Il papa in Irak
Francesco nella terra devastata di Abramo, dove ogni guerriero ha invocato il suo Dio
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Francesco nella terra devastata di Abramo, dove ogni guerriero ha invocato il suo Dio
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Francesco nella terra devastata di Abramo, dove ogni guerriero ha invocato il suo Dio
Un rabbino mi disse, durante un viaggio in Israele: “Quando gli uomini parlano in nome di Dio, sono guai”. Soprattutto in Medio Oriente, lo sono quasi sempre. Dopo l’impero ottomano (abile nell’alternare pugno di ferro, concessioni e autonomie profumatamente pagate), e dopo la fase delle lotte nazionali e anti-coloniali (che avrebbero sposato ideologie, dal socialismo al liberalismo economico, poi illusorie, le linee divisorie del confessionalismo hanno inciso, esasperato e si sono sciaguratamente imposte ad una convivenza religiosa certo spesso problematica ma non impossibile. Mi sono ricordato di quelle parole del rabbino, pensando al viaggio di papa Francesco nell’Irak sconquassato prima dall’intervento militare anti-Saddam; poi da una strisciante guerra civile fra le sue varie componenti etnico-religiose (sciiti, sunniti, curdi); infine dalle ulteriori tragedie provocate dal sanguinoso fanatismo dello Stato islamico (dietro cui si muovevano gli eredi sconfitti, e in cerca di rivincita, del “raiss” catturato e ghigliottinato).
Un crogiolo di crisi, conflitti, sopraffazioni che ha ridotto il paese in macerie, là dove i ‘neo-con’ di Bush figlio avevano proclamato di voler “esportare la democrazia”. In questo groviglio di tragedie, la religione manipolata strumentalmente, è spesso o quasi sempre servita a giustificare ogni nefandezza politico-militare. Colpendo, anche nella terra di Abramo nonché dei profeti Ezechiele e Giona – appunto l’odierno e lacerato Irak -, un’altra “Chiesa martire”: 1.200 cristiani uccisi dopo la fine di Saddam, 62 edifici religiosi rasi al suolo, e soprattutto 100.000 fuggiti dalle sponde del Tigri e dell’Eufrate (più di un terzo della popolazione di fede cattolica). Pochi ricordano che fra i “rivoluzionari nazionalisti” arabi, non pochi furono cristiani. Ma nella bagarre degli ultimi 40 anni questo non bastò per evitare che le comunità cristiane si rifugiarono, e cercarono precaria protezione, dietro le spalle dei vari dittatori (dall’Irak, alla Siria, all’Egitto) che ne seppero sfruttare le paure, la maggiore istruzione e una migliore situazione socio-economica. Esponendole ancor più, una volta apertosi il baratro delle varie “guerre di religione”, all’ostilità della militanza radicale musulmana.
Francesco mette dunque piede in questa realtà complessa, tremenda, e irrisolta. Porta quel messaggio che enunciò fin dai primi giorni del suo pontificato, parlando di una “Chiesa come ospedale da campo”. Un viaggio inevitabilmente blindato, un viaggio di grande coraggio, un viaggio di simboliche speranze soprattutto di fronte alle prime manifestazioni anti-regime. E si vedrà quali tracce potrà lasciare in un terra avvelenata da ingiustizie, faglie sociali, spaventosi sradicamenti. Per i quali i protagonisti di tanta violenza si appellarono alla volontà del loro Dio.
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