Anna Felder – Giorgio e il catacachi
Un più discreto amore per la vita - A cento anni dalla nascita, parole e versi di Giorgio Orelli nel ricordo di scrittori e amici
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Un più discreto amore per la vita - A cento anni dalla nascita, parole e versi di Giorgio Orelli nel ricordo di scrittori e amici
• – Redazione
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Un più discreto amore per la vita - A cento anni dalla nascita, parole e versi di Giorgio Orelli nel ricordo di scrittori e amici
Ieri: con il pensiero al centenario di Giorgio Orelli, e con il suono della sua voce già nelle orecchie, riprendo in mano dallo scaffale a uno a uno i volumi delle sue poesie, usciti attraverso i decenni: rileggo le dediche, ritrovo i ritagli di giornale, i segnalibri infilati di proposito nelle pagine.
E che cosa scopro a segnare la pagina 90 di Spiracoli, a fermare proprio quella pagina che riporta la poesia L’ha di’ la Rita, la Rita dei cachi e del catacachi? Scopro la lettera che mai più ricordavo, del 6 ottobre 98, della cara Elise di Aarau (toccherebbe i cento in vita?), traduttrice, sì, anche dall’italiano; ma con la grande passione per il Giappone, il suo Heimwehland, dove uno dei suoi figli tuttora vive, musicologo, docente all’Università di Osaka.
La lunga lettera a me indirizzata, scritta in una calligrafia minuscola, rarefatta, a ragnatela, quasi indecifrabile, quasi giapponese, si riferisce alla poesia L’ha di’ la Rita che io le avrei rezitiert qualche tempo prima; e che le aveva subito ricordato i versi finali di una poesia di Tanikawa Shuntarò, citati ora in tedesco: Ich öffne das Fenster klirrend in die Nacht hinaus / noch hängt am Kaki-Baum des Nachbars eine einzige Frucht…
Dal seguito della lettera – con altri cachi, vissuti, di Kyoto – risulta che Elise già conosceva anche la poesia di Sinopie, Ohne Angst leben: la poesia del viaggio in treno con una giapponese dal muto gridolino di gioia, con un tedesco e due francesi; risulta parimenti che a Giorgio io avevo pure già parlato dell’entusiasmo di Elise per le “affinità giapponesi” della sua poesia.
Grati ricordi tutti, ora sorprendentemente vivi e vicini, ridestati dalla lettera: mai dimenticherò infatti la gioia contagiosa con cui Giorgio Orelli, forte dell’autorevolezza di Elise, ammiccando a Mimma e a chi l’ascoltava, sempre di nuovo si divertiva a pronunziare “in giapponese”, il più puro dialetto del contado bellinzonese.
“L’ha di’ la Rita che se ti gh’è vöia
da cachi, i sò i è bei marü.
Però vìsala che la tira dent
la Tica. Al catacachi
l’è là tacàt al mür.”
Foto Giorgio Orelli © RSI
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