Sotto sotto siamo tutte consenzienti
Alcune considerazioni sulle scelte lessicali in caso di gravi abusi
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Alcune considerazioni sulle scelte lessicali in caso di gravi abusi
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Alcune considerazioni sulle scelte lessicali in caso di gravi abusi
“Entrambe sarebbero state consenzienti” recitano a più riprese i nostri massmedia, riguardo ai sordidi e inqualificabili presunti (ma nemmeno poi tanto, poiché vi sono confessioni in corso) atti del direttore dell’istituto scolastico luganese in stato di detenzione per avere intrattenuto “relazioni” con allieve “più giovani di 16 anni”. E poi, si aggiunge, come fosse una sorta di attenuante, i rapporti sessuali sono avvenuti al di fuori di edificio e orario scolastici, sebbene la preparazione del campo, e la circumnavigazione delle vittime sia avvenuta nelle aule scolastiche.
Nell’aria, a fronte di dichiarazioni di simile portata, riecheggia inevitabilmente il caso dell’ex funzionario dello Stato indirettamente accusato dal giudice di non essere intervenuto nel denunciare il comportamento di un suo sottoposto, predatore sessuale seriale. Proprio allo Stato l’ex funzionario ha ora deciso di fare causa: egli non aveva avuto notizia di stupri da parte del suo collaboratore verso alcune giovani praticanti, bensì solamente di avances.
Come se vi fosse una graduatoria, e per avances dovessimo intendere un atteggiamento giustificabile, frutto magari di segnali di “disponibilità”, perché no?, pure maliziosa, delle giovani.
Come se la relazione “consensuale” tra un 39enne e una 14enne e avances nei confronti di giovani staigiaires fossero accettabili e persino umanamente comprensibili.
Come se in un rapporto come quello fra un direttore di scuola e una sua giovane allieva possa considerarsi paritetico, frutto di una scelta ponderata di entrambe le parti, e si possa parlare di “relazione”.
Come se il fatto che vi sia stata una rottura del patto sociale di fiducia tra famiglia e scuola sia solo cosa marginale (infatti, la cronaca non vi accenna da nessuna parte).
Nell’abstract della sua tesina per l’abilitazione all’insegnamento il direttore in questione afferma che “lo studio degli interrogativi espressi dagli allievi all’inizio del percorso, dei pensieri scritti durante il lavoro, dei materiali realizzati per la condivisione con i compagni di classe e del riscontro di studenti e insegnanti dimostra la validità e la sostanziale valutazione positiva del progetto”.
Ma di che progetto si sta parlando? È di competenza di un docente di latino occuparsi di questi temi? A che titolo? In nome dell’interdisciplinarietà? O forse piuttosto per dare seguito a oscure pulsioni, ammantandole di squallidi intellettualismi e arrivando a scomodare la letteratura degli antichi? E questo percorso non ha suscitato alcuna perplessità fra i docenti dell’istituto? O invece le ha suscitate, ma, come spesso accade, qualcuno ha guardato dall’altra parte?
Su questi interrogativi (per ora?) pare calato il silenzio. Anzi, a voler credere all’abstract di cui sopra, sembrano tutti soddisfatti, pieni di apprezzamento verso un processo di educazione sessuale e una didattica innovativa rivolto a latiniste di 13-14 anni.
“Non c’erano stati segnali”, si sono affrettate a sottolineare, nel solito gioco collettivo di autoscagionamento, le istituzioni. Eppure, come ha dichiarato il collettivo “Io l’8 ogni giorno”, alcune allieve si erano rivolte ad altri docenti segnalando comportamenti inadeguati e disagio, restando inascoltate. Forse perché erano solo avances? O perché, sotto sotto, le ragazze erano pur sempre “consenzienti”? E i docenti cui le ragazze hanno confidato il proprio disagio sono gli stessi che si dicevano soddisfatti dell’innovativo percorso didattico?
Sono queste le domande cui vorremmo vengano date delle risposte. Ed è da queste risposte che vorremmo conseguissero delle condanne, morali e penali. Ma a partire da una frase, semplice quanto rara, che purtroppo non si sente mai: “Abbiamo sbagliato. Eccome se abbiamo sbagliato. Ma pagheremo”.
A questo, senza dubbio, saremmo consenzienti tutte. Ma solo a questo.
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