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E se l’Occidente fosse costretto ad aiutare chi l’ha umiliato?
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E se l’Occidente fosse costretto ad aiutare chi l’ha umiliato?

La mattanza di Kabul è una sfida aperta all’ordine talebano, dice che il conflitto non è finito. Sarà di nuovo guerra civile, e forse dovremo decidere da che parte stare


Aldo Sofia
Aldo Sofia
E se l’Occidente fosse costretto ad aiutare...
• 27 Agosto 2021 – Aldo Sofia
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Strage annunciata. Annunciatissima. Avevano clamorosamente sbagliato il timing della caduta di Kabul; ma hanno esattamente azzeccato, con probabile segnalazione degli stessi talebani, la data della carneficina. Sarà il 26 agosto, ripetevano i servizi americani, ed il 26 è stato. Con l’indicazione, oltretutto, del punto esatto della micidiale esplosione: l’Abbey gate, ultimo cancello d’accesso all’aeroporto della capitale, ultimo passo verso la libertà per le migliaia di civili afghani che affollavano lo strettissimo passaggio. Carneficina sicura, oltre ottanta corpi straziati, molti di bambini. Bersaglio dunque altamente simbolico, ed è strano che possa essere stato colpito con tanta facilità. A questi disperati, ai civili, è per cominciare rivolto il messaggio multiplo dei terroristi, messaggio chiaro: abbandonare i dintorni dello scalo, rientrare in casa, in pratica rinunciare all’idea stessa della fuga, consegnandosi a chi… non ne avrà pietà.

Poi, il messaggio agli Stati Uniti. Che, proprio all’ultimo miglio, subiscono l’umiliazione finale, e vedono cadere tredici marines, dopo che per diversi mesi, in seguito agli accordi di Doha coi talebani (febbraio 2020), non avevano conosciuto un numero così alto di vittime combattenti in un colpo solo. Atto conclusivo e drammatico per una superpotenza umiliata e ormai ‘presunta’ (almeno sul piano militare), che complica enormemente il rischioso calcolo di Joe Biden, convinto di poter contare sull’ostilità della netta maggioranza degli americani verso quella guerra lontana e ormai incomprensibile, e sulla priorità data ai sei mila miliardi di investimenti pubblici per rilanciare l’economia nazionale. La mattanza allarga enormemente la macchia sulla sua statura di ‘comandante in capo’ di un’America stordita. Un conto è la ritirata, altro peso ha invece una fuga insanguinata.

Infine il messaggio più politico, autentica sfida militare, lanciata agli stessi talebani. Perché a colpire all’Abbey gate è l’ISKP, il gruppo iper-jihadista dello Stato Islamico della provincia di Khorasan, affiliato all’Isis, che ha firmato gli attentati che più hanno insanguinato Kabul negli ultimi sei anni. Nemico interno, dunque. Che considera i talebani eredi del Mullah Omar dei semi-eretici sul piano religioso, e dei traditori sul piano politico, avendo deciso di negoziare con il ‘grande satana’ statunitense. Un’avversione, anzi un odio largamente ricambiato, e non è servito la recente scarcerazione di un migliaio di combattenti dell’ISKP, decisa dagli ‘studenti coranici’, per disinnescare la loro aggressività. Da sempre i talebani cercano di svuotarne le basi sul lungo e complicato confine con il Pakistan (che in Afghanistan gioca sporco da decenni). E non è mistero che recentemente, sul terreno, talebani e americani hanno anche collaborato nella caccia contro quel che rimane dello Stato islamico, o Daesh. Stato islamico che militarmente sconfitto (o comunque neutralizzato) in Siria ed Iraq vorrebbe la sua rivincita per la nascita di un nuovo Califfato senza confini, com’è nella loro ideologia, in netto contrasto con i talebani, che sono jihadisti ma anche nazionalisti in cerca di legittimazione internazionale, ambizione del tutto estranea al progetto dell’Isis. Una competizione che rischia – esattamente come alla fine dell’occupazione sovietica – di riprodurre una guerra civile inter-islamista che il paese aveva già conosciuto negli anni Novanta, con la popolazione di nuovo principale vittima di ogni genere di violenza. Duello interno in un paese che sembra correre verso una nuova instabilità, di cui potrebbero approfittare potenze straniere per influenzare gli eventi, per concretizzare i propri calcoli strategici, e mettere a segno anche i propri interessi economici.

Questo la mattanza di Kabul indica e preannuncia. L’Afghanistan che potrebbe passare da un conflitto all’altro, tutto interno al movimento islamista, talebani contro Isis, che si contendono anche quel che resta della rete Al Qaeda, all’origine, due decenni fa, di un’operazione Nato (a guida statunitense) che doveva essere anti-terroristica dopo l’attacco dell’11 settembre su suolo americano, e che poi si è trasformata in missione “State building”, cioè costruzione del nuovo Stato che non ci sarà. Minacciosa partita interna, ma in cui si gioca anche l’ossessione di nazioni vicine e lontane: e cioè se l’Afghanistan non sia destinato a ridiventare piattaforma ispiratrice e operativa di un nuovo jihadismo d’esportazione, a livello intercontinentale. E chissà che in qualche modo, un Occidente che spera nel ruolo moderatore soprattutto di Cina e Russia, non decida alla fine di dover aiutare in qualche modo, e per pressante convenienza, il nemico che l’ha umiliato, dunque i talebani. Non è anche questo il senso di un capo della Casa Bianca che promette la rappresaglia contri gli autori della strage?

Scenari apparentemente astrusi e fantasiosi nel momento in cui abbiamo negli occhi le terribili scene di Kabul, con i suoi quei corpi straziati. Ma è risaputo, la ‘tomba degli imperi’ è uno scrigno tragico che può riservare continue sorprese.






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Aldo Sofia
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