Fabio Pusterla – Le forsizie di Giorgio Orelli
Un più discreto amore per la vita - A cento anni dalla nascita, parole e versi di Giorgio Orelli nel ricordo di scrittori e amici
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Un più discreto amore per la vita - A cento anni dalla nascita, parole e versi di Giorgio Orelli nel ricordo di scrittori e amici
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Un più discreto amore per la vita - A cento anni dalla nascita, parole e versi di Giorgio Orelli nel ricordo di scrittori e amici
Fabio Pusterla
Doveva essere il 2000, o forse uno dei primi mesi del 2001; di certo, anche se io non lo sapevo, Giorgio Orelli stava per dare alle stampe Il collo dell’anitra. Eravamo stati invitati insieme a una rassegna poetica, curata da Milo De Angelis per il milanese teatro Out/Off in via Mac Mahon; una zona della città legata alla memoria di Testori, come subito aveva ricordato Mimma durante il tragitto, mentre io mi districavo nel traffico. Di quella serata ricordo poco, anche se mi sembra di rammentare che fosse stata una bella occasione, che la lettura fosse andata bene, che il pubblico ci fosse e avesse l’aria contenta. Né ho la minima idea di cosa ho letto io.
È che tutte queste cose sono offuscate dall’unica vera memoria: a un certo punto, forse dopo aver introdotto la sua lettura con qualche aneddoto e con qualche considerazione sul linguaggio poetico, come amava fare, Giorgio ha cominciato a leggere. Ricordo bene la sua postura, ricordo bene il testo, che era allora a me sconosciuto, quelle Forsizie del Bruderholz, meravigliose e terribili, che avrebbero di lì a poco chiuso il suo nuovo libro (che sarebbe poi stato anche l’ultimo in vita). Ma, soprattutto, ricordo la sua voce, il suo modo di leggere, di passare attraverso diverse tonalità, ora scendendo verso il basso di quell’orrore che la poesia esprime nella sua parte centrale, ora ritornando alla luminosità solenne e sbarazzina delle forsizie, dell’infermiera «bionda / come d’inesperienza del male», di quel «forse» che si agita nel giallo sonoro delle forsizie come una speranza struggente (o come una leopardiana ginestra).
Avevo già sentito parecchie altre volte Giorgio Orelli leggere in pubblico; ma forse mai come in quella occasione, nel semibuio di quella sala, ho avuto la sensazione di una grandezza assoluta, di una profonda pietas, e soprattutto di una voce che eseguiva il testo quasi musicalmente, ma con musica franta e dissimulata, come un lungo, sommesso bramito. Certe volte uno impara le cose faticosamente, dopo un lento percorso che può durare anni; in altri casi, molto più rari, basta un’intuizione a far capire qualcosa di essenziale. Quella sera è stata per me uno di questi momenti miracolosi; tornando a casa, magari senza esserne ancora del tutto cosciente, sentivo di aver imparato qualcosa di straordinariamente importante e di averlo potuto fare grazie alla voce di Giorgio Orelli. E cosa avevo imparato, poi? Non saprei o non vorrei dare un nome esatto a quell’intuizione; ma c’entrava senz’altro un modo nuovo di interpretare la parola «ritmo», e forse anche la parola «poesia». E c’entrava, anche, la fiducia nel linguaggio poetico e nella sua capacità di pronunciare il mondo.
Nimm die Forsythien tief in dich hinein
(G.Benn, Letzter Frühling)
Forse triste non è la pasquetta
del bianco drappello di Schwestern
che a mezzodì davanti all’ospedale
si riposano al sole di un’estate
precoce tra soffi improvvisi di silfi
malefici, e quasi le avvolge
folta una gioia gialla di forsizie
attutita da merli perfetti
Oh, nessuna
nelle notti di guardia quando si fa più vivo
il niente aiuterà
(con dosi improprie, eccessive, mortali,
d’insulina o sonnifero che astuto
si disperda nel corpo senza lasciarvi traccia,
o altro, farmaci paralizzanti,
aria iniettata nelle vene.
trasfusioni di sangue infetto,
e a chi respira
aiutato da macchine ridurre
l’ossigeno, e in caso di coma versare
acqua in gola schiacciando la lingua
con un cucchiaio affinché finisca nei polmoni)
pazienti forse impazienti, lungodegenti
come si dice o terminali, ad andarsene in breve
dal mondo! Nessuna farà
che questa dovizia di fiori e d’uccelli
si scandalizzi d’essere!
E là, quanto basta in disparte
dentro a un vasto biancore di pietra
intorno a una fontana, una giovane bionda
come d’inesperienza del male, come
fasciata in pace dall’eternità,
da poco s’è sdraiata con l’unico infermiere,
s’è tolta senza fretta le calze, fissa con occhi azzurrissimi
l’acqua, allunga un candido piede tranquillo
fino a sfiorare uno zampillo; parla,
forse parla d’amore.
Foto Giorgio Orelli © RSI
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