Di nubifragi, responsabilità e sciacallaggio politico
La tragedia dell’Emilia-Romagna ci ricorda fra l’altro che la transizione ecologica è indispensabile e ha un costo; ma quanti miliardi per salvare le banche, e quanti per l’ambiente?
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La tragedia dell’Emilia-Romagna ci ricorda fra l’altro che la transizione ecologica è indispensabile e ha un costo; ma quanti miliardi per salvare le banche, e quanti per l’ambiente?
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La tragedia dell’Emilia-Romagna ci ricorda fra l’altro che la transizione ecologica è indispensabile e ha un costo; ma quanti miliardi per salvare le banche, e quanti per l’ambiente?
L’autore è Paolo Giordano. Di cui pubblichiamo oggi un esemplare commento sullo stravolgimento territoriale, economico e soprattutto umano che colpisce la Romagna, con le sue case, i suoi comparti industriali d’avanguardia, la sua intensa (fin troppo) produzione agricola, letteralmente assediate o sommerse dalle acque. Seconda alluvione in sole due settimane, eccezionalità di piogge e frane, esondazioni e allagamenti. Dalla siccità a scenari radicali e tropicali. Devastata, come dopo “un terremoto”, la grande pianura a est di Bologna: distrutta, in lutto, che ancora non può valutare i danni enormi subiti, per non parlare della ricostruzione, delle strade da risistemare, delle abitazioni da svuotare dal fango e da restituire a una vita normale, di fabbriche e supermercati che saranno privati (quanto? e quanto a lungo?) di prodotti indispensabili.
Ed una emotività diffusa che, ci dice Giordano, non offre certo il momento migliore per riflettere. Riflettere sul negazionismo ambientale, sulla necessità di reagire guardando all’evidenza, su una presa di coscienza per… coscienze impaurite, per rigidità incorporate, per politici che si limitano a costosi provvisori e immediati incerottamenti (spesso nemmeno quelli) e non per interventi strutturali indispensabili su un territorio nazionale che per ben il trenta per cento (spesso abitato) è a rischio idrologico e sismico. Il cambiamento climatico c’è: col suo alternarsi sempre più intenso fra fenomeni di segno contrastante, sempre più ravvicinato nei ritmi, sempre più disastroso nelle sue conseguenze. Questa non è l’alluvione di Firenze, questo è l’ennesimo anello di una lunga catena, di uno spazio-temporale che rinnova precipitosamente gli effetti micidiali del surriscaldamento, come ammoniva proprio ieri, nella giornata peggiore abbattutasi sulle regioni romagnole, l’ultimo studio dell’OMM, agenzia specializzata dell’ONU sui cambiamenti metereologici, che prevede una brusca accelerazione del riscaldamento globale già entro il 2027, che scavalcherebbe le scadenze fissate dagli Accordi di Parigi, in verità assai poco applicate dalle nazioni firmatarie. Rendersene infine conto e procedere concretamente a un mutamento di rotta è faticoso quando la narrazione prevalente e finora vincente è che la transizione ambientale come minimo può attendere, che nelle intenzioni è troppo precipitosa, naturalmente che è ”troppo ideologica”, infine e soprattutto che è troppo costosa.
È vero, questo indispensabile cambiamento non è a costo zero. Ma a destra è lo spauracchio agitato per minare la strada del contrasto a fenomeni ai quali nemmeno i nostri territori, nazionali e cantonali, possono ritenersi immuni (e infatti non lo sono stati). Ora accade in Emilia-Romagna, ma possiamo solo augurarci e sperare che non succeda qualcosa di tanto devastante anche in Svizzera e in Ticino. Sì, la transizione ecologica costa. Ma non è vero che l’unica strada sia quella di portare alla cassa il cittadino-consumatore, il quale naturalmente può contribuire con una condotta ecologicamente più responsabile. No, le risorse economiche vanno cercate e trovate là dove indiscutibilmente ci sono. Con manovre fiscali che riscuotano il dovuto da super-profitti e da pasciute speculazioni finanziarie (spesso improduttive) non sottoposti a una tassazione minimamente equa. Ci sono anche “buoni investimenti pubblici”, ammetteva persino Mario Draghi, che tra l’altro possono e devono incoraggiare il mondo economico-produttivo a riorientarsi in senso ecologista. Non ci possono essere fiumi di miliardi (anche ‘nostri’) soltanto per salvare banche che sono precipitate per incapacità e ingordigia nel baratro del rischio sconsiderato, a tutti i costi, in tutto il mondo, come è di nuovo capitato portando alla fine ingloriosa del Credit Suisse.
Anche per questo, per tutto quello che si può spiegare con la forza dei ragionamenti, degli argomenti, degli esempi, davvero non si capisce come la spaesata compagine rosso-verde del nostro Cantone non riesca (o non desideri) riprendere con convinzione la strada unitaria e gli argomenti di una scelta strategica (equità sociale + equità ambientale + equità di genere) che non può essere abbandonata o anche solo svilita o derubricata dopo una prima sconfitta elettorale.
Poi, e per concludere, insieme ai negazionisti planano anche gli avvoltoi. Che pretendono di trasformare le catastrofi naturali in immediata spranga politica. Lo vediamo anche per il dramma che si consuma a poche centinaia di chilometri da noi. Che la Regione Emilia Romagna abbia investito solo una parte dei fondi stanziati per opere di contenimento su fiumi e valli, che avrebbero quantomeno attutito gli effetti di precipitazioni record per durata e intensità, è possibile, può anche essere vero. Che in molta parte d’Italia la prevenzione vada anche peggio è altrettanto dimostrabile. Ma la Romagna è “rossa”, e tanto basta per infilare l’alluvione nell’agone delle carognate politiche. E allora il solito Salvini se ne esce affermando che la colpa di quanto accade “è degli ambientalisti da salotto” (come dire che la malattia è senz’altro responsabilità del medico) e “Libero”, il quotidiano più vicino alla destra meloniana di governo, titola a tutta prima pagina, e vergognosamente: “Sott’acqua il modello Pd”. Come se sotto le bandiere e i ponti delle regioni di centro-destra si viva in un mondo immune dagli esiti disastrosi di una cementificazione intensiva e imperturbabile, di invocate ma sempre rinviate manutenzioni, di lacrime che durano giusto il tempo che torni il sole. Un altro modo per eludere la sostanza del problema.
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