Macron, ma è solo una gaffe?
Quando politica ed economia si mostrano incapaci, anzi palesemente contrari, ad affrontare seriamente la drammatica crisi climatica
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Quando politica ed economia si mostrano incapaci, anzi palesemente contrari, ad affrontare seriamente la drammatica crisi climatica
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Quando politica ed economia si mostrano incapaci, anzi palesemente contrari, ad affrontare seriamente la drammatica crisi climatica
“Chi avrebbe potuto prevedere la crisi climatica?” – ha detto il Presidente francese Macron, scatenando le ire di climatologi e ambientalisti. Già, perché in realtà gli scienziati ci allarmano da almeno vent’anni su questa crisi che sta diventando sempre più grave e pericolosa, intrecciandosi sempre più con la crisi sociale. Questo mentre le notizie sulla crisi ambientale – effetto del conflitto strutturale e radicale del tecno-capitalismo nei confronti della Terra – ci rimanda ai primi anni Sessanta del secolo scorso (ma anche a molto prima), esplodendo poi con il Rapporto del Mit al Club di Roma del 1972 sui limiti della crescita e con la nascita dei movimenti ecologisti / ambientalisti.
Una gaffe: così sono state definite le parole di Macron – e gaffe significa una frase (ma anche un atto o un comportamento) maldestra o incauta, non adatta né al momento né alle circostanze. Ma davvero possiamo / dobbiamo considerarla una gaffe? In realtà ci sembra piuttosto l’espressione plastica di un negazionismo nei fatti che accomuna tutti i governi del mondo, posto che dall’Accordo di Parigi sul clima del 2015 – lo stesso anno di pubblicazione dell’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, radicale e magistrale critica del nostro modello irrazionale di economia e di tecnica e che tutti, credenti e non credenti dovremmo leggere e rileggere nella sua parte di analisi, come un livre de chevet – fino al fallimento dell’ultima Cop 27 è tutta una grande retorica, e solo retorica, sulla crisi climatica, a cui poi non seguono trasformazioni davvero radicali di questo modello ecocida.
Quella di Macron non è stata dunque una semplice gaffe: è invece il sintomo non tanto di ignoranza (comunque grave, per un capo di Stato), ma di una intrinseca incapacità, o meglio non-volontà della politica di capire il problema climatico e ambientale, la sua drammaticità e la sua storicità, cioè il suo non essere qualcosa di imprevedibile, ma l’esito inevitabile di tre secoli di capitalismo industriale e di sfruttamento della Terra. E quindi il problema non è il neoliberismo – errore in cui cadono anche le sinistre – bensì il tecno-capitalismo e, a monte, la (ir)razionalità strumentale/calcolante-industriale che lo produce e lo fa funzionare. Diventata ormai la nostra forma e norma unidimensionale di vita (produrre-consumare-produrre-consumare e sprecare); la nostra compulsiva way of life; la nostra sedimentata antropologia.
E se ci pensiamo, tutta la politica (dall’America capitalista alla Cina comunista, passando per l’Europa) si riduce ad essere una mera sovrastruttura (diritto, agende di governo, educazione e scuola, management e marketing, industria culturale e dello spettacolo/divertimento, Fondo monetario, Organizzazione mondiale del commercio, Wef di Davos) funzionale al funzionamento e alla riproducibilità senza ostacoli e limiti della struttura tecno-capitalista; e per struttura intendendo i mezzi di produzione e oggi soprattutto i mezzi di connessione (le piattaforme tecnologiche della rete), la Silicon Valley, il capitalismo della sorveglianza e il Big Data. In verità, struttura e sovrastruttura formano ormai da tempo una superstruttura unica, per la quale vale la profezia – in realtà nel tecno-capitalismo è tutto rigorosamente pianificato – per cui deve essere più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo. E che il capitalismo fosse diventato una gabbia d’acciaio lo aveva capito Max Weber più di cento anni fa, una gabbia che ci imprigionerà fino a che non sarà estratto e consumato l’ultimo quintale di carbone (oggi di petrolio, gas o dati).
Perché questo è il tecno-capitalismo: una pianificazione per la trasformazione della società in mercato e industria e per l’automatizzazione della vita mediante macchine e algoritmi; una pianificazione perseguita da tre secoli a questa parte con determinazione e determinismo fideistico, prometeico e industrialista, in un crescendo rossiniano.
E allora, se è giusto criticare i giovani ecologisti che imbrattano i muri dei palazzi del potere e i quadri nei musei o si incollano al catrame delle strade bloccando il traffico e vengono arrestati e poi processati – una forma di protesta assolutamente controproducente per il fine che vuole raggiungere – non dovremmo invece portare sul banco degli accusati proprio chi ci governa? Accusandoli di correità con chi produce il cambiamento climatico – a loro volta accusabili di crimini contro l’umanità di oggi e di domani? Non dovrebbe – la società civile del mondo, noi tutti se fossimo cittadini del mondo e non ci chiudessimo dentro le nostre frontiere fisiche e psichiche – chiamare appunto in giudizio chi ci governa? Dovremmo.
In realtà siamo anche tutti noi – al di là delle risposte green che diamo ai sondaggi e dello smaltimento intelligente/riciclaggio e riuso dei nostri rifiuti – ad essere complici del sistema, proprio perché sussunti nel sistema e modificati dal suo incessante human engineering, cioè dall’azione di questa superstruttura che è irrazionale nella sua stessa radice, cioè la (ir)razionalità strumentale/calcolante-industriale – e quindi, ci ripetiamo, il problema non è solo il neoliberismo, figlio semmai anch’esso di questa stessa irrazionalità.
Svegliamoci!, ha scritto un grande filosofo come Edgar Morin (ne abbiamo parlato recentemente in questa sede). E invece votiamo sempre più a destra, quelle destre conservatrici/populiste/sovraniste sempre e comunque complici del tecno-capitalismo e negazioniste di fatto della crisi climatica e ambientale (vedi UDC e Lega; vedi Meloni e Lega in Italia). Per tacere delle sinistre, anch’esse ormai incapaci di immaginare di poter/dover rovesciare la profezia o il piano, cioè facendo morire il capitalismo per salvare la Terra – e noi stessi. Perché il tecno-capitalismo non è il nostro destino e non è la fine della storia ma si può e si deve modificare cercando altro e di meglio (lo impone appunto la crisi ambientale e climatica). E per iniziare a immaginare e a progettare altro dalla pianificazione tecno-capitalista si potrebbe rileggere Karl Polanyi e il suo La grande trasformazione (Einaudi); o leggere gli ottimi scritti di Cornelius Castoriadis in Contro l’economia e da poco pubblicati da Luiss University Press.
Immagine dal sito di Stop Ecocide International
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