste dei cittadini, come l’installazione di pale eoliche nel proprio giardino, «che sembra di vivere con un aereo in camera da letto», o l’arrivo del TGV che fa salire i prezzi delle case. Esempi del «Paese invisibile» che ha sconvolto il quadro politico della Francia. «Paese invisibile» nel senso che non appare nelle inchieste sui drammi delle banlieues degli immigrati, o sulle questioni economiche, sui problemi dell’immigrazione o del disagio giovanile.
Il «Paese invisibile» è fatto di gente che lavora sodo, che vive nelle campagne spopolate, che vorrebbe pagare meno tasse dopo avere subito il taglio di servizi essenziali o di prossimità, come l’ufficio postale o il medico condotto, che è costretta a usare l’auto per recarsi al lavoro o accompagnare i figli a scuola. È anche una Francia a stragrande maggioranza bianca e tradizionalista che ha perso molti posti nella gerarchia delle priorità e delle attenzioni. La rivolta dei «gilet gialli» è finita, salvo qualche squillo che ancora risuona nelle cronache, ma la rabbia, il senso di abbandono e di ingiustizia continua a covare sotto la cenere ed è entrato di prepotenza nelle urne sotto varie forme: astensione record, adesione all’estrema destra di Marine Le Pen e Éric Zemmour, il campione della Francia identitaria e nostalgica, islamofobica e un po’ xenofoba, e successo del vecchio ultraradicale Jean-Luc Mélenchon, abilissimo nella retorica dei diseredati e degli oppressi. Quest’ultimo, a settant’anni, ha stupito ancora una volta con le sue progressioni in dirittura di arrivo. Nel 2012, è entrato in gara al 5 per cento ed è arrivato al primo turno all’11. Aveva il 10 all’inizio del 2017, ha finito con quasi il 20. Era intorno all’8 all’inizio di quest’anno; è arrivato al 20, al terzo posto, dietro Marine Le Pen.
I gilet gialli non sono stati capiti in tempo dalla sinistra riformista e dalla destra moderata, mentre l’Eliseo ha dovuto affrontare un clima pre rivoluzionario, rischiando addirittura l’assalto al palazzo. I gilet gialli non chiedevano soldi, ma meno tasse e più servizi, se ne infischiavano di ecologia e sostenibilità, pretendevano che i loro lavori, spesso pesanti, in sella a un trattore o di notte sui Tir, fossero considerati. Una rivolta molto francese, rivoluzionaria secondo tradizione, emblematica di una frattura che si allarga nonostante il mantra dell’uguaglianza e della solidarietà sociale.
Macron ha cercato di disinnescare il movimento con il rituale del grande dibattito nazionale sulle cose da fare, per dare l’impressione che il vertice e le élite si avvicinassero al popolo. È riuscito a calmare la rivolta con un po’ di miliardi di debito pubblico, ma non a recuperare consenso. Impresa ardua se la Francia è un paradiso in cui molti francesi credono che sia l’inferno. Il voto del primo turno è stato quasi una sentenza. In dipartimenti come Pyrénées-Orientales, Mosella o Bouches-du-Rhône, la gente non crede più nei partiti e nel sistema politico. Da sette a otto elettori su dieci hanno votato un candidato antisistema (Marine Le Pen, Jean-Luc Mélenchon, Eric Zemmour o Jean Lassalle) o si sono astenuti. Se includiamo i voti per il partito comunista e le schede bianche, il 78 per cento degli elettori dei Pyrénées-Orientales ha espresso malcontento o indifferenza. Il tasso è del 77,4 in Bouches-du-Rhône, 77,3 in Aisne, 76,4 in Haute-Marne o 75,6 in Moselle.
Sono casi limite, ma la tendenza è nazionale: la «Francia del no» rappresenta il 55,6 degli elettori che hanno votato, e il 68 degli elettori registrati, anche se naturalmente atteggiamenti e tendenze vanno interpretati. Le Monde ha interrogato alcuni sociologi sulla disintegrazione delle relazioni sociali. «I luoghi che riunivano le persone e formavano le comunità stanno scomparendo. Le associazioni si estinguono, i club e le bande di paese attirano sempre meno persone, le chiese si svuotano, le scuole sono ridotte e i pub chiudono. Qui, il fronte repubblicano non funzionerà. Questo potrebbe spingere l’elettorato astensionista a vedere in Marine Le Pen un’opportunità. Ma se Macron sarà rieletto, sarà molto difficile governare un Paese che si oppone in modo schiacciante al potere che lui rappresenta». Lo scontro non è più fra destra e sinistra, ma fra piani alti e piani bassi. I sociologi usano un ossimoro: individualismo di massa.
Ogni caso di abuso sessuale, accertato o presunto, ci mette di fronte alla difficoltà di condividere un concetto semplice: che non esiste sesso senza consenso
Per allietare la vostra giornata un testo leggermente adattato del famoso brano musicale di Enzo Jannacci, che amava far ridere senza perder tempo dietro a questioni politiche