L’aziendalizzazione del mondo e della vita

L’aziendalizzazione del mondo e della vita

Nel nome dello “spirito imprenditoriale”, quello che domina la narrazione economica e politica e che ancora si invoca come soluzione di tutti i mali


Lelio Demichelis
Lelio Demichelis
L’aziendalizzazione del mondo e della vita

Se sbaglio, correggetemi. Ma la sensazione è che alcune recenti dichiarazioni (del 2 febbraio scorso) di Monika Rühl, Presidente della direzione generale di Economiesuisse, siano state dimenticate troppo in fretta. E invece sono importanti, perché riguardano il modo in cui stiamo costruendo (o meglio: rottamando) il mondo e noi stessi.

Al di là di frasi ormai scontate – in Ucraina c’è una guerra devastante, “l’economia globale si sta raffreddando, le catene di approvvigionamento internazionali sono interrotte, la società sta invecchiando e l’economia è alle prese con un’acuta carenza di manodopera e una minaccia latente di scarsità di energia” – la cosa importante che ha detto Monika Rühl è questa: “i politici potrebbero ispirarsi allo spirito imprenditoriale, alla forza innovativa e al dinamismo di molte aziende svizzere. Sono dell’idea che dovrebbero farlo assolutamente”. E da qui è nata la nostra domanda: ma dove vive Monika Rühl, se non vede la realtà reale? Oppure la sua è solo propaganda e vuole ancora di più, evidentemente non bastando all’economia l’enorme potere che già ha e che esercita sulle nostre vite e sul mondo, in funzione della stessa economia (capitalistica)? 

Già perché da tempo tutti noi viviamo e agiamo solo in funzione delle esigenze delle imprese e della finanza (in questo senso veniamo incessantemente formattati dal neoliberalismo e dalla tecnologia). Non siamo più infatti in una economia di mercato, bensì in una società di mercato e in una società tecnica. Detto altrimenti: tutto oggi è industria e tutto è industrializzato. Industrializzata è la produzione (ovviamente), sempre alla ricerca della massima produttività e del massimo profitto privato, attraverso l’estensione massima del nostro pluslavoro, dello sfruttamento del lavoro e dell’ambiente. 

Industrializzato è il consumo e il consumismo, dove la green economy e il green washing servono a non modificare mai la logica del far consumare sempre di più (e questa è appunto la logica industriale: produrre-consumare-produrre-consumare sempre di più). Ed essendo stata fatta morire o quasi la cultura umanistica, la cultura industriale è la cultura dominante, dove ciascuno di noi deve credersi imprenditore di se stesso mettendosi sul mercato in competizione con tutti gli altri : cioè il mercato non è scambio ma competizione sfrenata e il tecno-capitalismo ha di fatto istituzionalizzato e costituzionalizzato a livello globale quello stato di natura che invece Thomas Hobbes (1588-1679) –  e poi, e in altro modo i fautori del contratto sociale, come Locke – volevano superare perché le sue regole incivili erano il bellum omnium contra omnes e l’homo homini lupus. 

E anche la scuola e l’università sono state trasformate e vengono gestite come imprese per essere funzionali quasi esclusivamente alla formazione della forza-lavoro necessaria al sistema (dagli operai ai manager); e questo noi tutti siamo diventati: forza-lavoro, per l’industria e per il funzionamento della società come se fosse una grande fabbrica – e infatti nelle scuole il fine è generare competenze a far funzionare alla massima efficienza possibile la fabbrica/industria capitalistica del produrre-consumare, escludendo ogni pensiero critico e ogni conoscenza, soprattutto umanistica e riflessiva, le uniche capaci invece di far comprendere ai giovani come funziona (malissimo, la crisi climatica lo dimostra) il sistema tecno-capitalista.

E ancora: industria sono i social, imprese private il cui obiettivo è quello di massimizzare il loro profitto privato e non certo di favorire la nostra socialità; e industrializzata a produrre questo profitto privato è la nostra vita organizzata, comandata e sorvegliata da un apposito management algoritmico, perché oggi, nella società industrializzata del/dal capitalismo digitale, è tutta la vita umana (socialità, relazioni, affetti, pensieri, consumi, idee religiose e politiche) a essere messa al lavoro per produrre sempre più dati, cioè sempre maggiore profitto privato. 

Industria sono poi e da tempo i mass-media; industria sono Hollywood e Netflix – è l’industria culturale di cui scrivevano criticamente già nel 1947 Max Horkheimer e Theodor W. Adorno; industria è il divertimento e industrializzato è anche il tempo libero (che non deve mai essere libero, ma sempre deve generare profitto), come l’industria del turismo, che si adatta alla crisi climatica sparando neve artificiale con i cannoni, un altro modo per continuare la nostra guerra all’ambiente. 

Davvero lo spirito imprenditoriale è ovunque e in ogni luogo, lo abbiamo ormai interiorizzato e normalizzato. E non si accontenta mai, visto che pochi giorni fa  Valentin Vogt, presidente dell’Unione svizzera degli imprenditori ha chiesto di “mobilitare donne, giovani, anziani e rifugiati affinché siano integrati nel mercato dell’impiego o, nel caso già lo fossero in parte, affinché aumentino le loro ore in ufficio o nelle fabbriche” – accrescano cioè il loro spirito imprenditoriale, accrescendo il loro pluslavoro  è un mantra delle destre e del management capitalista (lavorare di più, mai invece redistribuire meglio lavoro e ricchezza), dimenticando che la Svizzera è già nel top della classifica della produttività.

Ma industria e industrializzata – dominata anch’essa dallo spirito imprenditoriale – è anche la politica e i governi, anche quello svizzero. I partiti si sono infatti trasformati da tempo in partiti azienda (Berlusconi, per citarne uno, ma anche l’UDC); i loro leader sono definiti come imprenditori della politica e soprattutto sono fabbriche per la produzione del consenso – e il consenso è anch’esso una merce nel mercato della politica – e adottano da tempo la psicologia per manipolare le masse, oggi digitalizzate, annullando quella che un tempo si chiamava società civile (il nostro invito è di rileggere I persuasori occulti di Vance Packard, un saggio che ha ormai quasi settant’anni ma che è di una attualità sconvolgente; oppure Propaganda, di Edward L. Bernays, testo che di anni ne ha quasi cento ma che è ancora più attuale). 

Ma soprattutto – i partiti e i governi e le loro agende politiche – agiscono in funzione dell’industria e del capitale e quindi si invoca  la nostra resilienza (cioè adattamento) davanti al disastro ambientale e climatico pur di non modificare il sistema alla radice; si privilegia il mondo delle imprese e non quello del lavoro, continuando a flessibilizzarne il mercato; si cerca di imporre riforme pensionistiche, come in Francia (ma la Svizzera non è da meno) che gravano sui ceti medi e medio bassi piuttosto che tassare ricchi e super-ricchi sempre più ricchi; si mettono in competizione tra loro i territori economici, da ultimo come in Italia con la proposta leghista/liberista/egoista di autonomia differenziata; eccetera, eccetera). 

E non è forse vero che da tempo anche gli stati si auto-definiscono come stati-azienda, in competizione con altri stati-azienda? È un’evidente contraddizione in termini – lo stato non è e non deve essere come un’impresa – diventata però un luogo comune ormai accettato.

E allora è appunto propaganda sostenere che “i politici potrebbero ispirarsi allo spirito imprenditoriale, alla forza innovativa e al dinamismo di molte aziende svizzere”. In realtà, già lo fanno – e anche troppo; e non solo in Svizzera. Bisogna agire proattivamente e con lungimiranza, sostiene ancora Economiesuisse. Lungimiranza? Una predica che il mondo dell’impresa – che guarda solo al profitto a breve termine – poteva risparmiarci.

P. S.: Alphabet, casa madre di Google, ha annunciato l’arrivo di Bard, un robot di conversazione basato sull’IA e al quale sarà possibile fare domande, chiedere pareri, sollecitare ricerche. “Aiuterà persone, imprese e comunità a sviluppare il loro potenziale”. Ma è lo stesso slogan che da almeno tre decenni l’industria hi-tech usa per venderci ogni sua innovazione, per accrescere i propri profitti spacciandosi come mezzo per accrescere appunto il nostro potenziale (in realtà sempre per assecondare le esigenze delle imprese e accrescere la nostra produttività e il nostro capitale umano, ma mai per noi stessi). Ovvero, è pubblicità-propaganda – di nuovo – per noi gonzi tecnologici che però ci crediamo ganzi tecnologici perché smanettiamo h24 sullo smartphone. Intanto però anche Alphabet ha confermato che taglierà il suo personale nel mondo di 12.000 unità. Ma niente paura, si chiama appunto spirito imprenditoriale.

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