Voltare pagina e guardare fiduciosi al futuro
Nel paese dei comunicati, delle prese di posizione e dei decreti di abbandono non ci sono mai sorprese, va sempre tutto come previsto
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Nel paese dei comunicati, delle prese di posizione e dei decreti di abbandono non ci sono mai sorprese, va sempre tutto come previsto
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Nel paese dei comunicati, delle prese di posizione e dei decreti di abbandono non ci sono mai sorprese, va sempre tutto come previsto
Un frullato di comunicati che si fa fatica a distinguere e mettere in ordine: viene il capogiro, e si rischia di ricordarsi solo poche parole, così strane e difficili da capire, che risuonano nella testa come una litania sconosciuta: esimente, claudicante, sofferente, trasparente, sistemica… sofferente, sistemica, esimente, trasparente, claudicante…
Urge subito fermarsi e provare a diradare parole e pensieri accavallati ed incongrui, cercare di tornare alle fonti e capire di cosa si sta parlando.
Prendiamo il “trasparente” comunicato del Ministero Pubblico relativo al decreto di abbandono sul caso dell’abbattimento dell’ex-Macello a Lugano: un testo riportato da diversi portali informativi (ad esempio dal CdT) che offre logicamente (ed emblematicamente) tutto un campionario terminologico in “giuridichese” che solo chi vuole proprio capire a tutti i costi riuscirà a leggere fino in fondo: per i più, dopo un ennesimo “esimente”, si lascia perdere.
Già perché, appunto, stando al testo del procuratore generale Andrea Pagani “sulla scorta di una minuziosa ricostruzione dei fatti(…) non sono risultati adempiuti gli elementi costitutivi dei reati ipotizzati”, anche se vi sono stati errori, sì, però “in stato di necessità esimente – a livello di comunicazione, procedura edilizia e modalità di abbattimento”; in definitiva, solo per “un malinteso dovuto ad un claudicante passaggio di informazioni fra il Capo Impiego del Servizio di mantenimento dell’ordine, dapprima, e un Ufficiale dello Stato Maggiore, poi, operanti da Bellinzona, e chi, sul terreno a Lugano, era addetto a dirigere l’esecuzione degli ordini, lo stabile in discorso è stato interamente distrutto.”
Insomma, un passaggio di informazioni definito zoppicante (claudicante), per cause oggettive elimina il carattere di reato ad un fatto che altrimenti sarebbe tale (esimente). Le cause oggettive quali sarebbero? Che valeva di più operare per la sicurezza di persone che nel paventato caso fossero salite sul tetto avrebbero, forse, rischiato la vita piuttosto che affannarsi per la salvaguardia dello stabile. In altre parole, si è buttato giù tutto per salvare la vita ai molinari. Una tesi davvero suggestiva, su quel tetto che scotta, ancora, poiché in verità, pare, non fosse per nulla pericolante, anzi.
Inutile volerci capire di più, e men che meno domandarsi come sia possibile che tali conclusioni fossero già state annunciate prima di risentire in procura la municipale direttamente implicata. A tal proposito il Procuratore Generale Andrea Pagani ha spiegato che questa coda del procedimento si è resa necessaria “solo per garantire il diritto al contraddittorio all’accusatore privato» mentre Costantino Castelli, l’avvocato che rappresenta i molinari, ha dichiarato che “ la municipale di Lugano Karin Valenzano Rossi si è sostanzialmente avvalsa della facoltà di non rispondere alle mie domande e dunque non è stato possibile chiarire certe palesi incongruenze». (v. CdT, 10.12.2).
Di che restare esterrefatti ed ammutoliti, indotti a desistere dalla ricerca di ogni logica. Allora perché non provare a volgersi verso un’altra importante questione di questi mesi, dove lì sì, si troveranno risposte più convincenti.
Còlti da improvviso impulso a cercare di capire, si passa allora alla conferenza stampa e al comunicato RSI relativi all’esito dell’inchiesta su molestie e mobbing in azienda.
Tutt’altra faccenda, ma anche qui un lungo e complesso procedimento fatto di testimonianze, interrogatori e controinterrogatori. “Gli episodi segnalati sono avvenuti sull’arco degli ultimi 20 anni e sono 129 – tra segnalanti, segnalati e testimoni – le persone convocate ed ascoltate. Le inchieste hanno portato alla redazione di 18 rapporti per un totale di 602 pagine (che non includono i verbali redatti per ogni incontro), ogni caso esaminato ha richiesto mediamente 3 mesi di lavoro, per garantire il massimo rigore, arrivando ad un totale di 986 ore – che equivalgono a 123 giorni di lavoro” si legge nel comunicato RSI.
Su 39 casi segnalati e 18 presi in esame (già perché in 21 casi, chi si è appellato ha rinunciato all’inchiesta), alla fine si è decretato che in 20 anni non ci sono state in Azienda né molestie né mobbing né bossing, però 5 casi di lesione della personalità, quelli sì, ma di lieve o media entità, che saranno doverosamente e proporzionalmente sanzionati (ma l’unità di misura, qual è?).
Insomma, benché la “cultura aziendale” vada riformata e un settore debba essere messo sotto attenta analisi “ambientale”, non ci sono “rilevanze sistemiche”, non è mai successo nulla di grave: neppure che collaboratori venissero licenziati, come ad esempio nel 2016, con tanto di scorta che li ha buttati fuori in un quarto d’ora; erano regole concesse, e che diamine, nel regno dell’esimente, in cui, a posteriori, nessuna delle “vittime” di allora si sarà sentita motivata, da licenziata, ad inoltrare denuncia.
Con incedere claudicante, l’avvocata Martinelli Peter, che ha condotto l’inchiesta, ha potuto spiegare, durante la conferenza stampa, in risposta ad una domanda specifica di un giornalista, che “vado a memoria: dei 5 casi in questione, 3 sono donne e 2 sono uomini”. Vado a memoria? Ma come, è la responsabile di un rapporto legale che alla fine tocca un numero minimo di casi, e “va a memoria” nel dare conto di un tale semplice ma significativo dettaglio? A memoria, vien da pensare, si è recitato un copione ampiamente prevedibile, quasi scontato, gestito per forza di cose da una direzione che si è trovata questo po’ po’ di patata bollente in eredità, senza alcuna responsabilità né conoscenza diretta dei fatti, e che ha forzatamente dovuto assecondare una prassi “nazionale”, dell’Azienda SSR, cui da tempo tocca giocare tutto sulla difesa: dei propri quadri, fino al più alto livello, come della propria legittimità, sotto l’attacco di politica, media privati, corporazioni varie e giù giù fino ai più modesti collaboratori, quelli che osano protestare o dissentire, cui va oggi tutta la gratitudine del Direttore e a cui è destinato addirittura il supporto di uno psicologo del lavoro.
A supporto di queste conclusioni sono subito venuti i comunicati della CORSI (sempre puntuale nel marcar presenza) e dell’ATG, l’Associazione Ticinese dei Giornalisti (in gran parte attivi in RSI) che “vista la “quota molto bassa” dei casi emersi – pari a zero quelli da considerarsi gravi” non ha mancato di invocare “una maggiore prudenza anche da parte del sindacato interno” nel diffondere disagi e malcontenti.
E sì, perché è proprio il sindacato SSM ad aver promosso la raccolta di (troppe?) testimonianze interne alla RSI dopo lo scoppio del caso presso la RTS. Ed è lo stesso sindacato, con un proprio comunicato, a ribadire che nella fase di raccolta di testimonianze, “sono emerse anche segnalazioni per molestie sessuali che per volere delle vittime stesse, non sono sfociate in un’inchiesta”; quelle, ad esempio, raccontate dal collettivo “Io l’8 ogni giorno” in un documento pubblicato dal sito dell’MpS.
Insomma, il sindacato ha fatto un’opera lodevole e lodata, ma adesso è meglio che si dia una calmata. Figurarsi i collaboratori. In fondo si è raggiunto l’obiettivo, evocato subito e ben volentieri dal “Corriere del Ticino” con il titolo “RSI, l’inchiesta si è sgonfiata” (che presuppone, fra l’altro, che fin qui fosse “gonfiata”).
Ma no, tutto ridimensionato, per carità; nel nome della Tolleranza Zero e della Assoluta Trasparenza, ci aspetta un periodo tutto esimente, proteso al cambiamento che parte, ma tu guarda la coincidenza, in entrambi i casi, da una rilegittimazione virtuosa di chi comanda.
Andrà tutto bene, fidatevi, anzi, meglio; cioè resterà tutto com’è, nel paese del (gatto)pardo alla carriera.
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